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Un’ esperienza che mette a nudo i limiti del sistema formativo

Commentare il bilancio dei primi sette mesi della Garanzia Giovani Italiana a partire solo dagli scarni dati dei monitoraggi settimanali pubblicati dal servizio di monitoraggio del Ministero del Lavoro può sembrare esercizio sterile. Il lentissimo decollo della Garanzia Giovani consiglierebbe il rinvio di ogni valutazione, al fine di evitare la tentazione di giudizi frettolosi. Questo è piuttosto il momento di rilanciare, anche adeguandone strategia e operatività, una campagna nazionale per il lavoro professionale dei giovani. Per questo partiamo dal considerare, pur nella loro sommarietà, alcuni degli elementi informativi disponibili e significativi. 

Il primo dato da considerare è il numero degli iscritti; nei primi sette mesi, al 20 novembre 2014,  305.706 giovani, circa dieci mila alla settimana. Vista la situazione di emergenza, ci si poteva aspettare un’adesione più massiccia, considerando anche che la disoccupazione giovanile ha raggiunto un nuovo picco negli ultimi mesi. 

Gli iscritti sono un quinto dell’insieme della popolazione giovanile, i cosiddetti NEET,  indicata come beneficiaria nel  Piano di attuazione italiano della Garanzia per i Giovani. C’è da domandarsi non solo se i luoghi, fisici e virtuali, e i modi di intercettazione dei giovani siano i più adeguati allo scopo, ma anche quanta fiducia possano avere questi giovani – disincantati e spesso più saggi dei loro interlocutori adulti – in un dispositivo che appare comunque un po’ ingessato, riproposizione di schemi già noti. 

Forse è il caso di rivedere lo schema di approccio ai giovani finora centrato su servizi e amministrazioni pubbliche dell’impiego, valorizzando i luoghi più familiari ai giovani, le istituzioni scolastiche e formative, le aggregazioni giovanili e i soggetti e i luoghi sociali da loro incrociati. E, forse, è il caso di dare ai giovani una fondata visione di futuro, oltre a quella che la politica pensa di dare loro con immagini giovanilistiche da cartellone da campagna elettorale. 

Forse bisogna anche superare con proiezioni innovative, nella forma e nei contenuti, il carattere di grigio e burocratico documento ministeriale del Piano di attuazione italiano della Garanzia per i Giovani, che sembra ricalcare, ovviamente con aggiunte dovute alla maggiore disponibilità di risorse, programmi già consolidati in alcune Regioni.

Le articolazioni regionali delle iscrizioni e dei programmi locali della Garanzia Giovani e i tempi di reazione di alcune Regioni sono un altro elemento di criticità. Quanto alle iscrizioni si hanno Regioni con oltre il 40% del target potenziale iscritto al programma e Regioni nelle quali il tasso di adesione è inferiore o di poco al di sopra del 10%. Ma le ragioni delle differenze non sono così facilmente identificabili e non stabiliscono necessariamente una graduatoria di valore. 

Nell’atteggiamento dei giovani nei confronti di Garanzia Giovani potrebbero pesare le effettive opportunità, le loro aspettative, le condizioni del mercato del lavoro locale, i programmi regionali e altro ancora. Sicuramente queste differenze segnalano, oltre che una buona dose di confusione e di approssimativa improvvisazione, la carenza strategica nazionale e locale. Forse non è inutile ripetere che serve una più definita, oltre che innovativa, strategia.

I riscontri finora dati ai giovani iscritti non possono entusiasmarli.  Degli iscritti solo 98.240, il 32%, sono stati presi in carico e profilati. Dal rapporto di monitoraggio, sembra che la presa in carico consista essenzialmente nella chiamata a colloquio per la profilazione.  Non c’è dubbio che le forze dei servizi pubblici per l’impiego siano insufficienti, ma non basterà aumentarne gli addetti se non si mobilitano le risorse di altri sistemi pubblici e privati, in particolare quelli dell’orientamento, dell’istruzione e della formazione professionale. 

