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Bancari: un contratto dall’anima sociale

Con i rinnovi dei CCNL del Commercio e del credito abbiamo aggiunto un tassello importante per affermare che i contratti nazionali esistono, ci sono e si possono rinnovare. Coloro che nelle controparti e nel governo dovessero vivere la contrattazione nazionale come un impaccio del novecento sbagliano e sottovalutano lo straordinario ruolo che i contratti svolgono per unire il mondo del lavoro. Ciò da solo, però, non garantisce il superamento delle difficoltà per realizzare: 

  • una piena inclusione di tutte le tipologie di lavoro;
  • una lettura dei processi d’innovazione capaci di governare i cambiamenti tecnologici, organizzativi e professionali;
  • un rafforzamento della contrattazione capace di riportare il sindacato a vera autorità salariale e professionale.

Per noi, per la categoria dei bancari aver conquistato il contratto, averne difeso il ruolo fondamentale di tutela universale evitando arretramenti e anzi producendo delle innovazioni è la pre-condizione per poter lavorare sugli obiettivi di cui sopra. 

Un risultato importante e straordinario soprattutto considerati tutti quei soggetti, da ABI e parti del governo che avrebbero voluto in un colpo solo abolire il contratto e sconfiggere il sindacato.

Per questo è molto importante quanto si afferma proprio nella premessa dell’ipotesi di rinnovo del contratto: centralità del CCNL e il rilancio della contrattazione di secondo livello.

La riconquista del contratto del credito sconfigge la teoria e la pratica della disapplicazione dello stesso che se attuata avrebbe generato il far west delle relazioni sindacali. Certo, in questo caso avremmo agito con la mobilitazione, avevamo già deciso due giornate di sciopero. E avremmo impugnato la questione sul piano legale. Bisogna, però, essere chiari: l’azione legale, di per sé, non sarebbe stata in grado di restituire quel valore sociale al contratto che invece è stato garantito dal ruolo delle parti sociali.

I gruppi bancari con la disapplicazione avrebbero fatto saltare l’area contrattuale con 60 mila lavoratori fuori, non avrebbero più riconosciuto gli scatti d’anzianità, avrebbero fatto saltare le indennità di mobilità, i permessi e una parte delle ferie. In sostanza avrebbero scelto di attaccare fior da fiore la parte per loro più indigesta delle tutele contrattuali. Il risultato conclusivo della trattativa non solo difende gli istituti contrattuali nella loro interezza ma respinge sia l’intervento strutturale sugli scatti d’anzianità che quello congiunturale, contrastando l’idea del rinnovo a costo zero.

In tempi di deflazione abbiamo ottenuto il 3% di aumento, pari a 85 euro. E se consideriamo anche gli scatti di anzianità e che gli aumenti non saranno erogati sotto forma di elemento distintivo della retribuzione (EDR) ma in paga base significa vedersi riconosciuto un aumento del 5,4% quindi 155 euro. Rispetto al precedente contratto in cui ottenemmo il 6,05% con il blocco degli scatti e con valori inflattivi ben superiori a quelli attuali.

Dobbiamo ricordare che siamo partiti da una proposta della controporte che contrapponeva due sole strade: svuotare il contratto o la disapplicazione. Abbiamo costruito unitariamente la terza ipotesi che favorisce l’area contrattuale ed il suo mantenimento; che favorisce l’occupazione nella categoria; che non consente stravolgimenti degli inquadramenti; che favorisce i salari con il mantenimento degli scatti di anzianità; che trova la mediazione sul calcolo del TFR solo su paga base e scatti di anzianità incidendo, quindi, solo su coloro che hanno voci aggiuntive in busta paga; che introduce garanzie rispetto al jobs act; che favorisce i giovani con un aumento dell’8% in busta paga, pari a 170 euro da subito e di 250 euro a regime.

Questi ultimi due elementi sono di per se un valore aggiunto che dovremmo far vivere anche rispetto alle altre categorie. Mentre c’è un governo che toglie diritti c’è un sindacato che trova la soluzione per garantirli. Mentre nelle crisi sono i più deboli a pagare noi, privilegiando i giovani, abbiamo voluto sostenere proprio coloro che negli ultimi anni sono stati relegati a categoria debole e senza futuro. 

