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E’ la democrazia che alimenta e concilia le diversità

Che ciascuno di noi abbia avuto bisogno di altre due persone per nascere, ci mette subito al centro delle riflessioni che seguono. La nostra radice di singoli inizia invece in un doppio di altri. Il mio io è debitore fin dalla sua origine di impulsi di altri che scelsero per me.

Dunque l’io è sociale fin dal suo concepimento. Indelebile, questa caratteristica ci dominerà anche dopo, quando da feti diventiamo neonati, e poi fanciulli e poi via via percorreremo tutte le età dell’uomo, fino alla nostra morte.

Se io mi ritiro in solitudine, in camera mia, in silenzio, in me stesso, al fondo di me non scopro il deserto, l’assenza, ma al contrario trovo la cultura da cui provengo, la lingua che mi è stata data, l’etica, l’estetica, il bisogno di amare e di essere amato, una realtà sociale collettiva e storica che mi pone molti quesiti sul fatto che quel mio io al quale tengo tanto, possa esser considerato autonomo, del tutto indipendente.

Pure, questa relazione implicitamente sociale che ci definisce fin dall’origine non ha ancora niente a che vedere con la democrazia. Infatti, prima che storicamente nascesse questa parola che immaginava che il potere spettasse al popolo, per moltissime migliaia di anni gli uomini non vissero in democrazia. Essi patirono le forme più perverse del dispotismo e della tirannia.

La democrazia è un’invenzione relativamente recente che vive di una sua mitologia morale e poetica peraltro mai attuata del tutto: quella dell’eguaglianza dei cittadini, verso la legge, verso il potere e tra di loro. Quelli che noi chiamiamo Paesi democratici in verità non lo sono in forme piene e consolidate, definitive e stabili, non sono esempi di raggiunta eguaglianza collettiva e sociale. Al contrario, le democrazie sono tutte incerte, monche, soggette a oscillazioni e minacciate da latenti tirannie. 

I singoli cittadini che si dichiarano democratici conoscono il quotidiano travaglio di essere giusti verso tutti gli altri. Conoscono le lotte che si debbono attuare per rendere effettivi i diritti già acquisiti e per combattere le ingiustizie, le discriminazioni e le forme di persecuzione sociale che ricompaiono di continuo nella vita associata.

L’odio per la dittatura non mette al riparo il democratico dall’essere un despota nel suo piccolo intorno personale.

La democrazia non esiste in natura: è un’invenzione umana che combatte le gerarchie, tutte le gerarchie possibili e immaginabili, e che immagina che si possa sempre rilanciare e rinnovare l’orizzonte democratico anche quando è manomesso, o strumentalizzato, o deviato, o soggetto a ricatti.

La democrazia sottintende una matura riflessione sulla relazione io-noi, intesa non come patriottismo, ma come aperta a tutti. La democrazia è erga omnes, non ha nemici se non i despoti, ed è universalmente inclusiva.

Il pensiero democratico è innaturale, antinaturalistico, puramente filosofico, astratto e non mercificabile. Non ha prezzo e il suo valore non fa parte delle contrattazioni del mercato. 

La democrazia richiede uno sforzo specifico per essere compresa. Essa va contro tutti i pensieri convenzionali, contro il senso comune. Per esempio: “Io sono padrone a casa mia” parrebbe un’innocente affermazione, compatibile con il pensiero democratico, e invece quest’affermazione è l’opposto della democrazia. 

Infatti, se la democrazia riconosce l’io come fonte di diritti e di doveri inalienabili, chiede anche all’io di riconoscere al noi di essere un luogo di salvazione dei suoi limiti individuali. La Giustizia democratica difende i diritti dei singoli ma conosce anche la precarietà individuale e l’esigenza di tutelare l’azione dei singoli in una prospettiva prioritaria comune.    

La democrazia liberale si fonda sul singolo, quella popolare si fonda sul collettivo, ma la democrazia personalistica conosce i limiti di queste esperienze e propone di non porre alcuna priorità di questo tipo ma di cercare la miglior forma di Giustizia sociale possibile, lasciando indefiniti spazi di riflessione, senza apriori.

Nessuno di noi potrebbe giungere a una propria autonoma conclusione sul sapere democratico se da solo dovesse rincominciare a rifletterci. Il pensiero democratico matura nel tempo e richiede la riflessione di molte generazioni. C’è una storia del sapere democratico, c’è una maturazione annosa che ci precede e che ci seguirà per anni. 

Il testo costituzionale italiano del 1946 rappresenta un salto di qualità rispetto a altri testi analoghi. Sorretto da una visione complessiva del tutto originale, pur non essendo niente di definitivo, di certo è un contributo altissimo all’interno delle conoscenze sulla democrazia.

Suscettibile di miglioramenti, va tuttavia considerato un documento sorretto da un’architettura unitaria molto solida. Toccarlo in un solo punto, significa alterare non solo quel singolo punto ma una serie di altre connessioni. Cambiare la Costituzione si può, ma stiano alla larga i mestieranti.

Nella Costituzione italiana l’alternativa io-altri trova una sua sintesi.

* Sociologo, Professore universitario 

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