Al riguardo si fa spesso il confronto con altri Paesi Europei che hanno molti più addetti alle agenzie per il lavoro, senza considerare, però, che spesso in quei Paesi le agenzie per il lavoro gestiscono anche altri servizi – tra i quali quelli di welfare per i disoccupati, in particolare forme varie di reddito di disoccupazione, anche per giovani impegnati in percorsi di formazione e inserimento lavorativo – e sono strettamente integrati con forti sistemi di formazione e riqualificazione professionale per giovani e adulti.  

Per concludere con i riscontri dati ai giovani, qua e là dalle Regioni si ha qualche segnale di erogazione di servizi oltre la profilazione, ma secondo l’ultimo rapporto del 21 novembre in tutto il Paese sarebbero state attivate misure per soli 700 mila euro. 

Quanto ai dati dei profili dei giovani già passati attraverso i colloqui, il rapporto ci dice che  l’11%  dei giovani già profilati ha un’età compresa tra i 15 e i 18 anni, il 51% tra i 19 e i 24 anni e il 38% tra i 25 e i 29 anni. Inoltre nel rapporto si rileva che il 35% dei giovani profilati avrebbe un basso indice di difficoltà nella ricerca di un’occupazione, il 36% un indice medio-basso , il 22% un indice medio-alto e il 7% un indice alto. 

Il favorevole livello di profilazione sarebbe da collegare all’alta scolarizzazione e alla forte componente di giovani residenti nelle regioni del Nord Italia. Il precedente rapporto del 14 novembre  classificava i giovani anche per titoli di studio:  il 19% laurea, il 57% diploma  e il 24% terza media o inferiore. Probabilmente non siamo di fronte a un campione rappresentativo a causa delle distorsione dovute alle diverse velocità di attivazione delle Regioni, d’altra parte non  sono del tutto noti i criteri che definiscono i vari livelli di profilazione. 

E’ comunque impressionante il 24% di giovani che, al massimo, hanno conseguito il diploma di terza media. Allo stesso modo fa un certo effetto rilevare l’uso della categoria dei titoli di studio, senza menzione del Quadro Europeo delle Qualificazioni (EQF), pur acquisito dall’Italia con l’Accordo sottoscritto in Conferenza Stato-Regioni il 20/12/2012, che consentirebbe una lettura più articolata dei dati, in quanto – come comunemente inteso in Europa  – efficace interfaccia di comunicazione tra i sistemi formativi e il mercato del lavoro. 

Non è una questione nominalistica e, forse, è l’indicatore di quanto poco si consideri in Italia il valore della qualificazione professionale, a tutti i livelli, e del lavoro professionale, non riducibile all’occupazione. Sarebbe un peccato che anche la Garanzia Giovani risentisse di un “approccio scolastico”, ma è da immaginare – e sperare – che sul campo si consideri la qualificazione professionale più di quanto, forse per obbligata semplificazione, faccia il monitoraggio nazionale.

Resta il campanello d’allarme del 24% dei giovani che hanno fatto solo la scuola media e talvolta neanche quella. E’ presumibile che una buona parte dei disoccupati più giovani (anche fino a 24 anni) dovrebbe essere ancora in formazione. Anche le rilevazioni OCSE confermano che i giovani italiani stanno a scuola e in formazione meno di molti coetanei stranieri: nel 2012 i giovani italiani di 15/29 anni avevano un’aspettativa di 6,7 anni di studio/formazione (6,2 nel 1999); gli anni dei Paesi OCSE erano 7,3 (6,2 nel 1999, come l’Italia), quelli dei paesi EU 21, 7,5 (6,4 nel 1999). 

E’ da sottolineare che negli altri Paesi i risultati migliori vengono raggiunti anche attraverso forti sistemi di formazione professionale. Secondo l’OCSE anche la partecipazione alla formazione terziaria, universitaria e non, in Italia è più bassa della media, il 47% di immatricolati di una classe di età (in calo rispetto al 56% nel 2005), contro la media OCSE del 76% e la media UE 21 del 70%. La differenza la fa non solo il calo delle immatricolazioni italiane, ma anche la sostanziale assenza di un sistema di formazione terziaria non universitaria. La Germania arriva al 75% (53% istruzione universitaria + 22% istruzione terziaria non universitaria); il 20% delle matricole universitarie ha alle spalle anche una formazione professionale nel sistema duale, che viene comunemente ritenuto un elemento portante dell’economia tedesca. 

