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Considerazioni, amare per tutti

L’incerta crescita mondiale

Le condizioni sui mercati finanziari globali sono migliorate, ma l’economia mondiale non è ancora tornata su un sentiero sicuro di crescita. La congiuntura è molto diversa nelle principali aree. I grandi paesi emergenti crescono tuttora a ritmi sostenuti. Tra i paesi avanzati, gli Stati Uniti sembrano avviati a un graduale ritorno ai ritmi di crescita che hanno caratterizzato le più recenti fasi di ripresa; in Giappone politiche aggressivamente espansive, non prive di rischi, cercano di stimolare l’attività economica.

L’area dell’euro stenta a superare la recessione: la domanda risente degli effetti immediati del consolidamento dei debiti pubblici e privati in molti paesi; la debolezza ciclica si estende alle economie non esposte direttamente alla crisi dei debiti sovrani.

Il rilancio nell’area dell’euro ha bisogno dell’apporto di tutte le politiche economiche. Ricorrendo anche a strumenti “non convenzionali”, la politica monetaria ha dato un contributo essenziale a evitare gravi conseguenze per la stabilità finanziaria; ha tutelato la stabilità dei prezzi. Gli strumenti di intervento sono stati scelti sulla base delle caratteristiche del sistema finanziario, dell’origine delle tensioni e dell’assetto istituzionale: abbiamo mirato prima di tutto a sostenere la liquidità delle banche, che nell’area dell’euro più che altrove svolgono un ruolo preminente nel finanziamento dell’economia, e a evitare che distorsioni sul mercato dei debiti sovrani impedissero la corretta trasmissione della politica monetaria.

La BCE e la stabilità dei mercati

Contrastare l’aumento dei tassi di interesse sul debito sovrano, quando questo scaturisce dal rischio di ridenominazione e distorce il meccanismo di trasmissione della politica monetaria, ricade pienamente nel mandato dell’Eurosistema. I benefici degli annunci relativi alle nuove misure sono stati immediati: i rendimenti a medio e a lungo termine nei paesi sotto tensione sono diminuiti, si è attenuata la frammentazione dei mercati lungo confini nazionali.

Gli interventi attuati dall’Eurosistema negli ultimi due anni hanno contrastato il peggioramento delle condizioni del credito nell’area dell’euro e le sue ripercussioni sul quadro macroeconomico. In Italia essi hanno contribuito a sostenere il prodotto per almeno due punti percentuali e mezzo nell’arco del biennio, secondo le nostre stime. Queste non possono peraltro valutare le conseguenze del collasso finanziario che avrebbe potuto verificarsi in assenza di interventi, con esiti esiziali per la nostra economia e per quella europea.

Negli ultimi mesi i timori sulla tenuta della moneta unica si sono ulteriormente attenuati e le condizioni finanziarie dell’area dell’euro si sono distese; vi ha contribuito l’espansione della liquidità globale, che ha indotto una ricerca di rendimenti elevati da parte degli investitori internazionali. In Italia i tassi di interesse sui titoli di Stato sono diminuiti anche sugli orizzonti più distanti nel tempo, riportandosi sui livelli prevalenti all’inizio del 2010.

Il Consiglio (della BCE) è pronto a intervenire nuovamente, sulla base delle informazioni che si renderanno disponibili, a considerare ogni misura idonea a mantenere, in tutta l’area, condizioni creditizie coerenti con l’intonazione della politica monetaria. La manovra dei tassi ufficiali si è dimostrata efficace; gli effetti delle riduzioni attuate l’anno scorso hanno raggiunto anche i paesi più colpiti dalle tensioni.

I provvedimenti adottati, in particolare l’annuncio delle OMT,[1] favoriscono quelle riforme, nazionali ed europee, che sole possono eliminare alla radice il rischio di ridenominazione. La politica monetaria è in grado di garantire la stabilità solo se i fondamentali economici e l’architettura istituzionale dell’area sono con essa coerenti. Ogni paese deve fare la propria parte.

