Domenica 6 marzo si è tenuta a Roma una grande manifestazione pacifista. Il fatto che tante persone manifestino per la pace costituisce un segno importante di presa di coscienza e di volontà di superare la tragica situazione che si è creata con la guerra in Ucraina: lo spirito con cui la maggior parte della gente ha aderito è certamente uno spirito che vive la pace come un ideale fondamentale.
Ma i documenti e le posizioni degli organizzatori, la Rete italiana per la pace e il disarmo, suscitano diverse perplessità, che hanno indotto organizzazioni democratiche significative, una politica (il PD), l’altra sindacale (la Cisl) a non aderire.
Nel suo appello la Rete afferma la volontà di pace “sostenendo gli sforzi della società civile pacifista e dei lavoratori e delle lavoratrici in Ucraina e in Russia che si oppongono alla guerra con la non violenza”.
Ciò significa che, mentre è in atto un’invasione armata, gli ucraini dovrebbero limitarsi a rispondere con la non violenza. Certamente i non violenti russi, protestando, sono incarcerati e processati, ma dal loro governo, e non perché attaccati e bombardati da un nemico.
Da questa posizione deriva, come conseguenza logica, la contrarietà all’invio di armi all’Ucraina: l’invio di armi significherebbe alimentare la guerra e pertanto va condannata la decisione assunta dal governo italiano. In questo caso ci si dimentica che siamo di fronte a un aggressore e a un aggredito e che sembra difficile sostenere che l’aggredito non abbia il diritto di difendere il proprio paese.
Seguendo poi la norma della “neutralità attiva” si afferma lo slogan “né con la Russia, né con la Nato”, trascurando il fatto che si possono certamente esprimere molte critiche nei confronti della Nato, ma in questo momento la Russia sta bombardando le città ucraine, mentre da parte della Nato non si è sparato un solo colpo.
Si giunge poi all’impensabile con un un’ulteriore espressione. Dopo aver citato una famosa frase di Pablo Neruda (Le guerre sono fatte da persone che si uccidono senza conoscersi, per gli interessi di persone che si conoscono, ma non si uccidono) si afferma “Questa frase prende vita ricordandoci che in Ucraina la popolazione civile si trova a combattere in un conflitto voluto dalle cariche dello stato, quando non è così fortunata da poter fuggire dal proprio paese”.
Qui si raggiunge l’assurdo: gli accusati non sono gli aggressori, ma gli aggrediti, cioè gli ucraini e il loro governo che li chiama a combattere per difendere il paese.
Si tratta invero di uno strano pacifismo e di una strana neutralità: la pace si configura come una realtà astratta, lontana dalle vicende reali, che mette sullo stesso piano aggressori e aggrediti, e addirittura usata per condannare coloro che si difendono.
La non violenza è una scelta personale radicale che non può essere imposta a nessuno e non può essere richiesta a uno stato: l’unica vera forma adeguata e concreta di non violenza consisterebbe nell’essere in grado di promuovere una manifestazione pacifica a Kiev di fronte ai carri armati russi. Questo sarebbe un atto non violento vero e efficace.
In assenza di questo, ciò in cui si può sperare è la mediazione immediata di qualcuno sufficientemente autorevole per far cessare le ostilità, cui far seguire un Trattato di sicurezza europeo tra Russia, America ed Europa, che crei condizioni di garanzia per tutti in modo stabile.
Questo Trattato di pace è la condizione preliminare necessaria per poi affrontare tanti problemi che sono venuti al pettine: un’Europa politica, la sua politica estera e di difesa, la Nato. Solo in condizioni di sicurezza reciproca si può pensare domani (un domani che questa guerra ha di fatto allontanato) a temi come il disarmo e a rapporti più pacifici con la Russia, che rimane una meta e un interesse rilevante per l’Europa.