In gran parte delle nazioni europee le scuole d’infanzia e le elementari hanno riaperto (nonostante avessero avuto un lockdown minore del nostro) o sono rimaste sempre aperte, o per tutti gli studenti (come in Svezia) o per i soli figli dei lavoratori dei servizi essenziali (come in Germania, Alto Adige, Inghilterra, etc.). In alcuni casi (Germania) si è estesa l’apertura anche agli ultimi 2 anni delle scuole superiori. In Italia, rinviando l’apertura a settembre si è persa l’occasione di sperimentare in giugno in modo da poter disporre di utili indicazioni per la riapertura successiva. I mesi estivi sarebbero serviti “non solo a recuperare gli apprendimenti persi, ma la capacità e il desiderio di farlo, aprendo su questo una discussione con gli insegnanti, ma anche coi soggetti della società civile che con quei bambini e ragazzi lavorano”, come ha scritto Chiara Saraceno.
L’idea di integrare (anche solo per un mese o due) le scuole elementari e d’infanzia con gli educatori dei campi estivi avrebbe consentito una sperimentazione di valore in cui l’apprendimento da Istruzione (in aula) si integrava con quello da Sperimentazione (all’aperto), in totale sicurezza in quanto l’estate offre spazi all’aperto bellissimi e questa modalità favorisce i piccoli gruppi. Le scuole in Italia sono chiuse dal 27 febbraio e quindi gli studenti sono stati privati, per certi aspetti, di mezzo anno scolastico (che certo non è stato totalmente recuperato con la didattica on line) che non funziona per i piccoli e che per i più grandi esclude la fascia dei soggetti meno pronti a fruire di questo tipo di didattica.
Si giustifica il rinvio a settembre con il timore di un contagio nella riapertura delle scuole, ma nello stesso tempo i virologi invitano gli over 65 a non ritornare a fare i babysitter dei nipoti nel Paese che ha il più alto tasso di convivenza tra nipoti e nonni al mondo e dove il 60% dei figli vive a meno di un km dai nonni. Ma se le scuole sono chiuse e gran parte dei genitori lavorano, chi sta coi nipoti? Al di là dei bonus, i nipoti stanno coi nonni in questo Paese (tutti lo sanno al di là delle normative). E la riapertura dei centri estivi è la conferma della difficoltà a coniugare “ristoro” con “rilancio”, cioè a usare la spesa pubblica non per un mero ristoro ma per avviare una riforma vera delle scuole stesse.
Patrizio Bianchi (a capo della task force del Ministero) ha indicato alcune linee di rinnovamento delle scuole. Ci sarà bisogno di investimenti di circa 3 miliardi all’anno per parecchi anni, bisognerà diminuire la presenza degli alunni nelle classi; le regole per il distanziamento prevedono, idealmente, la presenza di massimo 10 alunni per classe soprattutto nelle scuole elementari e dell’infanzia. L’opzione di una didattica all’aperto ed esperienziale ritorna così non come emergenza ma come fattore strutturale su cui impostare un migliore apprendimento nella fascia 3-14 anni. Nelle scuole superiori potrebbe esserci la possibilità di implementare e di arricchire la didattica a distanza. “Ma la più grande novità –dice Bianchi- potrebbe essere quella di immaginare nuovi spazi per le lezioni. Si può immaginare di usare degli spazi all’aperto (dai boschi in Trentino, ai parchi pubblici, musei,… nelle città ma anche altri ambienti stimolanti dal punto di vista culturale”.
Se le scuole d’infanzia ed elementari potrebbero così avvalersi della grande innovazione di una didattica esperienziale che si avvale di spazi all’aperto e comunque “altri” rispetto all’aula, per gli studenti delle superiori (e in particolare degli ultimi anni) è stata avanzata l’idea di un rilancio dell’alternanza scuola-lavoro, in modo che, oltre alla didattica in aula come momento di riflessione e di dialogo faccia a faccia col docente che è fondamentale per gli adolescenti, e alla didattica on line sulla base di una piattaforma avanzata, possa essere disponibile una terza didattica sui luoghi di lavoro. Luoghi, peraltro, non meno sicuri degli altri, per le stringenti norme assunte, e che rappresentano contesti di vita e di lavoro dove l’apprendimento avviene all’interno di una comunità di pratiche di adulti.
Potranno essere poi le scuole ad individuare le modalità su come distribuire in questi tre ambiti (aula, on line, luoghi di lavoro) gli studenti con scansioni tali per cui la presenza in aula risulti comunque per piccoli gruppi.
Così, da un lato, le scuole d’infanzia ed elementari avrebbero in questo modo un innalzamento dell’apprendimento che si avvale di una didattica anche esperienziale dove assume importanza anche l’”autoeducazione” del bambinoe dove insegnanti ed educatori costituiscono l’ambiente circostante del bambino che sta educando se stesso, dove maestro e bambino lavorano e imparano insieme. Gli studenti d’oggi accettano sempre meno un insegnamento noioso e di venire isolati dalla vita vera e propria. Il bambino, per sua natura, vuole essere attivo e la scuola però, così come è oggi, spesso lo impedisce.
Dall’altro, gli studenti degli ultimi anni delle superiori non dovrebbero essere più separati dalla vita e dal lavoro; non perché la scuola debba diventare in modo anticipato un luogo di sola formazione professionale, ma proprio per accrescere l’istruzione dei giovani tramite l’apprendere dalla vita e dal lavoro, superando il paradosso di una scuola che protrae questa separazione fino a 25-30 anni.
I bambini e sempre più gli adolescenti sono “esseri del presente”, che vogliono conoscere la realtà in cui sono immersi. Novalis, nel suo Frammento Paedagogik, ha indicato la direzione : “L’educazione dei bambini, così come la formazione di un apprendista – non avviene per educazione diretta – ma nel lasciarli partecipare, poco alla volta, alle occupazioni degli adulti”.
Se per la scuola d’infanzia ed elementari si impara per imitazione, per gli adolescenti è fondamentale il fare seguendo un modello. Per questo è importante avere rapporti con una comunità di adulti le cui professioni sono degne di essere conosciute; lo studente che vive all’unisono in tale ambito di attività, sviluppa una propria autoeducazione imitando e facendo, seguendo un modello. Ciò arricchisce e porta alla costruzionedi un nuovo “curriculum”. Vygotskij aveva già evidenziato come l’apprendimento avviene sempre “in contesto”, è l’essere inseriti in comunità di pratiche che fa apprendere. Essere inseriti in tale milieu di attività, con ciò che vive nell’ambiente circostante, entro la corrente di volontà degli adulti è di grande apprendimento. Anche l’”aula scolastica” farebbe parte di questo milieu, così modificato e se ne gioverebbe.
Spazi esterni ed interni sortiscono insieme infatti un ambiente completo. Il modo in cui ciò può venire allestito nei particolari dipende dalle innumerevoli condizioni che di volta in volta si presentano e sarà oggetto di scelte autonome sia delle Regioni che delle singole Scuole che vengono così trasformate all’interno della cultura in cui sono inserite (sia local/luoghi di lavoro che global/on line). Questo cambiamento del paradigma pedagogico accentuerebbe il ruolo della “scuola” come luogo di apprendimento, che in un primo tempo potrà essere anche di piccole proporzioni ma che poi andrà sempre più sviluppando una vera e propria valentia degli studenti verso un futuro poco conosciuto che si alimenta del globale, ma anche della riflessione sulle proprie radici culturali e sul paesaggio circostante.
*Docente di funzionalità economica delle imprese, Università di Ferrara