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Una testimonianza dalla periferia bergamasca **

1. Una foto 

 Quando mi è stato chiesto di raccontare quello che, come sindacalista, stavo vivendo in questi giorni così frenetici e di emergenza, mi sono chiesto se fossi la persona migliore per scrivere sui Working Papers della Fondazione Tarantelli; quelli come me, di solito, su queste pagine si formano, cercano spunti e riflessioni, e il mio contributo è davvero solo esperienziale, sindacale. Alla fine mi sono detto che, forse, la CISL “nelle periferie e tra le persone” ha bisogno anche di dirsi la quotidianità l’esperienza, quello che altri come me in questi giorni stanno vivendo.  Ciò che racconterò non ha nessuna pretesa, non aiuterà ad elaborare il pensiero del nostro sindacato nei prossimi anni e non sarà nemmeno un’analisi tecnica economica della situazione della mia terra. E’ solo una foto da un modesto punto di vista di una piccola dinamica di provincia in questa grande nazione ai tempi del COVID-19, fatta con la passione e il cuore del sindacalista. Come sa bene chi usa i social, non basta fare belle foto per raccontare la quotidianità, servono anche i selfie, e da un selfie parto nel mio racconto. 

 2. Lo smart working dalla teoria alla prassi nell’emergenza 

 Sono le 8.00 del 10 marzo 2020, accendo il pc sul tavolo del soggiorno.  Già, perché dopo aver discusso al Centro Studi di Firenze di smart working, dopo aver provato a siglare accordi a tal proposito in tante aziende, ora quasi tutti lavorano da casa e quella che sembrava una proposta che per molti era impossibile da attuare è divenuta la soluzione per eccellenza: a dir poco frustrante!  Forse ci abbiamo creduto poco o non avevamo la giusta motivazione: dove non ha potuto la contrattazione ha potuto un virus minuscolo, fastidioso, talvolta mortale! Ora anche noi, che per natura dobbiamo essere smart, sperimentiamo questa forma di lavoro. 

 Oggi è il primo giorno in cui tutta l’Italia è dello stesso colore, unita in nome del DL 9 Marzo 2020, n°14, l’ennesimo emanato in questi giorni di emergenza, giorni in cui tutti hanno imparato cosa sia il COVID-19, come si debba tossire e quanto sia necessario mantenere le distanze e stare in casa.  Forse era ora che tornasse una consapevolezza comune, perché ancora pochi giorni fa più di mezza Italia non aveva ben compreso quello che a tutti qui a Bergamo stava diventando ben chiaro.  Anche se, è vero, le battute fatte dai colleghi lontani erano le stesse che si facevano qui solo tre settimane fa!  Sinceramente non riesco a trattenere la rabbia quando ora in tanti corrono a postare sui social slogan, numeri e prese di posizione. 

 

 3. Reiventare il fare sindacato di fronte a nuove responsabilità 

 Sono giorni, questi, in cui anche noi operatori sindacali dobbiamo reinventarci per operare con nuove modalità e in cui, talvolta, le risposte che sempre avevamo pronte sembrano insufficienti. Altro elemento, questo, che non può che mettermi in discussione, perché in attesa di risposte e decreti che sicuramente arriveranno, il sindacalista al tempo del coronavirus, non solo perde il suo luogo naturale in cui comunicare, le assemblee – rigorosamente vietate – ma perde anche tutta la sua prontezza nel rispondere ai quesiti dei lavoratori.  Siamo stati bravi ad organizzarci con chat e mailing-list per informare prontamente i delegati su ogni singolo provvedimento, a mantenere alta la nostra presenza tra i lavoratori con comunicati e informative. Siamo pronti alle conference-call per restare in contatto con le aziende, ma alle domande, quelle fatte da persone incazzate, peggio, spaventate, perché la rabbia puoi placarla, ma la paura non sempre, non è facile rispondere.   

