Basteranno 8 mesi – tanto manca alle elezioni europee – perché le forze politiche siano in grado di rispondere in modo efficace ad una deriva neo gollista verso l’”Europa delle patrie” o peggio la sua progressiva riduzione ad una sorta di “mercato comune” di fine 900? Ovvero, è possibile che si formi una maggioranza degli elettori europei che vuole proseguire nel difficile ma non impossibile cammino della creazione di una comunità continentale federata, come unica garanzia per confrontarsi alla pari con Stati Uniti, Russia, Cina? In definitiva, è possibile che gli europeisti riescano a contrastare l’avanzata dei sovranisti? Domande che già alimentano tormentoni di ogni genere, ma che non possono rimanere sospese nel vuoto e nel tempo, perché entrambi si stanno esaurendo.
E’ da escludere che una risposta positiva possa venire dalla disgregazione del fronte antieuropeo. E’ vero che esso si presenta non omogeneo, ma rifiutando un’Europa coesa e federata, questa disomogeneità è più una forza che una debolezza di quello schieramento. Né la risposta può venire dalla denuncia, giusta di per sé, della loro menzogna più spudorata a cui molte persone, nei vari paesi europei, Italia compresa, sembra credere: più sovranità, più possibilità di stare meglio. Una menzogna che non implica l’uscita dall’euro e dalle sovvenzioni del bilancio europeo (Orban docet) ma che propugna la libertà di non condividere quasi niente di ciò che l’Europa fa e la possibilità di indebitarsi come meglio si crede (Di Maio/Salvini), senza considerare le reazioni a questa opzione. Il guaio è che ogni voce critica, che cerca di spiegare le conseguenze di queste scriteriate scelte, è vissuta, come minimo, come una “gufata”. Eppure niente è più vero di quanto sostenuto recentemente da Renzo Piano: “il momento in cui crollano i ponti e si alzano i muri, è un momento terribile per il Paese”(dichiarazione a Che tempo che fa, 30/9/2018).
In questo contesto appare anche problematico, se non improbabile, che il successo degli europeisti possa concretizzarsi in termini di puro schieramento, anche se in tanti auspicano un’alleanza ampia (da Tsipras a Macron, passando per i socialisti di ogni tipo e centristi di varia ispirazione). Certo, questa sarebbe la soluzione più elementare. Ma ad una condizione, opposta a quella dei sovranisti. Agli europeisti non basta esprimersi in continuità con la loro storia, con il loro impegno a far funzionare le istituzioni europee e unirsi “contro”. Devono esibire un “per”, un’unica piattaforma programmatica, fortemente condivisa e credibile.
Non una ripetizione di idealità e principi, dietro ai quali non si sa bene cosa effettivamente farebbe questa coalizione, nel caso dovesse vincere, ma una proposizione di politiche da perseguire con determinazione e, possibilmente con qualche significativo segno di discontinuità. In altri termini, si dovrebbe costituire uno schieramento che esplicita, prima e non dopo il voto, cosa farebbe in caso di vittoria; uno schieramento che sappia, quindi, imporre all’attenzione pubblica una sua agenda di priorità, piuttosto che intervenire soltanto avversando quella degli anti europeisti.
Allo stato, almeno leggendo i documenti che iniziano a circolare, questa impostazione non ha presa. Siamo alle dichiarazioni valoriali e ideali, alle volontà strategiche, ai giuramenti partecipativi e democratici. Troppo poco. Gli avversari hanno parole d’ordine più agguerrite, anche se portate avanti in ordine sparso e con propositi divergenti.
Quindi in questi 8 mesi dovrà essere messo in campo uno sforzo collettivo, a più voci per far emergere un messaggio chiaro, attraente ed incisivo e necessariamente alternativo a quello dei sovranisti europei. Per far ciò, non c’è bisogno di scrivere un libro dei sogni, né di essere dettagliati e minuziosi. C’è bisogno di obiettivi e soluzioni che facciano comprendere che la coalizione guarda non solo al presente ma anche al futuro della società europea, che delinei il senso di marcia e che schieri una leadership convinta e convincente, in grado di realizzare quanto propone.
Almeno quattro saranno le questioni centrali. Fisco. Lavoro. Emigrazione. Democrazia sovranazionale. Ovviamente, molte altre andranno affrontate (penso alla decisiva politica per far aumentare le nascite, condizione di fondo per pensare all’avvenire con ottimismo), ma su queste non ci si può limitare a parole di circostanza, a mediazioni annacquate, al dico e non dico. Sono in gioco la credibilità del progetto alternativo, la solidità dello schieramento, la possibilità di mobilitare in maniera eccezionale le persone, per poter vincere.
