No, non bisogna avere paura dell’intelligenza artificiale. Bisogna governarla, «perché nasce come una tecnologia buona e oggi ci serve a fare di più e meglio con tutto questo universo di informazioni che non siamo più in grado di gestire». Luciano Floridi, il filosofo docente all’Università di Yale, tra i massimi esperti di etica digitale, ieri pomeriggio ha tenuto una lectio alla Camera dei deputati entrando nel merito di una delle questioni più spinose del nostro tempo: l’Ia ci soppianterà? Distruggerà posti di lavoro? Darà il colpo di grazia a un pianeta al collasso?
Il professore è convinto che solo l’impatto ambientale, che si intreccia a quello sociale, sia ancora un vero rischio: «Consuma troppa energia, fa male all’ambiente ma è un serio problema che si può affrontare: in questi giorni sarò a Ginevra dove racconterò di oltre mezzo milione di progetti Ia a favore degli Sdg, i Sustainable Development Goals. Potrebbe consumare meno e fare di più, fare meglio». Il rischio, sul piano sociale, è invece il divario, la polarizzazione del sistema con una fetta di cittadinanza che non ha accesso agli strumenti: «Ma questi – dice Floridi – non sono problemi della tecnologia. Sono problemi nostri: è la politica che deve farsi carico della governance. Serve una regolamentazione che superi le lobby, che ponga regole precise. I vero rischio, oggiè l’incertezza. Bisogna affrontarla anche se lo so, è faticoso». Perché la rivoluzione è stata velocissima: «Non abbiamo fatto in tempo a capire cosa fosse Internet che è arrivato il metaverso e adesso l’intelligenza artificiale».
Per questo bisogna essere ottimisti, ma non ciechi: «È evidente che si tratta di un cambiamento sconvolgente ed è bene che ci si senta spiazzati: è una rivoluzione che ci deve sconvolgere». Ma non travolgere.
Floridi in 45 minuti ha provato a spiegare che cosa non abbiamo ancora capito «di un sistema che non è intelligente, ma che sa fare cose». Come? «Rielaborando l’enorme mole di informazioni che negli ultimi vent’anni gli abbiamo consegnato: tutti i film che abbiamo visto, tutte le parole che abbiamo pronunciato, per esempio».
L’errore starebbe a monte, «quando abbiamo creduto che il digitale fosse una rivoluzione di comunicazione: è invece la creazione di un nuovo ambiente dentro al quale viviamo. Il digitale ce lo portiamo nel cuore, fisicamente: pensiamo ai cellulari perennemente nelle tasche delle nostre giacche».
Per provare a spiegare, in modo semplice, la portata del cambiamento, Floridi utilizza esempi concreti. «Un’idea ce la dà la pasta alla carbonara. Fino a pochi anni fa, facevamo ricerca mettendo insieme gli ingredienti e la ricetta e così ottenevamo il piatto. Adesso basta far vedere al sistema il piatto ed è lui a elaborare i dati della ricetta. E lo fa perché noi l’abbiamo addestrato». Un altro esempio chiarificatore è la metafora del puzzle: «Riesce a comporlo dal retro, senza inquadrare la figura: perché conosce le probabilità che permettono ai tasselli di incastrarsi». E così sarebbe già possibile, per esempio, chiedere a una delle piattaforme di intrattenimento che trasmettono serie tv e film di creare un contenuto sulla base di un plot inesistente che si vorrebbe vedere: «L’Ia generativa ci permetterà di creare i contenuti che vogliamo». Può non far paura? «Non deve. Per anni abbiamo immaginato un androide che lavava i piatti al posto nostro. Ma non arriverà mai, perché esiste già la lavastoviglie».
E il problema occupazionale? «È vero che si perderanno milioni di posti di lavoro ma è vero allo stesso modo che se ne creeranno altrettanti. Bisogna investire nella formazione, sia di quelli che devono fare la transizione e reinventarsi sia, soprattutto, dei giovani. Ci sono posti del mondo, penso a Yale, dove è inutile parlare a un diciottenne di cosa è Chatgpt: ci fa i compiti da sempre».
Secondo il docente, il problema occupazionale che stiamo affrontando non deriva dalla mancanza di lavoro «per la quale ci vorrebbero rimedi keynesiani, ma dalla mancanza di un allineamento di domanda e offerta: il mercato vorrebbe assorbire tantissime nuove figure professionali, solo che non ci sono ancora le competenze». Ecco, un altro compito della politica. «Gli operai saranno sostituiti dai robot nelle fabbriche? Ci vorrà sempre un umano che controlla. Davvero qualcuno può credere che più la macchina da corsa diventa performante, meno abilità serviranno per guidarla?».
Anche sul rischio della protezione dei dati, Floridi è ottimista: l’intelligenza artificiale si può addestrare. «Se scegli un modello freddo, avrai solo le informazioni meno sensibili. È, ed è questo il punto, solo una questione di governance. L’analogico ha ancora un controllo sull’intelligenza artificiale: attraverso i cavi, i data center, i satelliti».
Anche di problemi etici, dice, «si discute da cinquant’anni: il vero problema è cosa ci facciamo con tutto questo potenziale».
Floridi, guida una commissione tecnica nominata dal Comitato di vigilanza sull’attività di documentazione presieduto dalla vicepresidente della Camera Anna Ascani. Ieri sono stati presentati i primi tre progetti di Ia applicata all’amministrazione, dalla scrittura assistita degli emendamenti alla consultazione delle attività dei singoli parlamentari: «Un’avanguardia – ha dettoFloridi – L’Italia può essere leader di un terzo polo dell’Ia tra Stati Uniti e Cina».
*da Repubblica, 10/07/2025