 “Cosa dobbiamo fare?” chiede la delegata il cui collega è stato trovato positivo al virus, la cui azienda ha sospeso in via cautelativa 37 operai su circa 80 e lavora con 7 impiegati in ufficio e circa 30 in smart working. “Basta con le parole non si risolve nulla bisogna agire, non basta tamponare!” incalza dopo che molti colleghi da giorni le versano addosso i loro timori.“Non ce l’ho con te, ma i fatti sono chiari, grazie mille buona notte” conclude alle 23.30 sperando che l’azienda decida di fermare la produzione.  Di fronte a questi evidenti bisogni di rassicurazione e tutela in un quadro normativo incerto, poco chiaro e sempre in mutamento, cosa risponde il sindacalista al tempo del coronavirus?  Sai bene che se dici ad un lavoratore di alzare la cornetta e chiamare il medico in questa situazione come accade da giorni, probabilmente potrà stare a casa in malattia in via cautelativa; ma sai anche, e ne sei certo, che la sua azienda viene da due anni di risultati negativi, che nelle ultime settimane alcuni clienti hanno annullato gli ordini per timore, e che i pochi ordini rimasti sono in attesa di conferma o urgentissimi, sai che l’azienda ha bisogno ancora di qualche giorno per evitare il peggio…  Economia e persona, salute e lavoro, come leggevo in un trafiletto del quotidiano L’Eco di Bergamo:“la salute di ciascuno di noi contro la salute del prodotto interno lordo: uno scontro insensato ma purtroppo reale!”. È la complessità del nostro tempo ammonisce il filosofo Mauro Ceruti – “il cui limite, paradossalmente, è l’aver semplificato tutto. Senza trovare risposte.” Ma quando sai che in ospedale tra non molto dovranno decidere a chi dare il respiratore, ognuno, anche il sindacalista al tempo del coronavirus, deve parlare consapevole delle proprie responsabilità. 

E anche se ti senti dire da qualcuno: “stai facendo un grande lavoro, ti ringraziamo molto: i lavoratori della …” tu sai che in fondo in questa situazione non puoi avere le tutte le risposte, che i corsi di contrattazione o la tua conoscenza di codici e leggi non potevano prepararti a questa situazione, che non riguarda una persona, un’azienda un distretto, riguarda tutti. Dico di più: questa situazione non tocca solo salute e lavoro, ma abitudini e affetti, è in questi molteplici ambiti veniamo sempre più sollecitati, lo stress e la carica emotiva delle persone che incontri sale a livelli difficili da gestire. 

4. Flashback in zona rossa: farsi prossimo 

“Ho salutato mio padre ieri sera” diceva Fabio un altro delegato, dopo che la Regione Lombardia è stata dichiarata zona rossa, “Non andrò a trovarlo per un po’, forse è meglio cosi” e capisci come il sindacalista, oltre a chiedere il rispetto delle norme di sicurezza alle aziende, o l’igienizzante per le mani o le mascherine, deve anche e ancor più farsi prossimo e mettersi in ascolto, perché in queste situazioni incerte tutto aiuta e rassicura, tanto una parola o un consiglio, quanto il modulo di  autocertificazione per muoversi o la copia dell’ultimo DPCM! Altra considerazione in questo selfie riguarda il rapporto tra l’operatore ai tempi del COVID19 della piccola e laboriosa Bergamo, e i livelli più alti della nostra grande casa, la CISL.  Ora l’Italia è tutta di un colore, l’emergenza è salita a livelli inaspettati e tutti corrono ai ripari. L’intervento delle segreterie regionali e nazionali arriva come una boccata d’aria fresca per smorzare la tensione tra gli iscritti. Soprattutto nei primi giorni, quando l’emergenza riguardava poche regioni del Nord, in alcuni casi mi sono sentito impotente senza mezzi. La nostra organizzazione è sì capillare e raggiunge ogni angolo del paese, ma, soprattutto in queste condizioni inedite che hanno messo in discussione le modalità organizzative ordinarie di tutti, prima che le informazioni e la consapevolezza piena di ciò che accade arrivi ai livelli più alti dalle periferie, passa tempo e altro tempo serve per la risposta.  Indubbiamente, per quanto noi sindacalisti siamo bravi e autonomi nel muoverci quotidianamente, qualche interrogativo su come debbano rafforzarsi le capacità di grandi organizzazioni come la nostra (e non solo!) di reagire in modo pronto, efficace ed unito di fronte alla straordinarietà di eventi del genere, ce lo dovremo porre in futuro. 

5. Che cosa è veramente importante? 

Prima di scattare qualche foto per il territorio, un’ultima riflessione condivisa con alcuni colleghi. L’operatore ai tempi del COVID-19 si sta rendendo conto che non sempre è essenziale e che forse ci siamo dati troppa importanza, ci siamo coperti di auto referenzialità perché facevamo tante assemblee e tanti incontri nelle fabbriche o partecipavamo a tanti convegni a cui intervenivamo con grandi paroloni….  