Più di ogni condizione è però essenziale la comune determinazione a procedere verso una piena Unione europea: monetaria, bancaria, di bilancio, infine politica. Progressi importanti sono già stati compiuti. Nei tempi stretti dettati dall’evoluzione della crisi ci sono state incertezze, sono stati commessi errori, non è stato agevole decidere. Ma la direzione di marcia è chiara.

Le occasioni mancate dell’economia italiana

Anche quest’anno si chiuderà con un forte calo dell’attività produttiva e dell’occupazione. L’inversione del ciclo economico verso la fine dell’anno è possibile; dipenderà dall’accelerazione del commercio mondiale, dall’attuazione di politiche economiche adeguate, dall’evoluzione positiva delle aspettative e delle condizioni per investire, dalla disponibilità di credito.

La recessione sta segnando profondamente il potenziale produttivo, rischia di ripercuotersi sulla coesione sociale. Il prodotto interno lordo del 2012 è stato inferiore del 7 per cento a quello del 2007, il reddito disponibile delle famiglie di oltre il 9, la produzione industriale di un quarto. Le ore lavorate sono state il 5,5 per cento in meno, la riduzione del numero di persone occupate superiore al mezzo milione. Il tasso di disoccupazione, pressoché raddoppiato rispetto al 2007 e pari all’11,5 per cento lo scorso marzo, si è avvicinato al 40 tra i più giovani, ha superato questa percentuale per quelli residenti nel Mezzogiorno.

Le origini finanziarie e internazionali della crisi, cui si è soprattutto rivolta l’attenzione delle autorità di politica economica, non devono far dimenticare che in Italia, più che in altri paesi, gli andamenti ciclici si sovrappongono a gravi debolezze strutturali. Lo mostra, già nei dieci anni antecedenti la crisi, l’evoluzione complessiva della nostra economia, peggiore di quella di quasi tutti i principali paesi sviluppati.

Non siamo stati capaci di rispondere agli straordinari cambiamenti geopolitici, tecnologici e demografici degli ultimi venticinque anni. L’aggiustamento richiesto e così a lungo rinviato ha una portata storica; ha implicazioni per le modalità di accumulazione del capitale materiale e immateriale, la specializzazione e l’organizzazione produttiva, il sistema di istruzione, le competenze, i percorsi occupazionali, le caratteristiche del modello di welfare e la distribuzione dei redditi, le rendite incompatibili con il nuovo contesto competitivo, il funzionamento dell’amministrazione pubblica. È un aggiustamento che necessita del contributo decisivo della politica, ma è essenziale la risposta della società e di tutte le forze produttive.

Le imprese, il lavoro e la trasformazione necessaria

Le imprese sono chiamate a uno sforzo eccezionale per garantire il successo della trasformazione, investendo risorse proprie, aprendosi alle opportunità di crescita, adeguando la struttura societaria e i modelli organizzativi, puntando sull’innovazione, sulla capacità di essere presenti sui mercati più dinamici. Hanno mostrato di saperlo fare in altri momenti della nostra storia. Alcune lo stanno facendo. Troppo poche hanno però accettato fino in fondo questa sfida; a volte si preferisce, illusoriamente, invocare come soluzione il sostegno pubblico.

La Relazione contiene quest’anno un approfondimento sull’attività innovativa in Italia. La capacità di innovare i prodotti e i processi, di esportare sui mercati emergenti, di internazionalizzare l’attività, anche guidando o partecipando a catene produttive globali, demarca il confine tra le imprese che continuano a espandere il fatturato e il valore aggiunto e quelle che, invece, faticano a rimanere sul mercato. La crisi ha accentuato questo divario, reso stridente l’inadeguatezza di una parte del sistema produttivo.

Lo spostamento dell’attività dai settori e dalle imprese declinanti a quelli in espansione richiede profondi cambiamenti nei rapporti di lavoro e nel sistema dell’istruzione. Non si tratta di prevedere i settori e le attività cui più si rivolgerà la domanda di consumo e di investimento nei prossimi decenni, quanto di facilitare la transizione, riducendone i costi sociali, valorizzando le opportunità.

