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Le basi ragionevoli della speranza

La scorsa settimana i lavoratori di Electrolux hanno approvato l’accordo siglato pochi giorni prima in sede governativa con l’80,3% di sì. I lavoratori in libere assemblee hanno, dunque, detto per l’80,3% di sì, approvando l’accordo Electrolux siglato il 15 maggio a Palazzo Chigi alla presenza del Presidente del Consiglio Matteo Renzi. I dipendenti interessati all’accordo sono complessivamente 4.775.

Ma da dove si era partiti? Tra settembre e ottobre Electrolux indicava 1700 lavoratori in esubero e l’intenzione di chiudere lo storico stabilimento friulano di Porcia. Le ragioni? Un costo del lavoro insostenibile sulla base dell’attuale situazione del mercato dell’elettrodomestico mondiale. Il c.d. “bianco” (il settore degli elettrodomestici) è, davvero, una storia italiana. 

Per molti anni il Bel Paese è stato leader mondiale incontrastato del settore per quantità, varietà ed eccellenza dei suoi prodotti. Un settore industriale che da solo oggi vede al lavoro circa 150.000 addetti anche se il loro numero era almeno doppio circa un decennio fa. Le riduzioni di volumi di prodotto e di numero di addetti che si contano spiegano da soli e con sufficiente chiarezza come sia cambiato il mondo della grande produzione industriale in Italia e nel resto dell’Europa. 

L’avvento di colossali competitors nel Far East e l’inesorabile efficientamento tecnologico, evidenziano tutte le difficoltà di tenuta dell’occupazione nei settori manifatturieri industriali che i Governi di oggi sono chiamati a fronteggiare. Inoltre, le differenti condizioni economiche e sociali di Paesi europei come la Polonia, l’Ungheria ed altri extra europei ma vicinissimi come la Turchia, rappresentano oggettivamente contesti molto vantaggiosi ove delocalizzare intere produzioni. 

Tutto logico e comprensibile anche se catastrofico per gli equilibri socio-economici nazionali. Questo spiega la soddisfazione ma anche l’enorme impegno e la determinazione con cui tutti noi abbiamo lavorato a questo accordo che, giustamente, assurge a simbolo di speranza e resistenza.

La vertenza Electrolux è stata lunga e difficile. Ernesto Ferrario, amministratore delegato di Electrolux Italia ha affermato che “se non fossimo stati in grado di raggiungere l’intesa, oggi ci troveremmo in una situazione davvero difficile sia dal punto di vista della continuità di business sia della protezione dell’occupazione”. Il risultato che è stato raggiunto consentirà auspicabilmente l’abbattimento di quasi 3 euro l’ora del costo degli impianti, in modo da renderli competitivi con quelli polacchi, come richiesto dall’azienda per non delocalizzare. 

Il nuovo Governo appena insediato ha ricevuto dai vertici Electrolux l’avviso: così non ce la facciamo ad andare avanti; aiutateci a restare in Italia, qui ci sono 3 euro l’ora di troppo. Questo, detto in sintesi, era il senso di una richiesta di aiuto alle Istituzioni di Governo.

Credo che il Governo si sia mosso tempestivamente e con il piede giusto. La situazione era difficilissima ed i rischi reali altissimi. Tuttavia, intervenire con aiuti pubblici non basta a garantire un futuro allo sviluppo economico ed occupazionale. Occorreva un Piano industriale più chiaro ed equilibrato in cui si spiegasse perché e come si intendeva restare in Italia rilanciando e rinnovando le produzioni e mantenendo le persone al lavoro. 

Ecco, questo contributo è emerso nel corso di questi primi mesi di Governo che sono coincisi con gli ultimi di una trattativa che si era aperta nell’ormai lontano settembre 2013. Il nuovo Piano industriale è stata la premessa indispensabile dell’accordo rappresentandone in qualche modo il telaio. Quelli che seguono sono i punti essenziali su cui si è discusso e si sono prodotti significativi avanzamenti nel corso della lunga stretta finale della trattativa.   

I due terzi degli importanti investimenti previsti dall’azienda Electrolux, pari a 150 milioni di euro, sono destinati all’innovazione di processo e di prodotto. Ciò significa che l’azienda scommette sui suoi migliori elettrodomestici per la manifattura italiana, segno tangibile che ci sono ancora abbondanti ragioni industriali per fare le cose in Italia. Senza un investimento serio e concreto delle Aziende non si possono approntare politiche pubbliche di sostegno dello sviluppo occupazionale ed industriale. 