La fiscalità è passaggio decisivo per fare politiche redistributive della ricchezza prodotta e avviare politiche economiche europee in grado di rispondere ai divari crescenti tra e dentro i singoli Paesi. Una fiscalità europea passa innanzitutto attraverso l’eliminazione dei paradisi fiscali esistenti all’interno dell’Unione. Le flat tax che stanno emergendo, qua e là, sono anche figlie di questa ambiguità. I capitali scorrazzano a piacimento nel mondo, ma almeno nel perimetro europeo non ci dovrebbe essere concorrenza sleale tra i Paesi nell’attrazione finanziaria.
Il lavoro, un lavoro dignitoso e non il lavoretto precario deve diventare la base dello sviluppo. Le tecnologie 4.0, le infrastrutture materiali e soprattutto immateriali, la ricerca e la formazione continua e politiche attive del lavoro efficienti sono le condizioni di sistema per promuovere uno sviluppo e una occupazione sostenibili. Non è la crescita di per sé che è fattore di integrazione, ma il lavoro di qualità, che oggi rappresenta il fattore più esposto al rischio dell’obsolescenza e della mancanza di opportunità. Proprio per questo, a livello europeo deve realizzarsi una politica che non privilegi il contenimento del costo del lavoro, ma favorisca la tutela e la promozione della qualità del lavoro, specie se riguarda il lavoro flessibile che deve costare di più di quello stabile.
Quanto all’emigrazione, la discontinuità sta nel non concordare soltanto sulle condizioni per l’accoglienza – cavallo di battaglia contro, dei nazionalisti – ma assumendo come questione di breve e medio periodo la tematica dell’integrazione, in tutte le sue sfaccettature. Infatti, occorrono politiche mirate alla integrazione dei migranti e dei richiedenti asilo. Programmi coordinati che realizzino l’integrazione linguistica, l’educazione civica e la convivenza sociale; finanziamenti per la casa, per l’istruzione, per l’inserimento al lavoro, a partire dai lavori socialmente utili. Senza uno sforzo comune su questo fronte, non si governa bene neanche l’accoglienza. Lo ha detto finanche il Papa. “Accogliere lo straniero è un principio morale…Ma non si tratta di accogliere “alla belle étoile”, no, ma un accogliere ragionevole… Un popolo che può accogliere ma non ha possibilità di integrare, meglio non accolga. E credo che proprio questa sia la nota dolente del dialogo oggi nell’Unione Europea” (dichiarazione sul volo da Dublino a Roma 27/8/2018).
Infine, sulla qualità della democrazia sovranazionale. L’europeista è tendenzialmente disponibile al trasferimento di sovranità. Ma questa propensione va orientata con proposte che almeno cancellino gli elementi di freno che finora hanno dominato la scena. Sono quelli che allungano i tempi delle decisioni e che fanno arrabbiare la gente, ma anche quelli che pretendono l’unanimità nelle decisioni degli organismi sovranazionali, impedendo agli organismi europei di decidere in base ai criteri democratici di maggioranza e minoranza. Una parola di chiarezza la devono dire quelli dello schieramento europeista, senza timidezze e tatticismi. Perché l’Europa si federa soltanto se si delinea un sistema di democrazia non paralizzata da cavilli e veti.
8 mesi non sono pochi per gente di buona volontà. D’altra parte, queste saranno elezioni che – forse per la prima volta nella storia del Parlamento europeo – verranno vissute come vicenda che tocca le singole persone. C’è crescente consapevolezza della posta in gioco, sia perché il mondo sta cambiando e l’incertezza viene da lontano, sia perché le questioni della vita quotidiana si intrecciano con quelle del destino di un intero continente. Da una parte (i sovranisti), si sventola la bandiera del ripiegamento nazionalistico; dall’altra, (gli europeisti), va lanciata la sfida dell’alleanza per la solidarietà concreta, toccabile con mano, non divisiva. Operando così, è possibile che l’agenda vincente della prossima tornata elettorale sia quella di chi crede nella capacità di governo del futuro. Una agenda che possa far sperare di sbaragliare l’opposizione ad una Europa più forte, più democratica, più inclusiva.