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Tutti d’accordo nel dire, a fare solo incertezza

Allerta. Pericolo. Sicurezza. Se si vuole scegliere di essere concreti nell’azione allora, questo è lo schema logico da adottare nella lotta ai cambiamenti climatici, sia a livello centrale quanto periferico. Altrimenti c’è il rischio di continuare a fluttuare in uno stato di perenne remissività, un limbo dove convivono in perfetta sintonia scialbo disinteresse e persino ideologizzazione negazionista. Quando sarebbe invece di fondamentale importanza allinearsi al più presto con la scienza, e i suoi numeri. 

A fronte di una situazione climatica che tende a complicarsi notevolmente e rapidamente, la sciagura della Marmolada, solo l’ultima in ordine di tempo, è lì a ricordarcelo. Oramai, esperti ed osservatori internazionali parlano senza mezzi termini di situazione folle”, insolita” e semplicemente scioccante”. Secondo i dati Ispra il 28% del territorio italiano presenta evidenti segni” di degrado e desertificazione. Gli ultimi dati ufficiali documentano un quadro di emergenza grave per il bacino padano, a causa della perdurante assenza di piogge. 

Doppia problematica per il fiume Po a secco: da una parte i rischi per il settore agroalimentare e dall’altra la risalita del cuneo salino che sta alterando gli equilibri ambientali nel delta del grande fiume. Le sporadiche piogge di primavera non hanno allentato la morsa della siccità nel bacino padano e, hanno portato in evidenza le criticità di altre regioni: Piemonte, Lombardia e Veneto hanno chiesto e ottenuto dal Governo i primi finanziamenti per gestire il razionamento dell’acqua. 

Marche, Lazio e Toscana sono in situazione sempre critica. Il fiume Serchio in lucchesia che storicamente è stato sempre ricco d’acqua e che ha contribuito a dotare la risorsa idrica a città come Pisa e Livorno, oggi è in affanno. In Campania il corso di tutti i fiumi è diminuito rispetto al 2021. La Basilicata ha un deficit di risorse stoccate nei bacini idrici. Parliamo di scenari connessi a criticità ambientali che si stanno diffondendo in tutto il paese a macchia d’olio. 

La risposta deve venire dalla distribuzione sul territorio di una rete di bacini medio-piccoli e multifunzionali. I grandi invasi sono diventati ormai insufficienti a coprire le esigenze emerse a causa della siccità, e quindi, la strategia andrebbe rimodulata puntando su tanti piccoli e medi invasi. La recente iniziativa del presidente Mario Draghi di nominare un commissario dedicato a seguire da vicino il tema siccità è un importante segnale ma quello che serve è che a ciò segua un ambizioso piano strutturale di ampio raggio, che per essere realizzato necessita di investimenti e politiche.

L’Italia è un paese particolarmente vulnerabile sul piano infrastrutturale, ma anche su quello della resilienza. Inversione culturale e pianificazione di infrastrutture richiedono tempo, e lungimiranza. Quello che abbiamo a disposizione si restringe purtroppo ad un arco di sole poche settimane. Durante il quale lo stress idrico estivo potrebbe pregiudicare, in alcuni territori, la perdita parziale o totale del raccolto. 

Attualmente, per colmare gli scompensi causati dalla siccità (dal trend demografico e dall’attuale modello di sviluppo”) il nostro paese è “obbligato”, per garantire il fabbisogno, a fare maggiore uso d’acqua estratta dalle falde, con costi enormi. Ad oggi, l’Italia è tra gli stati dell’Unione con tariffe più basse (con una media di 2,08 € al metro cubo a fronte dei circa 4,08 € della Francia). Mentre, siamo tra i cittadini europei che hanno il più elevato consumo giornaliero di acqua potabile (150 litri per persona al giorno). Gli ultimi dati Istat certificano che il 28,4% delle famiglie esprime ancora poca fiducia nel bere acqua del rubinetto. E deteniamo il record mondiale di paese che consuma acqua minerale (200 litri lanno a persona). Discrasia dal sistema europeo che necessita di correzioni, a partire da quella tariffaria e dall’ammodernamento delle reti idriche.

Economicamente, secondo le stime fornite recentemente dalla Fondazione Utilitatis sulla base di un campione di 231 gestori, il comparto idrico ha avuto un fatturato complessivo nel 2020 di 7,8 miliardi di euro, impiegando circa 28 mila addetti. Tra le aziende, quelle con ricavi superiori ai 100 milioni rappresentano il 53% del fatturato totale e la maggioranza delle aziende, con ricavati inferiori ai 10 milioni, rappresenta solo il 4%. Nel complesso il settore idrico è considerato in crescita sia in termini finanziari, che sostenibili e di opportunità. È da sfruttare. Per migliorare la rete idrica, in gran parte d’Italia ancora fatiscente (si perde ancora mediamente il 40%) e per far in modo che i cittadini modifichino le abitudini, cambiando atteggiamento per un bene, l’acqua, sempre più prezioso.

 

 *esperto ambientale(@degirolamoa)

 

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