Le risposte migliori all’infelice campagna per il Fertility day le ha date, come spesso succede, la satira. Si sono moltiplicate in rete parodie dello spot che ha dipinto le donne come yogurt in scadenza. Come questo post apparso su Facebook: «Io sono assolutamente pro Fertility day. Che deve andare di pari passo con L’Asily nido gratuita per tutti day. E a braccetto con Maternity garantity per tutty non è che poy mi licenzy se rimangy incinty day…››.
Inutile ribadire che è sacrosanta una politica che si occupi della salute delle donne, dalla nascita alla procreazione, alla menopausa. Come lo sarebbe un’educazione sessuale nelle scuole che aiuti a crescere – ambo i sessi- nel rispetto reciproco, nell’amore e nella conoscenza cui oggi, purtroppo, gli adolescenti giungono più spesso attraverso i vari youporn e whatsapp casalinghi, con nefaste conseguenze.
Ma l’assurdo terrore di una fantomatica ideologia gender, che vorrebbe prendere il potere e impossessarsi dei giovani, inibisce ogni iniziativa utile alla crescita dei figli, quei pochi che ancora procreiamo. Accusano le italiane di farne troppo pochi, ma vogliamo ricordare che da noi gli asili nido sono un bene raro, per non parlare della piaga della disoccupazione femminile?
Potremmo andare avanti con statistiche che non esauriscono, però, l’indignazione provocata da questa campagna. Bisognerebbe leggere tutto il documento per arrabbiarsi definitivamente.
Perché il punto dirimente è racchiuso in alcune frasi tipo: «Cosa fare, dunque, di fronte a una società che ha scortato le donne fuori di casa, aprendo loro le porte del mondo del lavoro sospingendole, però, verso ruoli maschili, che hanno comportato anche un allontanamento dal desiderio stesso di maternità?›› Argh!
È solo una delle tante chicche di quello che molti hanno paragonato a un editto da Minculpop, un linguaggio più adatto alle dittature che da sempre hanno cercato di legiferare sul corpo delle donne. O peggio. Eva Cantarella, storica del mondo antico, non a caso ricorda «… come seppero reagire meglio le donne romane quando il “buon” Augusto, per incoraggiare la fertilità, impose a tutte, salvo alle prostitute, di sposarsi, punendo chi non poteva avere figli, con sanzioni patrimoniali; per protesta, le cittadine romane andarono in massa a iscriversi nelle liste delle prostitute per sbeffeggiare l’imperatore». Allora non c’era internet, ma l’intento era lo stesso.
Ci piacerebbe far capire ai compilatori di documenti ministeriali che le donne che vogliono avere figli vanno aiutate e sono benvenute come quelle che non ne vogliono nonostante aiuti. Finché si continuerà a colpevolizzare le dorme che scelgono di percorrere altre strade, non faremo un passo verso un futuro migliore.
Tanto vale ripristinare i roghi per le streghe.
E il Medioevo è pronto a tornare fra noi.
(*) Attrice, scrittrice, da Io Donna n.146/2016