 A dire il vero mi rendo conto che siamo importanti perché non smettiamo di restare in ascolto, ciò che ci viene chiesto è solo esserci per far capire che nemmeno l’ultimo dei nostri iscritti in cima alla valle più remota ancora innevata è lasciato solo: anche quando non abbiamo risposte, pronte e preconfezionate.  

All’epoca del virus, ci viene chiesta vicinanza proprio quando ci impongo le distanze.  Le distanze fisiche vengono riempite proprio dalla vicinanza del cuore, dalla capacità di entrare in empatia con la nostra gente. 

6. La “bergamasca: persone e fabbriche 

 Finalmente è il momento delle foto della nostra terra delle nostre persone e delle nostre fabbriche. Chi, come me, arriva dalle valli e da Albino (come molti hanno imparato in questi giorni, perché confina con Nembro, uno dei maggiori focolai di COVID-19) va verso Bergamo la mattina, sa che deve partire almeno con un’ora di anticipo: camion di muratori, pendolari, lavoratori e studenti tutti in viaggio da brave formichine bergamasche.  Tutti noi percorriamo queste strade trafficate e ben conosciamo questo territorio, tutti sappiamo che da Albino a Bergamo in 10 km sorgono alcune aziende che sono famose in tutto il mondo per i loro prodotti: Albini per i suoi cotoni, Fassi tra i primi produttori al mondo di gru idrauliche, Acerbis plastica famosa nel mondo del motociclismo, Persico Stampi che in questi gironi nel suo stabilimento di Nembro sta producendo Luna Rossa, cartiere Pigna, Polini… In pochi gironi in questo fazzoletto di terra, che è divenuto la Wuhan italiana, da quando l’allarme per la diffusione del virus ha imposto che la regione Lombardia fosse zona gialla, le strade si sono di colpo svuotate. 

7. Febbraio: ritornando indietro 

 Lunedì 24 febbraio i chilometri che fino a ieri percorrevo in 60 minuti ora li percorro in 10, come ad agosto, quando le scuole sono chiuse e la gente in ferie. Effettivamente le scuole sono chiuse, e i locali serreranno alle 18.00, la gente però non è in ferie ma chi intuisce che qualcosa non va inizia a starsene a casa. Ieri i supermercati sono stati presi d’assalto e svuotati, perché nel tam tam dei media, ricchi di parole e spesso vuoti di contenuti, si è diffuso l’allarme: “domani i supermercati verranno chiusi, non verranno consegnati i beni deperibili”.  Questa mattina in cui arrivo in ufficio per primo per via del non traffico, tutto sembra essere un po’ sospeso, le attività riprendono, ma iniziano ad arrivare le domande e le e-mail. La prima è di un’azienda 60 dipendenti 2 iscritti e un delegato, fortemente contro il sindacato, che alle ore 8.23 mi comunica che per quanto previsto dal DL N°4 del 23/02/2020 non ritiene opportuno lo svolgimento dell’assemblea prevista il 6 marzo (per programmarla ci sono voluti un mese e mezzo!), rido amareggiato, ma sono ben consapevole che da ora in poi non si può fare altrimenti. A conferma di ciò la segreteria, i compagni e colleghi delle altre sigle sindacali, gli HR, i direttori, i proprietari e gli amministratori, tutti o quasi per la prima volta sono d’accordo… vista la situazione meglio ridurre le attività allo stretto necessario. In questi primi giorni la reazione di molti era ancora superficiale, forse per scaramanzia, forse per noncuranza, tra lavoratori e colleghi si facevano battutine sulle mascherine o il gel lavamani.  Nel frattempo il bravo sindacalista al tempo del COVID-19 si organizza: abbiamo potenziato l’uso dei media per informare puntualmente delegati e referenti nelle varie aziende su cosa stia accadendo, sulle normative e i decreti, sulle misure di protezione da adottare… 

