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Dall’ immobilismo al tentativo di una cultura globalizzata

A fine agosto 2016 viene annunciato da Fca e sindacati metalmeccanici un accordo che si potrebbe definire ‘storico’, per l’applicazione dei contratti di solidarietà alle Carrozzerie di Mirafiori: storico perché è la prima volta che in Fiat si realizza una solidarietà per la ridistribuzione del lavoro su due terzi della carrozzeria, che consentirà a 2.369 lavoratori di rientrare dalla cassa integrazione, garantendo un minimo del 30 per cento di ore lavorate per ciascun dipendente. Si tratta dei cosiddetti cassintegrati storici che da anni non vedono la linea di montaggio. Provo a mettere questa notizia, che ha un forte carattere etico – sociale, accanto alle argomentazioni svolte dal manager Marchionne in un discorso tenuto negli stessi giorni a Roma ai giovani della università Luiss, futuri dirigenti aziendali: “Coloro che operano in un libero mercato debbono anche avere una buona coscienza per quanto riguarda gli effetti sociali”. Si potrebbe osservare che nel caso ricordato è stata fatta prevalere la ‘buona coscienza’, e ci si potrebbe anche domandare come mai così in ritardo rispetto all’impegno assunto col Contratto Collettivo Fca per il rientro di tutta l’occupazione disimpegnata di Mirafiori. Cioé, perché finalmente si è puntato sulla solidarietà e non più solo sulla cassa integrazione per gestire in via temporanea un esubero di 1300 lavoratori, ben sapendo che la soluzione complessiva è l’impegno ad accrescere la mole di lavoro disponibile attraverso l’investimento in un ulteriore modello produttivo, per arrivare al pieno regime per tutti? 
La risposta è da ricercare sempre in un ragionamento di tipo economico: cioè mentre finora gestire la cig era organizzativamente più semplice che non gestire il lavoro con orari abbreviati per tutti, ora cambiano le regole con maggiori agevolazioni per il contratto di solidarietà (che diventa economicamente più conveniente); e poi perché il continuo ricorso alla cig per riorganizzazione aziendale arriva ormai al limite di durata previsto dalle norme. 

Diciamo quindi che il nuovo ragionamento fatto con “coscienza sociale” deriva dalle regole socio – economiche in vigore per il lavoro, e ciò costringe ad accompagnare la prestazione a orario ridotto con attività formative ed anche con soluzioni nuove allestite appositamente per gli operai che sono diventati inidonei a svolgere tutte le precedenti mansioni (alcune centinaia), per effetto del logorio dei carichi di lavoro sopportati in passato.

Dunque in un’economia globalizzata è possibile applicare principi sociali che assicurano la partecipazione attiva alla realtà aziendale.

E’ difficile pensare che improvvisamente “lavorare meno per lavorare tutti” sia diventato un principio sociale che intacca la coscienza dei manager d’impresa, dopo la fiducia ideologica accordata da secoli che il mercato è un motore senza possibilità di intervento sociale sul suo controllo. Forse ci si può chiedere se la cultura sindacale, dopo l’accusa del suo immobilismo, stia acquisendo coscienza di dover lavorare a lungo per fare diventare globale la politica del lavoro. C’è una manifestazione singolare nei mesi scorsi di un ex segretario generale della Cisl, Savino Pezzotta, che scrive di essersi convertito rispetto alle titubanze espresse durante la sua attività sindacale, in merito alla ripartizione del lavoro esistente.

Ma la vera convinzione, che deve ricomporre le coscienze, è quella di saper partire dai comuni principi della Costituzione: cioé che bisogna ricongiungere con un patto sociale la parte di società che ha tutto il benessere economico e quella che invece ha solo la propria vita per esistere. Per poter costruire e realizzare questo ricongiungimento non basta la coscienza del dovere, occorre anche una cultura aggiornata che sappia riconoscere, analizzare e discutere il panorama nuovo del sistema economico globale. Proviamo a riassumerlo, come ci ha insegnato con i suoi studi Luciano Gallino nei suoi ultimi anni. La grande impresa ha oggi frammentato nello spazio globale il suo processo produttivo in una rete di catene di unità produttive, ciascuna collocata in aree ove i vincoli sono ridotti o assenti (costo del lavoro, orari, imposizioni fiscali) e di dimensioni piuttosto piccole, per cui possono adeguarsi rapidamente rispetto al mercato.