Questo dimostra che è il sindacato, non Matteo Renzi, a occuparsi dei giovani. Noi abbiamo contrastato la logica dei doppi regimi. Mentre lui toglie diritti, come l’art. 18, noi li difendiamo. Inoltre, abbiamo confermato il Fondo per l’occupazione e abbiamo preso l’impegno con l’ABI per non lasciare solo nessun licenziato.

In questo contesto di crisi, difficoltà di crescita, sofferenze e processi di riorganizzazione, il Presidente del Consiglio dei ministri, ha scientemente delineato un attacco ai sindacati superando il confronto con le parti sociali e teorizzando che i contratti nazionali vadano superati. Il salario minimo per esempio, rischia di essere l’elemento che mette fine ai contratti. 

Il governo, inoltre, non ha saputo prendere una posizione forte e chiara sulla costituzione di una bad bank come si è fatto in altri paesi. E l’intervento sulle banche popolari è stato realizzato in modo maldestro facendo l’interesse di pochi a discapito di molti. Questi sono ulteriori elementi a dimostrazione della tesi che questo governo la categoria del credito l’ha penalizzata ed avrebbe fatto anche di peggio se non avessimo fatto il nostro doveroso lavoro come sindacato. I pubblici dipendenti hanno il contratto fermo dal 2010. Il governo avrebbe fatto altrettanto con noi.

Non dobbiamo avere timore nel definire l’ipotesi di rinnovo contrattuale difensiva sapendo che il suo valore è nel non avere concesso arretramenti ed avere introdotto alcuni elementi di novità sociale. Abbiamo provato a mantenere la scadenza entro il 30 giugno 2018, alla fine per concludere il negoziato, abbiamo accettato l’allungamento della vigenza contrattuale. Volevamo evitare la disapplicazione e difendere l’area contrattuale e ci siamo riusciti.

L’anima sociale è il vero valore aggiunto di questa ipotesi d’accordo. Anche nel pieno della crisi e nelle difficoltà, lanciamo un messaggio di fiducia e di speranza, sia alle nuove generazioni che agli oltre trecento mila occupati del settore.

L’anima sociale del contratto si articola su tre diversi piani parimenti importanti.

  1. 1.I giovani che hanno un aumento superiore alla media;
  2. 2.l’intervento per coloro che hanno perso il lavoro o che sono nel fondo emergenziale, per cui abbiamo costruito i presupposti affinché possano essere reimpiegati nella categoria;
  3. 3.le tutele, pur parziali, dal jobs act quindi la previsione di garanzie rispetto all’art. 18 per gli attuali occupati sia in caso di cessioni di ramo d’Impresa, di fusioni, di new.co ma anche di cessioni individuali del rapporto di lavoro, tutelando così l’insieme della categoria dalle conseguenze negative delle scelte del governo.

Al nostro interno c’è stata una discussione intensa, partecipata e carica di passione. Si è ritenuto che la riconquista del CCNL contrastando la disapplicazione abbia determinato nei fatti la sconfitta delle posizioni di ABI.

Il direttivo si è concluso con l’approvazione dell’ipotesi di rinnovo, con 109 a favore e 56 contrari. Tutti gli altri sindacati l’hanno approvato all’unanimità. Valuto positivamente un risultato del genere. Se guardiamo al contratto nazionale del 2012 ne usciamo più forti e più uniti anche come FISAC. Siamo riusciti, in questi due anni, ad aumentare l’unità interna pur mantenendo le diverse sensibilità. E siamo riusciti soprattutto a far vivere l’unità di tutto il sindacato nella categoria. Otto sigle sindacali oggi unite come mai prima.