Raggiungere le migliori medie internazionali di anni di frequenza formativa significherebbe già ridurre drasticamente la disoccupazione giovanile 15-24 anni. Ciò non significa mettere i giovani in un parcheggio scolastico, poiché raggiungere quelle medie, soprattutto rafforzando ed estendendo la formazione professionale –  in particolare nei percorsi più work-based, nella formazione terziaria non universitaria e nelle funzioni di gestione la transizione scuola/lavoro –  aiuterebbe anche a gestire meglio le criticità che seguono il passaggio dalla terza media al ciclo superiore, avendo margini più ampi per recuperare l’abbandono scolastico e per migliorare quelle competenze di base per le quali i nostri quindicenni risultano ultimi nelle rilevazioni OCSE. D’altra parte siamo tra i pochissimi Paesi europei ad avere solo 8 anni di istruzione generale comune, contro i 9 o 10 anni degli altri Paesi.

Dalla Garanzia Giovani ci si aspetterebbe una più precisa attenzione alla formazione e alla qualificazione professionale. La Garanzia Giovani ha bisogno di un partner formativo forte e in grado di fornire in modo flessibile la formazione richiesta, evitando il bricolage di corsetti che caratterizza i percorsi di disoccupati obbligati ad avere un francobollo formativo. 

Per non rifarci continuamente al modello tedesco, guardiamo all’esempio del piano spagnolo di Garanzia Giovani che, oltre ad avere un carattere più strategico di quello italiano, dà grande rilievo specifico, non solo strumentale al collocamento, alla formazione, si propone esplicitamente di contrastare l’abbandono scolastico e prevede, tra l’altro, misure di recupero/raggiungimento del diploma secondario superiore (che in Spagna significa anche formazione professionale) per chi ancora non lo possiede e di sviluppo di forme di sistema duale. Il tutto sta dentro la Garanzia Giovani, con un approccio non puramente lavoristico, eppure strettamente funzionale all’occupazione, anche con l’obiettivo di sostenere la creazione di imprese innovative.

Allargando il campo del confronto, vale la pena ricordare che, nei Paesi con forti sistemi di formazione professionale, il più efficiente collocatore al lavoro è la stessa istruzione e formazione professionale, soprattutto quella work-based. Uno degli esempi significativi è quello del sistema duale (non solo Germania, ma anche Svizzera e Austria), nel quale due terzi dei giovani passano direttamente dal contratto di formazione al contratto di lavoro a tempo indeterminato nell’azienda che ha partecipato alla loro formazione e il rimanente terzo non ha difficoltà a collocarsi, forte del prestigio della formazione. Del resto anche la nostra formazione professionale più work-based, quella che si svolge, purtroppo quasi solo, nelle Regioni del Nord Italia, ha degli esiti professionali, in tempi brevi, che reggono il confronto con il sistema duale.

Anche le migliori qualificazioni professionali e i più efficienti servizi per l’impiego non creano direttamente posti di lavoro. Li creano le imprese, se sono capaci di valorizzare il capitale umano in un’ottica di innovazione e, magari, dentro un quadro di efficaci politiche industriali, se sono interessate ad avere qualità in alternativa all’avere giovani “manovali” precari a basso costo. 

Per questo bisogna considerare anche le proposte di lavoro registrate da Garanzia Giovani.  Le opportunità di lavoro pubblicate dall’inizio del progetto sono 23.297, per un totale di 32.944 posti disponibili. Ma di queste solo 5.190 (per un totale di 7.066 posti) sono oggi attive, poiché la loro validità è di 60 giorni. Il 72,2% delle occasioni di lavoro è concentrata al Nord, il 13,6% al Centro e il 14,1% al Sud, lo 0,1% all’estero. Le informazioni disponibili non consentono di conoscere quante opportunità ormai scadute siano state colte  e quante attraverso Garanzia Giovani (dovrebbero essere pochissime se si considera la menzionata entità economica delle misure attivate). I posti di lavoro oggi offerti sono veramente pochi.

