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Appunti su un riconoscimento dovuto

Il disegno di legge sul lavoro autonomo approvato dal Senato e attualmente all’esame della Camera volta pagina rispetto a una lunga stagione nella quale il diritto del lavoro ha considerato il lavoro autonomo come ontologicamente estraneo al proprio campo di applicazione.

Ora finalmente si riconosce in modo organico e compiuto, in primo luogo, che anche il lavoro autonomo, come quello di chiunque tragga dalla propria professione e dalla propria attività il necessario per il proprio sostentamento, ha alcune esigenze di sicurezza.

Esigenze che, in questo caso, non possono essere soddisfatte all’interno del contratto di lavoro, ma possono e devono essere soddisfatte nell’ambito del rapporto previdenziale.

Con questo disegno di legge si riconosce, inoltre, che anche il lavoro autonomo, come quello di qualsiasi altro operatore nel tessuto produttivo, può soffrire di abusi di posizione dominante a situazioni di dipendenza economica nei confronti del committente, da cui derivano distorsioni contrattuali che devono essere corrette.

Mi sembra, dunque, che per questo aspetto il disegno di legge vada salutato come un fatto di grande rilievo nell’evoluzione di una branca dell’ordinamento che in questi anni sta rinnovando profondamente i propri principi ispiratori e i propri contenuti.

È importante anche la seconda parte del disegno di legge, con la quale si intende promuovere l’area del lavoro subordinato che più si avvicina al lavoro autonomo: quella dei rapporti nei quali una parte della prestazione, per accordo tra le parti, può essere svolta senza vincoli di luogo e di orario. Questo intendimento è del tutto condivisibile; purché lo si faccia con disposizioni che ne preservino il carattere di “agilità”.

Non si preserva questo carattere se l’accordo in proposito tra le parti viene appesantito con costi di transazione superflui. Passi l’obbligo di stipulare l’accordo in forma scritta; ma se si impone che l’atto scritto definisca anche “le forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro” (articolo 16), si obbliga l’imprenditore ad avvalersi di un consulente per stipularlo correttamente. E si allarga la materia del possibile contenzioso giudiziale. L’articolo 19 prevede, poi, l’obbligo per l’imprenditore di consegnare “al lavoratore e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, con cadenza almeno annuale, un’informativa scritta nella quale sono individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro”: altre scartoffie, altro lavoro per consulenti, avvocati, ispettori e giudici. Costi di transazione inutili, perché il lavoro agile non presenta di per sé alcun rischio aggiuntivo rispetto al lavoro svolto in azienda.

La realtà è che non perdiamo occasione per promettere agli operatori economici semplificazione normativa e abolizione degli adempimenti inutili, ma – se si eccettua la maggior parte dei decreti emanati nel 2015 per l’attuazione della delega del Jobs Act – ogni volta che il legislatore si occupa di lavoro scattano come un riflesso condizionato i tradizionali eccessi di giuridificazione e burocratizzazione del rapporto.

Questa volta siamo ancora in tempo per evitarli.

 

 (*)   Senatore, Articolo pubblicato da CNA Rivista, periodico della Confederazione Nazionale dell’Artigianato,  febbraio 2017

 

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