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Auto nella tempesta perfetta 

Vale la pena analizzare, con una visione più ampia, il sempre bel lavoro della FIM Nazionale sulla produzione Stellantis di autoveicoli in Italia. Sebbene ragioniamo su numeri molto bassi, 480mila auto prodotte, rispetto a quella mondiale di circa 76 milioni, dobbiamo considerare che a fronte di un calo di 4,5 milioni di auto realizzate rispetto al 2021, in Italia la produzione è invece salita del 17,4%. A parte Melfi, che fa gli stessi volumi produttivi, tutti gli altri stabilimenti crescono. 

Certo non siamo alle 743mila unità del 2017, che insieme ai 292mila veicoli commerciali portarono la produzione italiana a superare il milione; in fondo quella era un’altra era, non c’era ancora il Covid, l’inflazione era sotto il 2%, non esisteva il conflitto in Ucraina e non si parlava di crisi dei microchip. La Alix Partner aveva previsto, a livello globale, una riduzione di 7,7 milioni di auto tra il 21 e il 22, la contrazione si è fermata 4,5 milioni circa. Non è una consolazione ma un segnale da cogliere con ottimismo. L’analisi della AFS (Auto Forecast Solutions) conferma che i gruppi più colpiti sono soprattutto americani ed europei. 

Stellantis avrebbe dovuto sacrificare una produzione pari a quasi 1,5 milioni di auto, seguita da General Motor con quasi 1,3 milioni e da Ford con circa 800mila. Si tratta di volumi considerati “non più recuperabili”. Anche Toyota avrebbe perso circa 800mila auto, qualcosa in più rispetto a Volkswagen. Di fatto insignificanti le perdite attribuite alle case cinesi. Perciò se Stellantis ha avuto una perdita complessiva di 1,5 milioni di auto e in Italia abbiamo una crescita produttiva del 17% e se consideriamo anche i veicoli commerciali, siamo di fatto in pareggio rispetto al 2021. Dunque si può tranquillamente affermare che, sebbene i numeri siano drammaticamente bassi, i modelli Stellantis prodotti in Italia riescono a mantenere le quote di mercato. 

Non entusiasmiamoci, ma nemmeno dobbiamo pensare di essere i peggiori in classifica anche perché sia Toyota, il primo gruppo al mondo, sia Stellantis hanno già anticipato colli di bottiglia per il primo trimestre del 2023 con possibili ripercussioni sui tempi di consegna delle auto già ordinate. La situazione dovrebbe poi progressivamente migliorare: un po’ per via dei nuovi contratti di fornitura e un po’ per via del calo della domanda (dal punto di vista congiunturale non esattamente, però, una buona notizia). Inoltre Stellantis sul fronte delle materie prime per produrre batterie e nel campo dei motori elettrici sta attuando una strategia di sinergie e acquisizioni di e con aziende a livello globale. 

La “tempesta perfetta” che si è abbattuta sull’industria dell’auto ha comportato un calo pesante della produzione mondiale. Nel 2019, prima della pandemia, secondo i dati dell’International Organization of Motor Vehicle Manufacturers (OICA), erano stati raggiunti i 91,2 milioni di esemplari, crollati a 77,7 milioni nel 2020 (quando numerosi stabilimenti erano rimasti chiusi per settimane per via delle restrizioni imposte dal Covid) e risaliti solo parzialmente nel 2021 a 80,1 milioni. Se gli Usa stanno praticando politiche per riportare la produzione dei microprocessori in casa, l’Unione Europea ha varato un piano da 43 miliardi a sostegno degli investimenti nel settore per ridurre la dipendenza comunitaria dai paesi produttori. Con lo sforamento anche nel 2023, la crisi dei semiconduttori appesantirà il comparto per almeno altri 12 mesi. 

A pagare il prezzo della situazione sono soprattutto i consumatori, in particolare quelli con minori disponibilità economiche. Oltretutto quasi tutti i costruttori hanno deciso di riservare i preziosi microprocessori ai modelli più redditizi e talvolta anche quelli vengono consegnati con la promessa di successivi aggiornamenti. Rimane un fatto: siamo un Paese carente di materie prime, per produrre microchip e anche laddove ci sono si incontrano le resistenze ambientali nell’estrarli e lavorarli, dobbiamo ancora decidere “cosa vogliamo fare da grandi”.

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