In pochi giorni è chiaro a tutti che la situazione è peggio del previsto: lo capisci dal cellulare che inizia a scaricarsi in poco tempo per i numerosi messaggi e le interminabili chiamate, lo  capisci dai toni sempre meno scherzosi e sempre più carichi di ansia e attesa, lo capisci dai comunicati sempre più attenti e approfonditi, lo capisci delle scelte di controllare accessi ai  servizi, dal delegato che ti sta lontano quando lo incontri…Lo capisci dalle ambulanze, una, due, tre, tante…. Che la situazione fosse, ed è grave non lo si capisce solo dai numeri: a Nembro o ad Albino il delegato, il lavoratore e soprattutto i nostri nonni oltre a guardare i TG leggono l’Eco di Bergamo e i suoi necrologi: tutti in Italia sanno quanti sono i morti dichiarati per coronavirus, ma nei paesi tutti sanno quanti sono i morti mediamente in una settimana… e le affissioni delle onoranze funebri ricoprono l’intero pannello…  “Sono 5 solo oggi”: mi dice mia nonna quando mi chiama per dirmi che meglio se non vado a trovarla (prima volta in quarant’anni) “Di solito ce ne sono 2 o 3 in una settimana”. In questa condizione che si palesa ogni giorno di più anche agli occhi di tutta Italia, il sindacalista è spaesato: “dopo la crisi del 2009” (dove in bergamasca hanno chiuso tantissime aziende tessili NdR) “pensavo di aver visto il peggio” dice il mio segretario prossimo alla pensione, “ma una cosa così non me la sarei mai aspettata”. Non ce lo saremmo mai aspettato, anzi inizialmente il buon bergamasco probabilmente ha continuato a lavorare come se nulla fosse, perché è la nostra cultura, perché a noi chi ci ferma! Solo dopo una settimana tutto è ormai chiaro, gli ospedali sono al limite e i posti letti scarseggiano, interventi e visite non urgenti posticipati, medici di base che non ricevono e che rispondono per telefono su appuntamento: e il sindacalista viene cercato dalle aziende e non solo dai lavoratori perché non hanno le risposte! Ore 12.45, suona il telefono: “Buon giorno sono S. della N… può venire subito è urgente e grave e preferisco non parlarne per telefono”.  É cosi che è stato comunicato al sindacalista al tempo del COVID-19, il primo contagio in un’azienda, che solo dopo 3 giorni aveva il 40% del personale in quarantena cautelativa, e poco dopo un secondo contagio.  L’azienda mi chiama perché non sa come meglio gestire la cosa, come non creare il panico, come comunicare le informazioni, come tutelare i dipendenti e salvare gli ordini che ancora non sono stati annullati. Nemmeno l’ATS (l’equivalente delle ASL nella Regione Lombardia) ha chiamato perché troppo indaffarate per gestire la crisi, e l’informazione del contagio è giunta quasi per caso. Tocca a noi mobilitarci tramite l’RSPP e il medico competente, chiamando il numero verde… 

8. Fragilità in zona rossa 

 Mentre continuo a scrivere per fare questa foto, sono trascorsi solo 9 giorni da allora, proprio ieri le misure prese sono state drastiche siamo al DPCM del 11 marzo 2020 N°64 in Gazzetta Ufficiale 3° in una settimana, quello che impone le chiusure di attività non di prima necessità in tutta Italia nel paesaggio che tratteggio il ricordo inizia a mescolarsi con l’attualità. Nel pomeriggio abbiamo avuto l’incontro operatori, rigorosamente in conference-call: c’è rabbia e amarezza nelle nostre voci, le aziende non chiudono, di nuovo la risposta del presidente Conte per mille motivi che possono essere comprensibili, non è stata la risposta che ci aspettavamo per la nostra gente.  Ci sentiamo un po’ più fragili forse, sembra che quello che sta succedendo alla nostra terra non sia ben compreso, i numeri qui in provincia sono drammatici, diffondiamo l’ennesimo comunicato in cui CGIL CISL E UIL prendono una posizione più forte.  L’incontro è un raccontarsi la situazione dalle varie zone della provincia, quante aziende stanno fermando o fermeranno anche senza ordinanze, quante non intendono rallentare la produzione, come si lavora nelle sedi.  Ci raccontiamo la rabbia di alcuni iscritti, e purtroppo facciamo il resoconto di amici familiari e delegati malati, ricoverati, deceduti. In molti lo stanno dicendo, medici, il sindaco di Bergamo, perfino certi imprenditori: bisogna fermare.  

9. Spavento, rabbia, delusione. Solidarietà, presenza, consapevolezza  

 I lavoratori sono spaventati, arrabbiati, delusi, e vorrei che chi legge capisca bene cosa intende l’operatore sindacale di Bergamo quando usa queste parole:  Spaventati, perché temono che uscendo di casa per andare al lavoro potranno contagiare i propri cari, vedono che giorno dopo giorno i colleghi malati aumentano: si conoscono sanno chi ha la febbre, chi ha il padre malato, chi è in quarantena.  Arrabbiati, perché il segno che arriva è che di nuovo l’economia è venuta prima della politica da cui ci si aspettava protezione, perché purtroppo i protocolli di sicurezza che le aziende dovranno applicare per tutelarli, non esistono e in molti casi nulla verrà fatto, e nessuno verrà a verificare.  Delusi, perché da giorni si parla di scelte forti almeno per la Wuhan d’Italia e non arriva nulla di veramente concreto e palpabile, tante parole da chi forse non sa nemmeno davvero chi siamo, dove siamo. Nelle periferie tra la gente in cui la CISL c’è, si incontrano si ascoltano queste persone.  Non è gente sprovveduta, è gente che non si pone il problema delle ferie che, se si chiudesse ora, forse non si faranno ad agosto, o che non si rende conto dell’importanza del lavoro, perché se chiudiamo

