La cacofonia che circola sempre più insistentemente sul destino dell’Europa non promette nulla di buono. E ovviamente, a prevalere sono i pessimisti, con grande soddisfazione per Weidman, il banchiere centrale tedesco che detiene il record di voti d’opposizione nel board della BCE. L’incursione di Obama a favore di un’Europa unita forse aiuterà a non far vincere i separatisti inglesi, ma non ha spostato di un millimetro il dibattito sulla gestione unitaria degli immigrati e sull’alternativa alla strategia dell’austerità che esploderà in autunno con l’approvazione delle leggi di stabilità. Su queste due questioni, si gioca il futuro dell’Europa.
C’è chi da per persa, già ora, la partita. L’avanzamento degli estremismi antieuropei in molti Paesi, specie in quelli di più recente aggregazione, non è più considerato un campanello d’allarme ma una campana a morto. Le paure prevalgono sulle speranze. Le mistificazioni sulle ragionevolezze. Finanche le convenienze sono surclassate – spesso solo mediaticamente – dalle sconvenienze. La vicenda del Brennero sarà propaganda, come sostengono in tanti a partire dal Presidente Renzi, ma la dice lunga su dove potrebbe portare se dalle dichiarazioni si passasse ai fatti.
Nella spirale del ripiegamento, il punto di non ritorno è la sopravvivenza della libera circolazione delle merci, ma non quella delle persone. Un fantastico salto all’indietro, che se fiancheggiato da una più che spessa e sfrenata babele di deroghe al fiscal compact, metterebbe in ginocchio la credibilità dell’impianto europeistico finora conosciuto. Infatti, nella incapacità di fare scelte meno congiunturali, i fautori dell’austerità e quelli della flessibilità si sfideranno alzando i vessilli della sovranità nazionale – fino a ritorsioni reciproche – sapendo coscientemente di cooperare all’ammaina bandiera europea.
Chi non da per persa la partita, ovviamente, invoca più Europa. Dalla costituzione di una polizia di frontiera europea, ad una reale e non finta ripartizione per quote del flusso dei richiedenti asilo, dall’unione fiscale al Ministro del tesoro europeo, dalla politica energetica comune all’esercito unico. Non hanno torto. Senza un rafforzamento delle politiche essenziali, senza una vera remissione di sovranità , l’Europa sarà sempre strattonata dai tentativi di sottrarsi alla comune condivisione dei vantaggi e degli svantaggi. Il logorio dei poteri condivisi ma non messi in comune, rende le istituzioni attuali sempre più sedi di mediazioni inadeguate allo spessore dei problemi da risolvere.
Ma allo stato, gli europeisti più convinti non sono maggioranza. In nessun Paese c’è una spinta significativa, indipendentemente dalla collocazione politica e sociale, che impegni i Governi a osare più Europa. Paradossalmente, l’Italia appare la più attiva nel formulare proposte in questa direzione, ma esse, sia nel Parlamento europeo, sia nel Consiglio dell’Unione, non riescono a trovare posto negli ordini del giorno. Però questi europeisti non sono ancora sconfitti. E potrebbero finanche risultare vincenti in prospettiva. Devono soltanto decidere di puntare su obiettivi intermedi qualitativamente rilevanti, che sappiano essere capaci di ridurre le paure e rafforzare le speranze.
Sul dossier migranti, si può non franare sulla chiusura progressiva delle frontiere, se la proposta italiana di finanziare lo sviluppo dei Paesi, da cui parte la maggioranza dei disperati, e di creare hotspot sul lato libico del Mediterraneo fosse fatta propria dall’Europa. Un sostanziale rallentamento degli sbarchi sia in Grecia che in Italia, ridurrebbe il nervosismo che serpeggia in tanti Paesi europei e darebbe tempo a impostare ovunque un sistema di accoglimento simile a quello italiano, che ha consentito un assorbimento soft dell’immigrazione spalmandolo su tutto il suo territorio.
Quanto al dossier politiche di bilancio, mi sembra che la proposta più ragionevole sia stata formulata da Lucrezia Reichlin che riporto interamente: “Abbiamo bisogno di un patto che preveda l’utilizzo sia di risorse nazionali future per abbattere una parte del debito oggi, sia di risorse comuni. Per ciò che concerne queste ultime, c’è bisogno di solidarietà, ma questo non è un imperativo morale. E’ solidarietà nel contesto di un accordo che sia negli interessi di creditori e debitori e che ci permetta di transitare verso un sistema diverso, in cui i Paesi a rischio riacquisterebbero sovranità e avrebbero più incentivi al rigore di bilancio necessario per rendere l’Unione solida”(Il patto che serve all’Europa, Corriere della sera 29/04/2016).
Aderire al pessimismo è mestiere facile, ma se c’è ancora uno spiraglio di ottimismo in giro, vale la pena di lavorare con tenacia, per arginare la frana e ingrandire il varco.