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Occupazione, l’esempio tedesco

Quando un giovane su due è disoccupato, Pil, salari ed occupazione calano, la coesione sociale è a rischio grave. Purtroppo le numerose affermazioni sulla centralità del lavoro non si accompagnano a proposte valide per creare occupazione in condizioni economiche negative. Il presidente Letta ha avuto il merito di imporre a livello europeo la priorità del tema e questo non è poco, ma non basta.

 

Si parla del programma “Youth garantee” che dovrebbe liberare 6 miliardi di euro per facilitare il percorso dei giovani verso il lavoro, ma è poca cosa per cinque anni e per tutta l ́Europa, per l ́Italia si spera nello scongelamento di 7 miliardi di euro dai Fondi europei dopo l ́uscita dalla procedura d ́infrazione del deficit, ma si tratta di fondi che devono superare due ostacoli, un cofinanziamento nazionale di entità almeno pari, la disponibilità di progetti di sviluppo.

Questo potrà aiutare ma non basterà all ́Italia per portare la disoccupazione giovanile a livelli sopportabili, dall ́attuale 40,5% al 24% europeo. Perché vanno considerati almenodue aspetti, primo, nel mondo globalizzato i tassi di crescita del Pil dei paesi industriali saranno comunque bassi, non lontani dal 2% medio, secondo, stiamo sperimentando che, malgrado una crescita occupazionale nel settore dell ́information technology, l ́elettronica distrugge in complesso più posti di lavoro di quanti ne crea.

Molte ricerche lo dimostrano. In sintesi, esse dicono: “Non scompaiono soltanto l ́impiegata del check in all ́aeroporto, il bigliettaio in stazione, il cassiere soppiantato dal Bancomat, il negoziante soppiantato dalla vendita in rete; scompare anche il giovane laureato in uno studio di avvocato soppiantato da un software che in pochi secondi trova una legge, il giovane architetto che trasforma in disegni lo schizzo del maestro, perché un computer lo fa prima e meglio di lui, l ́insegnante soppiantato dall ́e – learning,”. Perciò la disoccupazione giovanile va affrontata con la crescita ma anche con criteri innovativi.

La Germania è il paese europeo che, grazie ad una intelligente politica di “flessibilità degli orari” ha ottenuto risultati straordinari. Durante la grande recessione del 2009 , mentre il Pil scendeva del 6% il tasso di disoccupazione tedesco addirittura calava ed oggi la disoccupazione giovanile tedesca è al 7,5%, malgrado la quasi stagnazione del Pil negli ultimi anni. Come è stato possibile questo miracolo? Con una buona dose di innovazione ed una stretta collaborazione tra imprenditori e sindacati. Le principali caratteristiche del sistema tedesco sono: 1) contratti di apprendistato e di formazione permanente organizzati da governo ed imprese; 2) collocamento dei disoccupati verso nuovi impieghi, grazie all ́azione degli uffici del lavoro ed alla “minaccia” di perdere i sussidi di disoccupazione in caso di rifiuto delle nuove offerte; 3) sussidi tipo CIG alle imprese in crisi di sopravvivenza che non licenziano; 4) contratti di solidarietà con riduzione delle ore di lavoro e parziale recupero guadagni a carico dello Stato (come i nostri contratti di solidarietà in cui lo Stato compensa al 50% le perdite salariali da riduzioni di orario). E infine, ma non per ultimo come importanza nei risultati del miracolo tedesco, la “contabilità del tempo di lavoro”.

Mentre in Italia si incentivano gli straordinari, con la defiscalizzazione, la Germania va in altra direzione. Dalla metà degli anni ́90 le imprese tedesche hanno smesso di pagare il lavoro straordinario sostituendolo con un sistema di “contabilità del tempo di lavoro”, che permette alle aziende di non pagare gli straordinari ed ai dipendenti di gestire il tempo in modo flessibile, Con questo sistema si è realizzata la massima flessibilità di orario con il massimo dei diritti. Col risultato che, malgrado dal 2000 ad oggi il Pil tedesco sia cresciuto poco, meno dell ́1% all ́anno, l ́occupazione è aumentata e la disoccupazione, totale e giovanile è ai minimi storici, sotto l ́8%.

Infine, vorrei rimarcare la triplice convenienza di un simile sistema, per l ́azienda che guadagna in minori costi lavoro, in flessibilità di orari e nella conservazione delle risorse umane, per i lavoratori che conservano posti lavoro sicuri con piccoli sacrifici di paga – con un orario ridotto del 20% perdono solo il 10% di paga – e lo Stato tedesco che paga un terzo di quello italiano a parità di occupazione. Infatti, facciamo l ́esempio di un ́azienda con 4 dipendenti. Se invece di licenziare un lavoratore si riduce del 25% l ́orario, si hanno i seguenti effetti: l ́azienda ottiene il monte ore che vuole e relativo costo lavoro, entrambi ridotti del 25%; nessun dipendente va in CIG, evitando così di inquinare anche il mercato del lavoro nero; i 4 dipendenti lavorano il 25% di ore in meno ma perdono solo la metà, il 12,5% di salario, l ́altra metà essendo compensata dal contratto di solidarietà. Infine, lo Stato risparmia: infatti, paga un terzo rispetto a quanto pagherebbe con la la CIG. Invece di pagare, per esempio, 1400 euro al mese al lavoratore in CIG, 1000 di salario diretto e 400 di oneri figurativi, paga solo 125 euro a testa come contributo di solidarietà ai 4 lavoratori, 500 euro in totale al posto di 1400. L ́azienda non licenzia ed è pronta alla ripresa, lo Stato paga meno e l ́occupazione giovanile resta al 7% tedesco invece che al nostro 40%! . Studiamo un po ́ di più il modello tedesco invece di inveire solo contro la Merkel.

 

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