ora “cosa sarà della NOSTRA azienda” e che non si accontenta di chiamare il medico e stare in malattia. La gente con cui noi ci stiamo schierando, dice che se chiudiamo ora, poi ci saremo a rialzarci e a leccarci le ferite, siamo lavoratori bergamaschi e non ci fa paura il lavoro: il sindacalista lo sa che sarà lì con loro. In queste settimane fatte di domande spesso senza risposte, in cui il paesaggio delle nostre terre è già mutato, il sindacalista ha continuato a chiamare a rispondere ad ascoltare, con sempre meno parole perché la gente è stanca, e sempre di più con la presenza dalla mattina a notte fonda.  Perché in fondo, non neghiamolo nonostante il carico emotivo, lo stress, e il lavoro di queste giornate, siamo dei privilegiati, e non possiamo negarci a chi ci cerca anche la sera tardi quando già sei a letto.  In questa crisi inaspettata siamo consapevoli che ancora di più, dobbiamo esserci e il nostro contributo la nostra capacità di trovare soluzioni e proporre dovrà rinnovarsi: il COVID-19 sta ponendo domande, sta mostrando i limiti e le vulnerabilità del nostro sistema, anche in quella Bergamo che è viva dinamica laboriosa.  Il virus ci ha fatto vedere che se le persone hanno paura l’economia globale non si ferma a guardare e non aspetta chi vorrebbe fermarsi, solo un attimo anche quando è palese che tutti siamo in scacco ugualmente ovunque.  Siamo però più consapevoli lavoratori e imprese che forse non si può vivere la quotidianità pensando che nulla ci possa davvero toccare, ma che qualcosa può fermare lo scorrere delle nostre vite fatte di abitudini e routine, che dobbiamo accettare ancor di più la fragilità e il limite. 

10. Accettare e abitare il limite, stare tra la gente 

Ora il mio racconto si ferma, forse domani verrà varato l’ennesimo decreto, verranno individuati ammortizzatori sociali ad hoc, verranno stanziati fondi per sussidi e congedi…lo vedremo insieme, siamo tutti dello stesso colore, tutti a casa, tutti più consapevoli. Spero che il tempo non mi smentisca, ma mi va di pensare che questa Italia ora sia un po’ più unita nell’affrontare la strada che dobbiamo percorrere, che cambieremo il modo di pesare le cose e di stabilire le priorità, sono sicuro che con sempre più lucidità troveremo le risposte migliori. Qui dove già da giorni si sta in casa, ho iniziato ad ascoltare il silenzio, a ripensare al tempo e a come lo riempivo fino a poche settimane fa.   Tutti noi un po’ liberati dal frastuono e da tanti impegni, spero impariamo a capire ancor di più il valore dell’altro, che ora non posso incontrare ma che sò essere nel bisogno.  Il distacco che è ora imposto è forse più tangibile di tante distanze che prima nascondevamo con l’esserci.  L’incapacità di avere tutte le risposte ci renderà forse più liberi nell’accettare il nostro limite e attendere la parola dell’altro come qualcosa che riempie e la sua presenza come pienezza di noi. Non so se l’esperienza della paura e del limite ci renderà sindacalisti diversi magari migliori; spero ci renda meno focalizzati su quanto siamo capaci di fare e dire, ma più disponibili alla cura e al paziente ascolto della nostra gente. Come detto in permessa, non ho pretese di dare chissà quali spunti di riflessione, o delineare chissà quali percorsi, ma credo davvero sia bello raccontarci questa CISL nelle periferie tra le persone, cosi viva e umana, non solo tecnica, e che le mie parole siano quelle di tanti altri uomini e donne operatori al tempo del COVID-19.

**Operatore sindacale FEMCA CISL Bergamo

* Da Quaderno Speciale Working Paper on line della Fondazione Tarantelli, marzo 2020

 

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