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Formazione e politiche attive:cambia il mondo, attrezziamoci

Secondo alcuni autori la pandemia segnerà la fine di una fase storica, un poco come la grande guerra segno la fine della Belle époque e l’inizio di quello che E.J. Hobsvbawm ha chiamato “Il Secolo Breve”. 

Questo perché la pandemia è stata un catalizzatore di processi già in farsi, che in questa fase si sono manifestati: la rivoluzione digitale dispiegata e l’avvento delle IA nei luoghi di lavoro e nella vita di tutti noi, l’apertura di una fase di transizione ecologica dell’economia, per contrastare l’insostenibilità dell’attuale modello di sviluppo, l’esaurirsi di quella fase di globalizzazione degli scambi così come si è configurata dopo il crollo dell’Unione Sovietica  trent’anni fa e del modello  globale di specializzazione manifatturiera che si era costruito. 

L’autunno ci costringerà a fare i conti con l’effetto sistemico di queste tre grandi trasformazioni in atto e le strutture economiche e sociali saranno chiamate a mutare profondamente nel corso del prossimo quinquennio determinando così radicali cambiamenti nella qualità e nella struttura dell’occupazione e, quindi, nella vita, del corpo sociale.

Le decisioni di politica economica assunte a livello europeo, che promuovono politiche espansive, cercano di creare le condizioni affinché questo passaggio, stretto e periglioso, si trasformi in un’opportunità, così da gestire al meglio quella fase di “distruzione creativa” che, per dirla con Schumpeter, ci attende e ridurne i costi sociali.

Infatti non è ancoro chiaro se l‘impatto della rivoluzione digitale, che trasformerà, così sostengono gli esperti del World Economic Forum di Davos, la metà degli attuali posti di lavoro nel prossimo decennio distruggendone moltissimi, sarà in grado di crearne altrettanti e, soprattutto, se riuscirà a crearli negli stessi luoghi ove questi posti di lavoro verranno meno e se saprà impegnare nei nuovi posti di lavoro le stesse persone che il lavoro lo avranno perso.

Il processo di transizione ecologica verso un economia circolare e sostenibile è ancora più oscuro, perché meno indagato, ma secondo alcuni autori l’impatto sui cicli di lavoro e sulla sua organizzazione potrebbe risultare altrettanto radicale, trasformando la struttura dell’occupazione, le competenze ed il sapere tecnico necessario a tutti i livelli.

Il differente mix di materiali, processi e fonti energetiche che dovrà essere messo in campo nei prossimi anni genererà nuovi distretti produttivi ed una nuova distribuzione internazionale del lavoro governata dal principio di sostenibilità.

Del resto una ristrutturazione del sistema di specializzazione produttiva internazionale è in corso da tempo sull’onda delle trasformazioni geopolitiche ora manifeste e delle evidenti criticità insorte nel quadrante del Pacifico nelle relazioni fra potenze. Gli stessi dati sul Commercio Internazionale pre-pandemia indicavano un accresciuto ruolo degli scambi regionali (oltre il 50% dell’export italiano era in ambito UE a cui si aggiungeva una importante quota verso i Paesi del Nord Atlantico) a discapito dei flussi fra aree diverse.

Quindi l’Italia dovrà vedersela, nei prossimi mesi ed anni, con un processo di ristrutturazione del proprio sistema economico mosso da tre fattori: geopolitica, sostenibilità e innovazione digitale. 

Come si presenta il Paese a questo appuntamento? Con molti punti di forza ma alcune debolezze strutturali: l’Italia è una nazione di anziani. I ventenni di oggi, nati nel 2000 in Italia, sono 530 mila, di cui oltre 60.mila senza cittadinanza, mentre i loro coetanei di 40 anni fa, nati nel 1960 erano 930 mila. Nel 2020 sono nati 420 mila bambini di cui 92 mila non di nazionalità italiana, quindi fra vent’anni la situazione sarà ancor più critica.

 Purtroppo i dati sulla scolarità dei nostri giovani non sono confortanti: l’Italia è oggi il quarto Paese europeo, dopo Malta, Spagna e Romania, per percentuale di abbandoni precoci del sistema educativo (un ragazzo su quattro). Il sistema scolastico e  universitario è stato oggetto di significativi tagli di budget nel corso dell’ultimo ventennio ed i risultati si vedono proprio oggi che avremmo bisogno di nuove leve di tecnici e di personale ad elevata professionalità da immettere nel nuovo sistema produttivo 4.0.