Alle assemblee ci si va sostenendo il giudizio positivo sull’ipotesi d’accordo. Per questo il direttivo nazionale ha approvato un dispositivo che impegna tutta l’organizzazione a sostenere nelle assemblee l’ipotesi d’accordo. Non sono consentiti dualismi e doppiezze del gruppo dirigente. È chiaro a tutti che una volta che il Direttivo Nazionale ha votato quella approvata diventa la posizione di tutta la FIASC CGIL. Tutto il gruppo dirigente è impegnato in questa direzione. Se qualcuno pensa di voler riprodurre le divisioni e le tensioni del 2012 sappia che commette un grave errore e fa male a tutto il sindacato.

Certamente il mandato a firmare dovrà venire dalle assemblee, perché è assieme ai lavoratori che si da valore al contratto nazionale. Lo presenteremo come una riconquista di tutti. Il quindici giugno, data entro la quale si concluderanno le assemblee, se ci sarà il mandato con la firma metteremo la parola fine alla possibile disapplicazione del CCNL in categoria.

Questa ipotesi di rinnovo contrattuale è frutto della mobilitazione dei lavoratori e dell’aver tenuto il fronte unitario di tutto il sindacato dall’inizio alla fine. Senza queste due condizioni il contratto non potrebbe esserci.

Il sindacato del credito, grazie al supporto dei lavoratori e alla sua unione, è riuscito a superare le molteplici difficoltà che si sono andate a creare nel corso di questo lungo periodo di contrattazione. Abbiamo ripreso le nostre radici: abbiamo realizzato i presupposti affinché i bancari italiani possano avere un contratto nazionale.

La difficile vertenza del credito insegna che il sindacato, i corpi intermedi svolgono ancora oggi un ruolo di primaria importanza. Al paese non servono ne gufi ne asfaltatori. Serve un grande patto tra le forze produttive, il mondo accademico ed intellettuale per uscire dalla crisi e garantire una ripresa fondata sul lavoro. Si tratta di coniugare la difesa dei diritti ed elementi d’innovazione per interpretare al meglio il cambiamento in atto per governarlo e guidarlo nella giusta direzione.

Dobbiamo partire da una analisi che sostengo da oltre dieci anni: il principale problema dell’economia italiana è la crescente diseguaglianza da leggere in relazione alla mancata crescita della produttività e della redistribuzione della ricchezza. Il sindacato, le organizzazioni datoriali ed il governo devono rompere questo circuito negativo. Dobbiamo determinare una crescita dei salari oltre il mero riconoscimento dell’inflazione (soprattutto ad inflazione zero). E’ quindi necessario favorire la crescita della produttività delle nostre imprese e che una parte di essa sia riconosciuta al mondo del lavoro. Per ottenere questo risultato è necessario rilanciare l’unità del sindacato, dobbiamo arrivare alla predisposizione di una piattaforma unitaria come facemmo nel 2008. E dobbiamo sostenere e realizzare una contrattazione basata su due livelli, come già previsto nella premessa all’ipotesi di rinnovo contrattuale del credito: “[…] si conferma, anzitutto, la centralità del contratto nazionale e si mira a valorizzare le relazioni industriali a livello aziendale e di gruppo: il primo, infatti, ha la funzione di garantirla certezza dei trattamenti economici e normativi comuni per tutti i lavoratori del settore, nonché, di declinare i criteri ed i principi sulla base dei quali indirizzare la contrattazione di secondo livello; le seconde rappresentano le sedi più idonee a meglio rispondere alla progressiva diversificazione delle singole realtà, in funzione delle scelte strategiche ed organizzative, nel rapporto con la clientela e nell’offerta di prodotti e servizi, anche in funzione del miglioramento della produttività e della redditività aziendale[…]”.

Scaduto l’accordo separato del 2009 ci aiuta il nuovo accordo sulla rappresentanza del 2013. Una battaglia della CGIL che durava da quarant’anni per realizzare la piena democrazia nei luoghi di lavoro trova oggi compimento con il regolamento attuativo degli accordi 28 giugno e 30 maggio 2013. Sarebbe utile a questo punto una legge di supporto alla sigla che le confederazioni sindacali italiane hanno apposto sotto le parole: democrazia e rappresentanza ma anche l’applicazione immediata a tutte le categorie e a tutti i livelli di tali accordi.

 

* Segretario Generale FISAC CGIL

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