Draghi ha riscosso grandi consensi intorno alla proposta di Patto Sociale, a partire dall’Assemblea di Confindustria. Anche chi si è dimostrato freddino, come Landini, non l’ha rigettata. Come lui, tutti vorranno “vedere cammello”. Nessuno boicotterà. Non siamo nel 1992/93 quando in ballo c’era da stabilire chi e cosa doveva essere restituito e si profilava un Patto di lacrime e sangue. Quello proposto da Draghi è un Patto a prendere. Il che non vuol dire che sarà un ballo di gala.
E’ già ampiamente definito. La cornice è stata stabilita a Bruxelles con il Next Generation EU (NGEU), molto generoso con l’Italia in termini di soldi messi a disposizione, ma con regole e condizioni non rigide ma sicuramente rigorose. le priorità sono state adattate alla realtà italiana Con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). le priorità sono state adattate alla realtà italiana e la rimodulazione fatta dal Governo Draghi, al primo testo varato del Governo Conte 2, non ha avuto particolari contestazioni né sociali, né politiche.
Ma tutti sanno che nella nuova versione del PNRR si propone un salto di qualità della capacità dello Stato, del sistema produttivo e dell’organizzazione amministrativa e sociale del Paese di eccezionale rilevanza politica. Con le misure adottate sulla giustizia e sulla pubblica amministrazione si è aperta una strada alle riforme strutturali che vanno completate con riferimento alla fiscalità, alla competitività, al sistema degli appalti. Molte rendite di posizione, burocratiche, economiche dovranno cedere il passo all’efficienza e alla produttività di sistema, se vorremo che tutti i finanziamenti previsti dal NGEU vengano nel nostro Paese.
Questo è il primo, duro capitolo del futuro Patto sociale e le forze produttive devono essere le prime a dimostrare che su questo fronte si svolta. Le resistenze e i tentativi di trasformismo si sprecheranno. La logica del diritto acquisito sarà dura a morire. Ma il riformismo e chi dichiara di rappresentarlo ha un’occasione formidabile per dimostrare che siamo un Paese capace di cambiare in meglio, guardando finalmente agli interessi delle future generazioni e non soltanto al presente.
Con la stessa finalità si dovrà agire sul sistema produttivo. Non facciamoci ingannare dal rimbalzo del 6% del PIL di quest’anno. Non siamo più ricchi, siamo più operosi. Né tutto tornerà come prima. Già ora sappiamo che l’export è tornato sui livelli pre-Covid ma mancano all’appello 40.000 imprese (dati ICE). Già ora è noto che nel settore delle costruzioni, che è quello che tira di più, l’occupazione non è ancora quella di due anni fa.
Ma soprattutto occorrerà impostare una transizione di sostenibilità ambientale di spessore inedito: riguarderà tutti i settori produttivi di beni e servizi, implicherà investimenti per abbattere il CO2 di enorme contenuto innovativo, distruggerà mestieri e professioni e nello stesso tempo sarà affamata di nuove professionalità manuali ed intellettuali. Decisiva sarà la governance del PNRR ed essa sarà tanto più efficace e tempestiva quanto più il Patto sociale definirà modalità di concertazione che coinvolga le parti sociali non solo al vertice, ma anche alla base, lì dove devono calare i progetti di sostenibilità.
Per queste ragioni, il capitolo lavoro è di estrema importanza. E’ anche il meno pronto; c’è convergenza di vedute sulle problematiche aperte, ma sulle soluzioni non c’è chiarezza. Non bastano le politiche assistenziali (nuova CIG, pensionamenti anticipati per i lavori gravosi), ci vogliono politiche attive che rassicurino i lavoratori e le lavoratrici che saranno accompagnati verso nuove opportunità.
L’attuale sistema di riqualificazione professionale è inadeguato, sia in termini di governance che di strutture formative. Anche le Regioni meglio attrezzate per tempi normali, non hanno competenze e strumenti per tempi eccezionali. Prima si prenderà atto di questa insufficienza e prima si capirà come individuare le vie d’uscita. Se si continuerà sulla vecchia via, è facile previsione che non ci saranno accordi sindacali sugli esuberi, le aziende licenzieranno, quelle in cui l’unità dei lavoratori è più forte subiranno forti conflitti, nelle altre partiranno le lettere di licenziamento e il malcapitato resterà con la protezione naspi ma dovrà risolvere da solo il rebus lavoro.
Un Patto sociale che non riduca i rischi della conflittualità sindacale e della solitudine del disoccupato tecnologico non avrebbe senso. Per questo, il foglio bianco del PNRR sul lavoro va scritto con un inchiostro nuovo, con una visione dinamica della tutela del lavoratore e della lavoratrice che resta senza lavoro, con un’assunzione di responsabilità delle parti sociali nella gestione di questa fase di transizione. Una riforma dell’Anpal in questa direzione, unicamente orientata alla presa in carico del disoccupato tecnologico, sarebbe la risposta più agile e tempestiva. Tutto ciò potrebbe rappresentare la parte più interessante del prossimo Patto, nel quale il lavoratore “prende” tutela vera, oltre che serenità reddituale, perché avrà chiaro chi lo accompagnerà verso un futuro possibile, vantaggioso e quindi accettabile.