Molte occupazioni stanno scomparendo; negli anni a venire i giovani non potranno semplicemente contare di rimpiazzare i più anziani nel loro posto di lavoro. Vanno assicurate sin d’ora le condizioni per favorire la nascita e la crescita di imprese nuove, generare nuove opportunità di impiego. La formazione professionale andrà sviluppata per coprire una intera vita lavorativa caratterizzata dalla mobilità e dal cambiamento, da tutelare con rafforzati sistemi di protezione e assicurazione, pubblici e privati, nei periodi di inattività. La scuola, l’università dovranno sostenere questo processo garantendo un’istruzione adeguata per qualità e quantità, mirando con decisione ad accrescere i livelli di apprendimento e a sviluppare nuove competenze.

L’Italia ha bisogno di condizioni favorevoli all’attività d’impresa, alla riallocazione dei fattori produttivi. Il ritardo che abbiamo accumulato risente anche di un quadro regolamentare ridondante, di complessità e costi degli adempimenti amministrativi da ridurre drasticamente, di un diritto da rendere più certo, di comportamenti corruttivi diffusi da sradicare, di una insufficiente protezione dalla criminalità. Progressi immediati, visibili, nella rimozione di questi gravi ostacoli potranno stimolare gli investimenti produttivi, attrarli anche dall’estero, in tutte le regioni del Paese, in particolare nel Mezzogiorno, dove soprattutto è critico il contesto esterno all’attività produttiva e da cui dipende in modo decisivo lo sviluppo equilibrato della nostra economia.

Il programma di riforme avviato nell’ultimo biennio muove da queste considerazioni. Ma in molti casi, varate le riforme, hanno tardato, talvolta ancora mancano, i provvedimenti attuativi; non sono cambiati i comportamenti dell’amministrazione. È un tratto ricorrente dell’esperienza storica del nostro paese: le principali difficoltà non risiedono tanto nel contenuto delle norme, quanto nella loro concreta applicazione.

La crisi e la finanza pubblica

Con l’esplodere del rischio sovrano, per scongiurare una crisi di fiducia e di liquidità potenzialmente devastante, nella seconda parte del 2011 è stata avviata una correzione all’andamento dei conti pubblici dell’ordine di cinque punti percentuali del prodotto. Ciò ha consentito di ricondurre il disavanzo entro il 3 per cento del PIL dal 2012 e di puntare al pareggio strutturale dei conti già da quest’anno.

La correzione ha inciso negativamente sulla dinamica del prodotto nel 2012 per circa un punto percentuale. Hanno inciso di più, per circa due punti, gli effetti della crisi di liquidità sul costo e sulla disponibilità del credito per il settore privato, il rallentamento del commercio internazionale, l’aumento dell’incertezza e il connesso calo della fiducia. La correzione dei conti pubblici ha contribuito a ridimensionare le tensioni sul mercato dei titoli di Stato, evitando scenari peggiori.

I progressi conseguiti vanno preservati. Disperderli avrebbe conseguenze gravi. È illusorio per noi pensare di uscire dalla crisi con la leva del disavanzo di bilancio: il margine di fiducia che risparmiatori e operatori di mercato attualmente ci concedono è stretto. I titoli pubblici da collocare ogni anno per il finanziamento dei disavanzi e, soprattutto, per la sostituzione del debito in scadenza sono nell’ordine dei 400 miliardi.

La Commissione europea si è impegnata a valutare le modalità per consentire ai bilanci pubblici nazionali di deviare temporaneamente dagli obiettivi di medio termine – mantenendo il disavanzo al di sotto del tre per cento del PIL – per finanziare, sotto specifiche condizioni, progetti di investimento. Nel nostro paese ne potrebbero beneficiare investimenti per la tutela e la valorizzazione del territorio e del patrimonio culturale e artistico.