Ovviamente non è Garanzia Giovani a dover direttamente rispondere dell’entità delle opportunità di lavoro offerte, anche se una maggiore tempestività di reazione, maggiore attitudine proattiva e maggiore visione strategica potrebbero renderla più utile di quanto prospettato dalla sua attuale attuazione. Più in generale risulta decisivo il rapporto virtuoso tra occupazione qualificata e processi di innovazione nelle imprese sostenuti da adeguate politiche industriali. 

In Italia il sistema di imprese è caratterizzato dalla assoluta prevalenza di micro imprese con una elevata quota di settori a medio-bassa tecnologia, causa ed effetto, quest’ultima, di una accumulazione di capitale umano inadeguata ai bisogni di una moderna economia competitiva. E’ evidente l’esigenza di sostenere congiuntamente  i sistemi di promozione dell’occupazione qualificata e i sistemi delle imprese, di promuoverne la cooperazione e l’integrazione e di coniugare qualificazione, sviluppo dei sistemi professionali di settori/imprese e innovazione.  

Impegnare le imprese in processi formativi significa stimolarle alla riflessione sul loro sistema professionale e all’innovazione. E’ altrettanto evidente che le imprese ferme sulla difensiva, nel caso ricerchino collaboratori, abbiano meno bisogno di personale qualificato e tendano ad occupare in posizioni non qualificate tirocinanti e precari di varia natura contrattuale. 

In conclusione, bisogna ribadire che Garanzia Giovani italiana, deve essere, se non riscritta, almeno riorientata strategicamente alle priorità dettate non solo dall’emergenza occupazionale, ma anche dai possibili processi di innovazione, in raccordo con le imprese che già animano questi processi o almeno intendono accedervi. Una più precisa strategia nazionale dovrebbe dotarsi degli strumenti di riallineamento delle Regioni attualmente in difficoltà e dei piani regionali che risultino inefficaci.

Comunque Garanzia Giovani non può avere un’impronta esclusivamente lavoristica, fino a premiare, dal punto di vista del finanziamento, solo l’assunzione. Per i più giovani deve privilegiare il rientro in percorsi formativi o addirittura scolastici assumendo come obiettivo specifico il contrasto all’abbandono scolastico, per tutti deve pensare alla costruzione di carriere professionali con percorsi che possano prevedere alternanza di periodi di formazione e periodi di lavoro. 

Ovviamente questa sottolineatura non può andare a danno di inserimenti lavorativi, quando possibili e coerenti. Ciò significa evitare distorsioni, nel senso sia dei “parcheggi formativi”, sia – estremizzando – della sostituzione del lavoro professionale con una sequenza di lavoretti e tirocini. 

Più in particolare bisogna prendere atto che non sono i servizi dell’impiego da soli a poter dare corpo alla Garanzia Giovani e, in generale, a garantire – con i soli loro strumenti tipici  – l’occupazione. Neanche gli incentivi alle imprese creano occupazione, se le imprese non hanno un disegno di sviluppo. Serve lo sviluppo e l’integrazione di sistemi (scuola, orientamento, formazione professionale, inserimento lavorativo, formazione continua) e non si potrà eludere a lungo la questione di un reddito di inserimento lavorativo per i giovani in percorsi strutturati di transizione e alternanza scuola/lavoro, rivedendo anche il sistema di incentivi alle imprese per tirocini e assunzioni. 

Inoltre la qualificazione professionale è la stella polare dell’accesso al lavoro qualificato. Anzi il processo di qualificazione dovrebbe essere il più naturale veicolo della transizione scuola/lavoro. Serve quindi un forte sistema di formazione professionale in tutte le Regioni, nel quadro di un miglioramento del sistema scolastico, a cominciare dal mettere mano alla scuola media, al passaggio alla secondaria superiore e agli istituti professionali, nodi critici all’origine sia dell’abbandono scolastico. 

Alcune delle riflessioni proposte non attengono direttamente allo specifico funzionamento della Garanzia Giovani e rinviano a regolazioni del mercato del lavoro, a politiche industriali e di sostegno alle imprese, al riassetto del sistema educativo e formativo, a politiche di welfare giovanile e ad aggiustamenti del modello federalistico. Nondimeno il tenerle presenti come orizzonte strategico e investire qualche risorsa di Garanzia Giovani in queste direzioni non può che favorire il successo della stessa Garanzia Giovani.

 

 (*) Presidente nazionale delle Acli

 

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