L’idea di intervenire a prescindere dalla qualità delle strategie industriali di chi guida le aziende è stata spesso coronata da fragorosi insuccessi che hanno visto i loro costi scaricarsi sul contribuente italiano. Sono ragionevolmente convinto del fatto che il gruppo svedese si sia mosso avendo pienamente compreso le ragioni offertegli dal Governo al tavolo di confronto.

Inoltre, l’idea di polarizzare gli oneri concentrandoli esclusivamente tra impresa e Governi appartiene definitivamente al passato. E’ ragionevole e giusto, invece, che i Piani industriali siano sempre più l’espressione di una rinnovata capacità negoziale delle parti sociali che debbono trovare, entro una cornice caratterizzata da una sempre maggiore corresponsabilità, la via del futuro e del rinnovamento. Ecco perché rivendico tutta la giustezza della nostra richiesta alle parti di tornare al tavolo delle trattative sindacali per cercare lì di migliorare la produttività aziendale. Infatti, l’accordo tra le parti ci ha dimostrato tutto il dinamismo responsabile di cui è ancora capace il modello di relazioni sindacali italiano: taglio del 60% dei permessi sindacali dal 1/1/2015, ma mantenimento delle ore di assemblea sindacale. Riduzione delle pause (dopo la trattativa si è arrivati alla decisione di ridurre solo quella aggiuntiva di Porcia da 10 a 5 minuti) e aumento della produzione. Infine, ricorso ai contratti di solidarietà nelle fabbriche, alla cassa integrazione straordinaria in alcune aree impiegatizie ed alle uscite incentivate volontarie o finalizzate alla pensione; mantenimento integrale del salario.

Insomma, nessuna chiusura di stabilimento e nessun licenziamento traumatico ma anzi le condizioni per produrre in Italia il meglio dell’azienda Electrolux. Non un piccolo risultato. Abbiamo avuto la possibilità di usare strumenti come la solidarietà come un aiuto ad un percorso di produttività e difesa del potenziale manifatturiero italiano. Questa è una buona via, perché è la condivisione di un sacrificio che serve per trovare punto di equilibrio. Quella di Electrolux è stata una discussione difficile che poteva prendere diverse strade ma, invece, è stata coronata dal successo che nelle assemblee le hanno tributato i lavoratori.

Il giorno della sigla dell’accordo a Palazzo Chigi il Parlamento approvava definitivamente il “decreto lavoro”. 

“Decreto lavoro” è il titolo chiaro e solido di un provvedimento orientato ai fatti e dai fatti ragionevolmente ispirato: misure efficaci per agevolare la creazione di lavoro buono, in un tempo di crisi ma anche di accelerazione della speranza. Qui, proprio nel “decreto lavoro”, è contenuta una norma che prevede il rifinanziamento della decontribuzione dei contratti di solidarietà. Con una copertura finanziaria rinnovata ed aumentata e una soglia di intervento che è stata innalzata dal 25 al 35%, il Governo ha risposto alla domanda ed alla sfida lanciata dal sistema industriale. La decontribuzione farà la sua parte. In tutti quei casi in cui: investimenti seri, accordi di produttività concreti e garanzie occupazionali sarà uno strumento utile. Si tratta di strumenti di sostegno che, già presenti nell’ordinamento, sono stati ammodernati e potenziati per rispondere alle domande attuali. Ma aggiungo di più, si tratta di strumenti la cui possibilità d’uso richiede un cambio di passo e di mentalità da parte di tutti i soggetti protagonisti.

C’è un altro dato che merita di essere messo in rilievo: su questo caso specifico Palazzo Chigi, il Ministero dello Sviluppo Economico e quello del Lavoro hanno lavorato insieme ed hanno lavorato bene. Le Regioni, tutte quelle interessate dalla localizzazione degli stabilimenti, non hanno mai mancato di partecipare allo sviluppo delle trattative dimostrando, con l’assidua disponibilità e le proprie rispettive capacità di intervento, consapevoli di quanto alta fosse la posta in gioco.

L’azienda ha commentato: “l’accordo ci permette di cogliere tutte le opportunità, di servire meglio i nostri clienti e i consumatori”. Semplici e ragionevoli le considerazioni di fonte aziendale. 

Come vorrei che lo fossero quelle della politica: “l’accordo ci permette di dimostrare che esiste una base ragionevole per la speranza di tornare a crescere e a dare occupazione al nostro Paese”. 

Non è facile ma si può fare. 

 

 (*) Ministro del lavoro e delle politiche sociali

 

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