I lavoratori attivi oggi sono 23 milioni di cui oltre 15 milioni lavoratori dipendenti: sono loro che dovranno affrontare, nei prossimi anni, una revisione profonda del proprio sapere e delle proprie competenze per adeguare la propria professionalità alle mutate esigenze del mondo del lavoro. Se le previsioni del WEF fossero vere staremmo parlando di 12 o 13 milioni di persone di cui almeno 8 milioni fra i lavoratori dipendenti.

Il problema è che una parte importante della nostra forza lavoro ha un tasso di scolarità abbastanza basso. Nella fascia di persone in età da lavoro in Germania l’86,6% è in possesso di un Diploma di Scuola Superiore mentre in Italia ci attestiamo al 62,2%, i laureati da noi   sono il 19,6 contro il 33,2% della media europea e le nostre Università conferiscono annualmente Diplomi di laurea ad una percentuale di giovani superiore solo a quella delle Università della Romania ed inferiore a quello di tutti gli altri Partner europei.

Come si sa è più facile innestare un processo di riconversione professionale operando su di un utenza maggiormente avvezza a studiare e sperimentare, ed anzi, una abitudine all’apprendere favorisce processi financo di auto aggiornamento ed auto istruzione, molto utili alla attualizzazione della propria capacità di competere sul mercato del lavoro. Una popolazione scarsamente scolarizzata è quindi più difficile da trattare in età adulta di una popolazione avvezza alla pratica dello studio e dell’aggiornamento.

Se questo è lo scenario che ci attende e se la popolazione su cui saremo chiamati ad intervenire è quella descritta occorre riflettere sulla strumentazione da mettere in campo e sul costo degli interventi necessari sin dai prossimi mesi così da non farsi cogliere impreparati e riuscire a gestire questa difficile transizione.

Fra le misure assunte dai Governi nel corso di questo anno e mezzo di emergenza pandemica il blocco dei licenziamenti e la introduzione della Cassa Integrazione Covid hanno avuto il pregio di sterilizzare fino ad oggi, anche se solo in parte se si tiene conto di quei quasi 900 mila contratti a termine non confermati, le tensioni sul mercato del lavoro.

Con il venir meno di queste misure il problema sopra rappresentato si manifesterà in tutta la sua evidenza e richiederà l’urgente dispiegarsi di misure, d’un canto di politica industriale e finanziaria a sostegno degli investimenti e, d’altro canto di una riforma degli ammortizzatori sociali e di efficaci politiche attive del lavoro.

Dovremo dotarci di sistemi di rafforzamento dei saperi e delle competenze dei lavoratori che sappiano operare su due fronti: quello dell’intervento preventivo e quello dell’intervento emergenziale.

Per quanto concerne l’intervento preventivo andrebbero rinforzati gli strumenti di formazione continua oggi esistenti, con tutta evidenza insufficienti a fronteggiare la situazione che ci attende: i Fondi Interprofessionali raccolgono ed investono ogni anno, nel nostro Paese, circa 700 milioni di euro, veramente pochi se paragonati al valore dell’investimento annuale in Francia che ammonta a circa 5 volte tanto. Non va inoltre dimenticato che 120 milioni di euro che vengono versati ogni anno da Imprese e lavoratori con questa finalità vengono trattenuti dallo Stato e destinati ad altri scopi.

La formazione continua dovrebbe, prioritariamente, essere destinata a rinforzare le competenze dei lavoratori per adeguarle alle necessità dei mutamenti in atto in azienda e nel settore, in questo senso si muovono anche le esperienze contrattuali condotte dai metalmeccanici e da altre categorie, che tendono ad incrementare e rafforzare il diritto individuale alla formazione, esperienze che andrebbero sostenute e diffuse.