Riduzioni di imposte, necessarie nel medio termine, pianificabili fin d’ora, non possono che essere selettive, privilegiando il lavoro e la produzione: il cuneo fiscale che grava sul lavoro frena l’occupazione e l’attività d’impresa. L’evasione distorce l’allocazione dei fattori produttivi, causa concorrenza sleale, è di ostacolo alla crescita della dimensione delle imprese, aumenta il carico tributario per i contribuenti in regola. Va contrastata anche nella dimensione sovranazionale. Un contributo importante a migliorare la correttezza fiscale può derivare da interventi di semplificazione e razionalizzazione delle imposte e degli adempimenti. La certezza delle misure fiscali e il loro attento ed equilibrato disegno possono incidere sulle aspettative, quindi sulla domanda, più e meglio di sgravi immediati ma dall’incerta sostenibilità.

Una ricomposizione della spesa a favore di quella più produttiva è possibile perseguendo recuperi capillari di efficienza e di risorse. Se questo metodo viene reso permanente la gestione delle nostre amministrazioni pubbliche può avvicinarsi agli standard internazionali. Non si otterranno risultati significativi senza coinvolgere gli enti decentrati. Commisurare le risorse trasferite a costi standardizzati, ponendo a carico degli enti l’eventuale eccedenza di spesa, incoraggia la diffusione delle migliori pratiche. L’uso efficiente delle risorse pubbliche richiede un ripensamento dei livelli di governo, eliminando ridondanze e sovrapposizioni.

Il taglio del credito all’economia

Le prospettive della domanda interna dipendono anche, in ampia misura, dalle condizioni di accesso al credito. I prestiti alle imprese hanno rallentato nettamente nella seconda parte del 2011 e si sono contratti di circa 60 miliardi dall’inizio di dicembre dello stesso anno. La flessione, inizialmente particolarmente brusca per effetto delle gravi difficoltà di raccolta delle banche sui mercati internazionali conseguenti all’inasprimento del rischio sovrano, è proseguita a ritmi più contenuti nel corso del 2012; nei primi quattro mesi di quest’anno il calo si è di nuovo accentuato, avvicinandosi al 4 per cento su base annua. Sono diminuiti, in misura minore, anche i prestiti alle famiglie.

Le tensioni nell’offerta di credito sembrano riguardare, seppure con minore intensità, anche imprese con condizioni finanziarie equilibrate. Le difficoltà sono accentuate per le aziende medie e piccole, meno in grado di ricorrere a fonti di finanziamento alternative al credito bancario.

Le difficoltà nel finanziamento delle imprese devono stimolare una riflessione sull’assetto complessivo del sistema finanziario italiano, sullo scarso sviluppo dei mercati obbligazionari e azionari e sulla conseguente eccessiva dipendenza delle imprese dai prestiti bancari. Come abbiamo sottolineato in altre occasioni, tale assetto riflette in parte la riluttanza ad aprirsi delle aziende italiane. Ma le banche non hanno spinto a sufficienza le imprese ad avvicinarsi ai mercati.

La situazione odierna richiede a entrambe le parti di superare queste esitazioni. Per le aziende solide, con buone prospettive di crescita, le difficili condizioni sul mercato del credito bancario costituiscono uno stimolo potente ad accedere al mercato dei capitali. Per le banche, un sistema finanziario sviluppato permette di diversificare le fonti di ricavo, di mantenere un rapporto equilibrato tra impieghi e depositi, di condividere con i mercati i rischi insiti nel finanziamento alla clientela. Anche se occorre fare attenzione ai potenziali conflitti di interesse, le banche possono favorire il ricorso delle imprese al mercato avvalendosi dei vantaggi nella valutazione del merito di credito derivanti dalle relazioni di lungo periodo che con esse intrattengono.

Il rafforzamento patrimoniale delle imprese e la loro apertura al mercato dei capitali richiedono anche profondi cambiamenti nell’intero sistema finanziario: è indispensabile che si ampli il ruolo dei fondi pensione e degli investitori con orizzonte di lungo periodo; l’accumulo del capitale di rischio deve essere opportunamente incentivato.

Testo integrale >>>

[1] Le OMT consistono nell’acquisto diretto, potenzialmente illimitato, da parte della BCE di titoli di stato a breve termine e emessi da paesi in difficoltà macroeconomica grave e che abbia avviato un programma di aiuto finanziario o un programma precauzionale. 

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