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Che fare per non lasciare che gli “ultimi” restino sempre tali

Com’è la situazione attuale in Italia?

La mia impressione è che la mitica classe operaia, che ai tempi tuoi e miei era l’ultima della gerarchia sociale, si è un po’ sollevata fino a diventare la parte inferiore del cosiddetto ceto medio, andando ad occupare il posto di penultima.

I nuovi ultimi (riders, contratti precari, disoccupati, ecc.) non li rappresenta nessuno anche perchè sono di difficile rappresentanza, dispersi in piccole unità produttive, contagiati dal benessere da un lato (la maggioranza di loro ha le spalle coperte dai genitori) e dal crescente individualismo dall’altro.

Abbiamo contribuito anche noi, come sindacalisti, a migliorare la condizione dei lavoratori, gestendo le grandi conquiste di salari e diritti (prima conquistandole e poi difendendole) fino alla fine del secolo.

Oggi, se alziamo lo sguardo a tutto il mondo, constatiamo che gli operai e gli impiegati italiani hanno una condizione molto migliore dei loro omologhi sul pianeta. Noi stiamo bene.

I nuovi ultimi sono il 20% della popolazione e, se ci affidiamo alle sole regole democratiche, la schiacciante maggioranza è per perpetuare l’attuale sistema sociale. Ci vuole un surplus di senso etico, un ascolto delle voci profetiche, per realizzare una società più giusta e questo richiede tempi lunghi.

Se noi avessimo spazio nel bilancio pubblico, le ricette che circolano, anche a sinistra, per migliorare la situazione andrebbero bene. Ma purtroppo abbiamo uno dei più grandi debiti pubblici del mondo e gli spazi per spendere di più a favore degli ultimi sono molto ridotti.

D’altro canto bisogna ridurre il debito pubblico per non far pagare ai nostri figli e nipoti, che fanno parte dei nuovi ultimi, il suo costo. E anche questo obiettivo, se mai sarà posto seriamente tra le priorità del governo, richiede tempi lunghi.

Come sarà l’Italia tra 20-30 anni quando noi molto probabilmente non ci saremo più? 

Ho in mente due esiti, contrapposti tra di loro.

Il primo è continuare a far pagare agli ultimi il costo della crisi, portandoli a essere non più il 20% ma il 25% o il 30%, riducendo il ceto medio, ma in modo tale che, applicando le sole regole “democratiche”, siano sempre in minoranza e privi di un’adeguata rappresentanza.

Il secondo è redistribuire la ricchezza creata (le vie sono molte) e pagare il debito pubblico, con una riforma del fisco che proceda su strade assai diverse da quella dell’attuale governo, rimettendo al centro la progressività di tutte le tasse.

La riforma fiscale è la via principale per riequilibrare la situazione in favore degli ultimi. La classica via contrattuale è infatti parzialmente preclusa perché il sindacato è debole nel terziario, che è il settore largamente maggioritario nell’economia (più del 70%dei lavoratori dipendenti vi è occupato) e in continua espansione. Dovrebbe investire molto più di quanto fa in questo settore e fra i nuovi ultimi, per avere un’adeguata rappresentanza anche in futuro. Non si tratta di abbandonare la vecchia rappresentanza, ma di allargarla.

Per poter pagare il pesante debito pubblico occorre che l’eventuale avanzo di bilancio sia destinato a questo scopo, con una conseguente restrizione degli spazi di avanzamento delle condizioni della grande maggioranza della popolazione. Fa eccezione quel 20% che è in condizioni di povertà e che va aiutato anche da un intervento pubblico.

Per ottenere questo occorre un cambiamento di mentalità profondo, che richiede molti anni. Passare, come tu affermasti, da uno sviluppo “sostenuto” a uno sviluppo “sostenibile”, prendendo sul serio i vincoli derivanti dalla crisi ecologica e sociale. Perché se il livello di consumo che abbiamo anche in Italia non è alla lunga sostenibile dobbiamo ridurlo, a partire dai più ricchi.

Occorre ridimensionare le aspettative di un benessere crescente all’infinito, imparare ad accontentarsi di quello che abbiamo, che è molto in confronto al resto del mondo.

Ci riusciremo?

*Già Segretario Generale della FIM CISL

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