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Caporalato digitale: le alternative possibili*

Oggi in Italia sono 3,5 milioni i lavoratori che fanno esperienza di lavoro atipico e discontinuo, un fenomeno che sarà sempre più amplificato dall’ingresso nella Quarta Rivoluzione Industriale. Si calcola che nei prossimi cinque anni nel nostro Paese saranno persi ben 5 milioni di posti di lavoro.

Dove finiscono i lavoratori che si ritrovano “isolati” nel mondo del lavoro? 

Molti si reimmettono sul mercato del lavoro come lavoratori autonomi freelance, altri entrano nel circolo del lavoro dipendente precario firmando sequele di contratti a termine, altri ancora colgono le occasioni di lavoro offerte dai giganti della sharing economy, come driver o fattorini, inquadrati come lavoratori autonomi, ma in realtà veri e propri dipendenti di poteri digitali senza un nome o una faccia cui poter chiedere il riconoscimento dei propri diritti.

Piattaforme digitali: opportunità o trappole mortali?

Le piattaforme digitali possono essere utilissime al mercato del lavoro, purché siano imprese o cooperative a mettersi sul mercato digitale e non i singoli lavoratori, che altrimenti rischiano di svendere la loro professione.

Ma la drammatica realtà è sempre la stessa: tutte le responsabilità connesse al mestiere svolto ricadono sul lavoratore. Si sviluppano così nuove forme di povertà, di auto-sfruttamento e di mortificazione professionale.

Che fare?

In un contesto simile, si aprono tre vie: accettare il sistema con rassegnazione, adattarsi ad esso sperando nella fortuna, combattere per cambiarlo. Scegliere la terza soluzione significa cercare il riscatto non solo dei “nuovi” lavoratori, ma anche di tutto il sistema lavoro.

E dato che un sistema legislativo del lavoro compiuto già esiste, la scelta vincente risulta quella di riferirsi ad esso, a una legislatura che difende il diritto all’equa retribuzione, alla sicurezza, alle ferie, alla libertà e dignità umana.

Si tratta di individuare una proposta che, invece di inventare nuove stravaganti soluzioni, favorisca a tutti l’accesso a quei dirittiche ormai sono privilegio di un numero di persone sempre più esiguo.

Cittadini lavoratori: per tutti gli stessi diritti

Basterebbe un semplicissimo cambio di visione: bisogna garantire le stesse protezioni sociali e gli stessi diritti a tutti i cittadini in quanto talia prescindere dall’attività merceologicadel datore di lavoro, dalla naturacontinuità durata dei rapporti di lavoro.

Solo così si potranno proteggere i lavoratori contrattualmente deboli, sia autonomi sia dipendenti, e governare l’andamento del mercato di oggi e di domani.

L’esempio degli artisti

Per assicurare una protezione efficace a tutti i lavoratori con costi a carico dei committenti e non dello Stato, basterebbe adottare lo stesso sistema legislativo applicato al lavoro degli artisti.

Della protezione sociale già nel 1947 era previsto che dovesse occuparsi l’impresario, assicurando loro un cachet non inferiore ai minimi stabiliti annualmente, versando loro i contributi per pensione, malattia, maternità, a prescindere dalla natura autonoma o subordinata del rapportoe dalla continuità o frammentazione dei contratti.

Questo in misura uguale per autonomi e dipendenti, permettendo così la totale sommatoria di tutti i contributi versati anche frammentariamente nel corso della vita lavorativa.

Ma come gestire la discontinuità del lavoro o i costi di innumerevoli ingaggi?

Per gli artisti dipendenti esiste una tipologia contrattuale adeguata alla loro tipica discontinuità: il contratto di lavoro intermittente.

Si tratta di un contratto di lavoro subordinato che, pur garantendo la continuità di relazione tra datore di lavoro e dipendente, prevede nei periodi di non lavoro la sospensione di tutti gli obblighi da ambo le parti.

Il rapporto si considera “dormiente” tra una chiamata e l’altra e il lavoratore può avere molti rapporti di lavoro per aumentare le possibilità di occupazione, potendo altresì godere – ricorrendone le condizioni – di indennità di disoccupazione, malattia, maternità, infortunio, anche durante le pause di inattività.

Estendere il lavoro intermittente anche alle nuove professioni svolte in modo subordinato – oggi costrette a mascherare come autonome attività che in realtà non lo sono – può garantire, sia ai datori di lavoro sia ai prestatori, un modo semplice, economico, dignitoso per gestire, regolare e controllare le attività discontinue. Per fare questo basterebbe aggiornare i criteri su cui basarne il ricorso e superare la tabella di riferimento, risalente a un Regio Decreto del 1923 (!).

E per i lavoratori realmente autonomi? 

Per combattere il “caporalato digitale”, che vende i lavoratori all’asta con ribassi indegni e senza nessuna apparente responsabilità, un primo passo potrebbe essere la definizione di tariffe minime e di norme stabilite in contratti collettivi per autonomi, così come previsto per gli artisti. 

Come combattere l’isolamento?

In un mercato del lavoro sempre più individualizzato e frammentato si osserva la diffusione di pratiche mutualistiche e collaborative che nascono dal basso. Sono proprio i lavoratori “polverizzati” nel mercato i primi a cercare, insieme, soluzioni e risposte alle proprie difficoltà.

Nascono così coworking, incubatori, FabLab, realtà che spesso si strutturano come associazioni, mutue o cooperative, per condividere problemi e soluzioni che appunto, lungi dall’essere individuali, sono uguali per tutti. Sempre più spesso la miglior risposta collettiva per uscire dall’isolamento lavorativo, sociale ed economico si chiama cooperazione.

*da Centro Studi DOC n 22/2018

**esperti di Centro Studi DOC

 

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