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Contratti flessibili: conoscere per decidere

Le incessanti modifiche alla disciplina dei contratti di lavoro ed in particolare a quella dei contratti non standard, testimoniano che il nostro  ordinamento del lavoro non ha ancora raggiunto un punto stabile di approdo. Se,  per molto tempo, i mutamenti alle  norme che regolano le diverse forme di lavoro sono avvenuti  in corrispondenza  di  mutamenti di  maggioranza politica e mediante corposi  interventi legislativi,  ispirati da visioni diverse tra loro ma molto  omogenee  al loro interno (si pensi alla legge n. 196/1997 o al d. lgs. n. 276/2003, per chiudere con la legge n. 92/2012),  i provvedimenti più recenti  (legge n. 99/2013) tendono a caratterizzarsi per l’attenzione  a singoli istituti  (contratto a termine ed apprendistato, sopra tutti). 

E’ forse il segno di disegni meno ambiziosi, quasi rassegnati,  a fronte del perdurare  della crisi? O è la presa d’atto che la regolazione dei contratti necessità di una paziente opera di sperimentazione e di verifica degli effetti dei singoli provvedimenti?  L’avvio, a partire dalla legge n. 92/2012,  di un sistema di monitoraggio delle forme contrattuali di assunzione  prescelte dai datori di lavoro, basato sull’analisi delle comunicazioni obbligatorie raccolte dal Ministero del lavoro e politiche sociali, consente ora di avere riscontri empirici che permettono di ancorare il dibattito a dati di realtà.  

Per quanto riguarda il contratto a termine, la Tab. 1 conferma, innanzi tutto,   la forte permeabilità dell’istituto alla mutevoli condizioni derivanti dalla congiuntura economica. La caduta di questo tipo di assunzioni nel 2009, in sintonia con la diminuzione generale degli avviamenti al lavoro, ed il loro altalenarsi in relazione ai timidi segni di ripresa ed alle “gelate” ricorrenti, sono la testimonianza di un utilizzo

TAB. 1 – Andamento degli avviamenti al lavoro  con contratto a tempo determinato. Evidenze ricavate da dati COB, MLPS

Avviamenti con contratto di lavoro dipendente a tempo determinato secondo la durata prevista

 

Fino a 1 mese

Da 2 a 3 mesi

Da 4 a 12 mesi

Oltre 12 mesi

Totale

Avviamenti

Comp. %

Avviamenti

Comp. %

Avviamenti

Comp. %

Avviamenti

Comp. %

Avviamenti

Comp. %

2009

I trim

603.310

40,3

291.761

19,5

578.147

38,6

25.514

1,7

1.498.732

100,0

II trim

559.957

38,1

291.820

19,9

586.743

39,9

30.631

2,1

1.469.151

100,0

 

III trim

618.968

39,4

309.456

19,7

617.519

39,3

26.743

1,7

1.572.685

100,0

IV trim

625.381

39,8

319.859

20,4

599.953

38,2

24.984

1,6

1.570.177

100,0

2010

I trim

618.190

39,1

331.049

20,9

606.043

38,3

25.939

1,6

1.581.220

100,0

II trim

647.897

40,1

319.789

19,8

623.215

38,5

26.485

1,6

1.617.386

100,0

 

III trim

663.376

40,0

322.328

19,5

644.964

38,9

25.971

1,6

1.656.640

100,0

 

IV trim

653.514

39,5

345.655

20,9

628.185

38,0

25.743

1,6

1.653.097

100,0

2011

I trim

661.932

39,8

340.896

20,5

625.138

37,5

37.025

2,2

1.664.991

100,0

II trim

665.279

39,2

339.492

20,0

626.247

36,9

67.392

4,0

1.698.410

100,0

 

III trim

669.504

41,1

323.459

19,8

558.563

34,2

79.352

4,9

1.630.877

100,0

IV trim

656.231

40,8

326.121

20,3

574.816

35,7

52.993

3,3

1.610.161

100,0

2012

I trim

688.885

41,1

328.731

19,6

598.590

35,7

60.824

3,6

1.677.030

100,0

II trim

680.000

41,9

333.349

20,6

584.038

36,0

23.826

1,5

1.621.212

100,0

 

III trim

684.124

42,4

335.754

20,8

568.255

35,3

23.746

1,5

1.611.880

100,0

 

IV trim

691.426

41,8

319.427

19,3

618.733

37,4

25.358

1,5

1.654.945

100,0

2013

I trim

695.988

43,1

310.274

19,2

586.360

36,3

23.567

1,5

1.616.189

100,0

II trim

691.624

42,1

332.134

20,2

596.060

36,3

21.464

1,3

1.641.282

100,0

 

III trim

685.766

42,3

330.813

20,4

584.902

36,0

21.381

1,3

1.622.861

100,0

IV trim

715.770

43,5

328.067

19,9

581.808

35,3

20.645

1,3

1.646.290

100,0

Dati destagionalizzati
Fonte: ISFOL – Elaborazioni su dati COB, MLPS

 

del contratto a termine molto sensibile  alle prospettive, più o meno negative,  dell’economia: il primo contratto ad essere attivato in caso di segnali positivi, il primo ad essere abbandonato in caso contrario.