E’ chiaro che in tali condizioni è difficile lo sviluppo di un’organizzazione sindacale su unità produttive di dimensioni ridotte e lontane le une dalle altre.

All’impresa così globalizzata serve un’occupazione fissa ridotta e una moltiplicazione di quella di breve durata, incrementabile o riducibile senza problemi di diritti rivendicabili dai lavoratori instabili. Con questa organizzazione si arriva a imprese che non hanno né impianti, né mezzi di produzione, né dipendenti, cioé sono prive di attività produttive perché il lavoro è organizzato in commesse e subcommesse; ed inoltre la maggior quota di lavoratori distribuiti in queste catene è priva di vincoli contrattuali e si possono usare “giusto nel tempo necessario”.

Viene così sottratto il processo produttivo alle condizioni predominanti nei paesi industriali avanzati ove il sindacato e i vincoli legislativi permettono di applicare la contrattazione di salari elevati, rapporti a tempo indeterminato e orari regolati, con vincoli al licenziamento…

Questa strutturazione reticolare su base globale, e realizzata col principio della flessibilità, ha creato il principio del ‘numero chiuso’ di coloro che possono disporre di un lavoro decente (cioé stabile, ben retribuito, con prospettive di carriera e di gratificazione personale): è un numero limitato di ‘dipendenti eletti’, intorno ai quali ruotano tutti i lavoratori flottanti (tre quarti, quattro quinti?).

E’ chiaro che in questo quadro fare organizzazione sindacale diventa oltremodo difficile rispetto a ieri, e ricostruire la solidarietà fra tante individualità disperse quasi impossibile! Come è possibile contrastare tale immane processo economico globale? Sembra dunque aver ragione Marchionne che “il potere assicurato dal mercato libero in un’economia globale non è oggetto di messa in discussione”, pur rilevando poi che ci sono delle fragilità su cui si può lavorare per mutare i riflessi più negativi sull’organizzazione della società: cioè l’individualismo solitario e l’inadeguatezza degli strumenti amministrativi per programmare ed esercitare controlli sull’impresa.

Per cui occorre lavorare sindacalmente su piano internazionale e nazionale con un processo storico di lungo periodo, per sviluppare una cultura della responsabilità sociale sia tra i lavoratori che tra i manager.

Gallino aveva suggerito di procedere su piano internazionale con accordi globali fra conferederazioni internazionali per stabilire standard minimi di salari, condizioni di lavoro e diritti sindacali. E con le grandi imprese transnazionali cercare di sviluppare codici di responsabilità sociale che parifichino i diritti fra i dipendenti diretti nel paese con sede giuridica dell’impresa, ed i dipendenti indiretti nelle piccole imprese decentrate della rete imprenditoriale. E ancora la possibilità di valutare e selezionare gli investimenti perché abbiano un valore socialmente responsabile.

Mentre su piano nazionale l’impegno sindacale e politico – gestionale dell’impresa deve riconvertirsi dall’incentivo alle aziende per assumere occupazione, all’incentivo alla redistribuzione del lavoro che c’è o che si crea con nuovi investimenti.

Sono maturi i tempi per rompere il tabù della riduzione dell’orario di lavoro e farlo diventare pratica sociale e politica partendo dal generalizzare l’uso negoziale dei contratti di solidarietà. Per le ragioni che essi costano meno della cig, riducono il lavoro nero e difendono la dignità dei lavoratori.

Sono ragionamenti forse minimi che promuovono un indispensabile cambiamento di cultura abbandonando i pregiudizi, e che permettono di orientare ed educare non solo i sindacalisti, ma anche le individualità disperse di lavoratori a cui pare di lottare solo per sopravvivere, anziché costruire una società che consente a tutti di godere una parte del benessere oggi disponibile.

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