Un altro strumento che andrebbe meglio finalizzato ed oggi a disposizione è quello del Fondo Nuove Competenze, che può finanziare il costo aziendale degli addetti distaccati per periodi significativi di formazione: sarebbe utile destinare, in linea esclusiva, parte di questo investimento a sostenere coloro i quali decidessero di portare a compimento cicli di studi interrotti presso il sistema d’Istruzione e Formazione, in raccordo con il sistema della Educazione Permanente della Scuola di Stato e le Regioni, così da migliorare la preparazione di base di una larga parte della popolazione lavorativa. Questo consentirebbe di riprendere innovandola l’antica esperienza delle “150 ore” che ebbe un ruolo importantissimo nei processi di socializzazione e innovazione sociale negli anni settanta del secolo scorso.

Egualmente il Sistema dell’Educazione Permanete ed i Sistemi Regionali di Formazione andrebbero mobilitati sul fronte dei percettori del reddito di cittadinanza, ove numerosi sono i drop out e dove un primo intervento di socializzazione ed educazione potrebbe essere a supporto o alternativo ad altri interventi di formazione professionalizzante.

Per quanto concerne le emergenze dobbiamo incominciare ad immaginarci che ci troveremo a fronteggiarne due, apparentemente opposte, ma speculari: coorti significative di persone espulse dai cicli produttivi da riqualificare e difficoltà nel reperire personale specializzato da parte delle imprese.

Questo accadrà per effetto del processo di “distruzione creativa” a cui accennavamo sopra e, se non affrontato con strumenti adeguati produrrà disoccupazione di lungo periodo e un limite alla crescita delle imprese ad alto contenuto di competenza tecnologica e specialistica.

Tenendo conto delle questioni demografiche e dell’andamento dei tassi di scolarità nel Paese l’effetto di sostituzione fra personale obsoleto e nuove coorti in ingresso sul mercato del lavoro non pare la soluzione ai problemi delle imprese; inoltre considerazioni in merito alla finanza pubblica rendono difficile immaginare l’adozione di strumentazioni d’antica tradizione (prepensionamenti di massa) ed ancora il cattivo rapporto popolazione attiva su popolazione in generale nel nostro Paese ci suggerisce che il nostro obiettivo deve essere la crescita  della percentuale della popolazione occupate.

Quindi anche in questo caso vanno poste in atto politiche di riqualificazione del personale espulso dai cicli produttivi finalizzati, d’un canto al potenziamento cognitivo e delle competenze e, dall’altro al reinserimento lavorativo.

Una parte di questo lavoro potrà essere svolta dai Sistemi Regionali di Formazione che dovrebbero intervenire attraverso processi di offerta di opportunità formative, costruite sulla base dell’analisi dei fabbisogni professionali a livello territoriale, rivolte ai disoccupati ed agli inoccupati, secondo procedure e forme tipiche dei finanziamenti europei, intercettandoli immediatamente questi venissero espulsi dai processi lavorativi o manifestassero l’intenzione di rientrarvi. 

Per aiutare le Imprese a superare il mismatch ed ingaggiare personale di difficile reperimento sul mercato del lavoro si potrebbe invece incaricare i Fondi Interprofessionali, affidando loro i necessari strumenti finanziari (ad esempio restituendo loro i 120 milioni di euro trattenuti e vincolandoli per destinazione) di intervenire per promuovere attività formative consistenti, tailor made e realizzate dalle aziende stesse, finalizzate esclusivamente all’inserimento lavorativo.

Fondimpresa ha condotto, con buon successo, una sperimentazione in tal senso, con l’avviso 3/2019, ove venivano finanziate attività formative importanti il cui costo veniva corrisposto all’azienda, alla fine di tali attività, solo a fronte dell’avvenuta assunzione a tempo indeterminato di almeno il 70% dei partecipanti.

I risultati di questa sperimentazione sono stati confortanti: con una spesa formativa contenuta sono stati raggiunti importanti risultati, che replicati su più ampia scala potrebbero essere di giovamento in una fase difficile come quella che va ad aprirsi.

Per fronteggiare la situazione che si delinea dovremo quindi dispiegare rapidamente numerose strumentazioni d’intervento, coordinate tra di loro e dovremo offrire un supporto orientativo ad imprese e lavoratori così da utilizzare al meglio la strumentazione a disposizione, favorendo un proficuo concerto fra Istituzioni Educative di Stato, Sistemi Regionali di Formazione e Fondi Interprofessionali per la Formazione Continua.

 

* Direttore Area Formazione Fondimpresa

 

 

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