Dal monitoraggio citato emergono anche elementi interessanti con riferimento agli effetti dei mutamenti legislativi intervenuti nel periodo considerato (2009-2013).  La c.d. riforma Fornero (l. n. 92/2012),  ad esempio, sembra aver innescato un maggiore ricorso al contratto a tempo determinato  (ovviamente in termini relativi, nel confronto con le altre forme contrattuali utilizzate nello stesso periodo, visto che in termini assoluti, data la recessione economica, l’incremento è poco rilevante). L’incidenza dei contratti a tempo determinato sul totale degli avviamenti nel periodo riferito passa dal 62,3% del II trimestre 2012 al 67,3% del IV trimestre. Tale incremento ha riguardato  in larga parte assunzioni di breve o brevissima  durata, comunque inferiori ai dodici mesi. Parallelamente si registra, nello stesso periodo, una caduta dei contratti intermittenti e di collaborazione (rispettivamente -4% e 1,6%). Il fenomeno può essere  interpretato  come l’effetto “pulizia” operato dalla legge citata: i vincoli posti dalla stessa legge al ricorso ad altre forme di lavoro (si pensi al lavoro intermittente, alle collaborazioni a progetto, alle partite iva)  sembrano aver indotto ad un  maggiore utilizzo del contratto a termine, istituto contrattuale caratterizzato da  flessibilità ma dotato di adeguata protezione sociale. Il contratto a tempo determinato emerge dunque, nel triste panorama dell’asfittico  mercato del lavoro italiano,  come un possibile punto di  equilibrio tra la flessibilità richiesta dalle aziende e la tutela (in termini di salario e di protezione sociale) richiesta dai lavoratori. 

Da ciò è derivata l’innovazione (introdotta dalla l. n. 92/2012 e potenziata dalla legge n. 99/2013)  finalizzata a consentire l’assunzione a termine a-causale per un periodo massimo di 12 mesi, opportunità circoscritta al primo contratto di lavoro a termine  tra  gli stessi contraenti.  Come si può notare dai dati relativi al IV trimestre 2013, la 

 

norma sembra aver prodotto  l’ampliamento  del numero  di rapporti a termine ed in specie di quelli con durata al di sotto dei dodici mesi. 

La riforma contenuta nel recente d. l. n. 34/2014, generalizza la facoltà di assumere a termine senza indicazione della causale,  con  due vincoli: si riconferma che la durata complessiva, compresi proroghe e rinnovi, non può superare i 36 mesi e si introduce, per ciascun datore di lavoro,  un limite massimo del venti per cento  di dipendenti a termine sul totale dell’organico. Essa va ben oltre, dunque, la  sperimentazione in atto a seguito delle norme del 2012 e del 2013, tuttavia senza lasciare spazio temporale sufficiente ad una adeguata valutazione degli effetti. Poiché il decreto-legge ha sessanta giorni per la conversione, conviene forse che il dibattito parlamentare tenga conto anche dei prossimi dati  in uscita relativi al primo trimestre 2014, onde supportare ulteriormente  (o smentire) la tesi sopra esposta secondo cui il contratto a termine può essere “l’asso pigliatutto” che assorbe le varie  forme di lavoro precario e sottoprotetto che il nostro mercato del lavoro ben conosce ed utilizza.  Ovviamente, se dimostrasse di riuscire in quest’opera non potrebbe che essere apprezzato.  

A questo fine, sarebbe quanto mai opportuno attribuire al nuovo intervento legislativo  carattere sperimentale e sottoporlo ad un monitoraggio protratto per un tempo sufficiente. Ciò anche nell’intento di verificare se gli eventuali effetti del nuovo regime saranno prevalentemente visibili nella direzione sopraindicata (restrizione delle forme di lavoro dotate di minore protezione sociale) o invece non erodano quote del lavoro a tempo indeterminato.

 

 (*) Professore di Diritto del Lavoro nell Universita’ Cattolica

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