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Migranti: accolti non perché servono, ma in quanto persone.

Le migrazioni sono il fenomeno sociale a carattere mondiale più caratterizzante degli ultimi 30 anni. Milioni di persone hanno avuta la possibilità di lasciare la propria terra dove era perseguitata o viveva nella miseria, con l’aspirazione di cercare un altro luogo dove i propri diritti fossero maggiormente rispettati. Questo fenomeno mondiale, pur se generato da fatti obiettivi che tutti hanno la possibilità di verificare, ha finito per produrre tensioni e resistenze in diversi strati della popolazione di tutti i paesi, facendo emergere partiti politici e movimenti di persone contrarie ad accettare i migranti, pronti a respingerli, paventando crimini, perdite d’identità culturale, concorrenza sleale sul lavoro. La stessa globalizzazione, che ha consentito l’uscita dalla povertà di oltre un miliardo di persone, ha finito per suscitare reazioni negative proprio nei paesi più ricchi, che hanno cominciato a temere di perdere occasioni di ricchezza e posizioni dominanti.  

È così che ci siamo ritrovati in un mondo caratterizzato dal ritorno del nazionalismo più chiuso, dove si erigono muri in terra e si respingono in mare le barche dei disperati che fuggono dalla miseria. È in questo mondo che l’enciclica “Fratelli tutti” di Papa Francesco, ci riporta con i piedi per terra: dobbiamo affrontare la realtà per quella che è, e dobbiamo adoperarci per risolvere i problemi esistenti avendo a guida i valori della dignità umana, che non sono solo valori cattolici o cristiani o di altre religioni, ma sono valori di tutti. Dice l’enciclica: “Le migrazioni costituiranno un elemento fondante del futuro del mondo. Ma oggi esse risentono di una perdita di quel senso della responsabilità fraterna, su cui si basa ogni società civile. L’Europa ad esempio rischia seriamente di andare per questa strada. Tuttavia, aiutata dal grande patrimonio culturale e religioso, ha gli strumenti per difendere la centralità della persona umana e per trovare il giusto equilibrio tra il duplice dovere morale di tutelare i diritti dei propri cittadini e quello di garantire l’assistenza e l’accoglienza dei migranti” (40).

Il messaggio è chiaro: le politiche per l’immigrazione non devono discriminare tra provenienza, razze, culture e neanche tra motivazioni (perseguitati e migranti cosiddetti economici). Né l’accoglienza deve essere motivata da ragioni o meno di convenienza. La sola motivazione resta il rispetto della dignità umana. In un mondo dove si sono affermate le libertà di movimento delle merci, dei capitali, dei servizi, è del tutto improprio limitare la libertà di spostamento delle persone, che anzi sono le prime a vantare il diritto di potersi spostare per conseguire migliori livelli di vita. 

È un’utopia irrealizzabile? Forse lo è ai giorni nostri, ma è un valore che conviene tenere presente quando si impostano politiche per l’immigrazione, anche se dobbiamo tener conto di alcuni limiti. È possibile derogare a certi principi nell’immediato per la difficoltà o impossibilità di applicarli, ma ci si deve muovere mantenendo la direzione verso l’orizzonte disegnato dagli stessi principi. La stessa enciclica riconosce che non è possibile fare tutto, quando dice: “Se riesco ad aiutare una sola persona a vivere meglio, questo è già sufficiente a giustificare il dono della mia vita”…. “I grandi obiettivi sognati nelle strategie si raggiungono parzialmente” (195).

Agire secondo il rispetto di certi valori non vuol dire immolarsi per essi, ma significa che le nostre azioni e le nostre politiche devono avere come riferimento ultimo questi valori, in modo che eventuali deviazioni siano soltanto contingenti e determinate dalla pratica impossibilità di attuare pienamente tali principi. Significa avere l’utopia come meta verso cui dirigersi anche se non la si raggiunge. L’utopia è necessaria perché indica la direzione e obbliga a pensare nel lungo termine e non solo assillati dai problemi contingenti.

Serve un diverso approccio al fenomeno migratorio pure da parte di quanti, pur favorevoli a politiche di accoglienza, le giustificano con l’affermazione che conviene a noi accogliere migranti, a causa del calo delle nascite, a causa della carenza di manodopera, a causa della indisponibilità dei nostri compatrioti a svolgere specifiche mansioni e occupazioni. In altre parole, da parte dei molti che, per far digerire a chi è contrario ad accogliere gli stranieri che vengono da noi, asseriscono che dobbiamo accoglierli perché “ci servono” gli immigrati.

Non dubito della buona volontà di queste persone né della validità contingente delle loro affermazioni. Ma è il concetto che l’immigrato “serva” agli italiani o agli europei che non è un concetto accettabile per giustificare l’immigrazione, perché esso implica anche il suo contrario: se l’immigrato non serve più, allora dobbiamo cacciarlo. Se può essere vero che molte attività produttive si reggono oggi grazie alla presenza di immigrati che accettano lavori che gli italiani rifiutano e se è vero che il calo demografico del nostro paese è, seppure leggermente, corretto dal maggiore tasso delle nascite nelle famiglie di immigrati, allora è anche vero che, se questi fenomeni non ci fossero più, saremmo legittimati ad espellere tutti coloro che non servono più. Cosa dovremmo fare, ad esempio, se l’automazione riuscisse a sostituire tutti i lavoratori occupati nelle mansioni che sono accettate essenzialmente dagli immigrati? Dovremmo non accettare più nuovi lavoratori immigrati? Che succede quando i figli degli immigrati, nati in Italia, educati nel nostro paese, compagni dei nostri figli, dovessero anche loro giustamente rifiutare i lavori che i loro genitori hanno accettato pur di stare nel nostro paese? Dovremmo dire loro che sono destinati solo a certe mansioni oppure che devono andare via? E, se oggi ci servono immigrati perché c’è crescita economica e domani non ci fosse più tale crescita, dovremmo cacciarli perché “non servono più”?

In realtà è sbagliato il concetto che una persona serva o non serva. Lo dice l’Enciclica quando dice “le persone non sono più sentite come un valore primario da rispettare e tutelare, specie se povere o disabili, se non servono ancora – come i nascituri, – o non servono più – come gli anziani” (18). E lo stesso può dirsi per gli immigrati, considerati solo sulla base della loro capacità o meno di “servire” i nostri interessi contingenti. 

In realtà le migrazioni saranno, per un certo numero di anni, un fenomeno costante e quindi, piuttosto che subirle, vale la pena attrezzarsi per meglio gestirle, che significa politiche di accoglienza e di integrazione. L’Italia, che giustamente lamenta di essere stata lasciata sola (come la Grecia e la Spagna) a fronte del fenomeno delle migrazioni in Europa, non dovrebbe battersi tanto per ripartire i migranti, quanto per avere i mezzi per accoglierli. Se insieme a spendere i soldi per i campi di accoglienza si avviasse un piano per la costruzione di residenze dei migranti, per servizi di accoglienza e di integrazione, potremmo tranquillamente ricevere le qualche decina di migliaia di migranti l’anno che vengono nel nostro paese, favorendo anche la crescita economica dell’Italia.

Non potremo certo accoglierli tutti ma, come dice l’Enciclica, aver aiutato a vivere meglio anche una sola persona, è già aver fatto un passo verso quel rispetto della dignità umana che rappresenta un principio inderogabile nella nostra stessa esistenza.

 

 *Presidente Assonime

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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