Questo intervento rappresenta la traduzione pressoché letterale di un paper inviato alla Banca d’Italia per il XXI Workshop sulla Finanza pubblica, i giorni 20-22 Marzo 2019, dal titolo Frontiers of taxation and taxation across frontiers (Frontiere della tassazione e tassazione attraverso le frontiere). La risposta è stata: “Nonostante trovassimo il suo paper molto interessante, non siamo in grado di includerlo nel workshop del 20-22 marzo prossimo. Abbiamo ricevuto molti paper e abbiamo dovuto fare scelte che tenessero conto anche della composizione e della sequenza delle diverse sessioni tematiche. Purtroppo nel caso del suo paper non siamo riusciti ad includerlo. In ogni caso, ci piacerebbe comunque invitarla a partecipare al workshop come uditore. Come ricorderà, nel workshop ci sono varie sessioni durante le quali si può intervenire scambiando opinioni e commenti su temi (quest’anno) di tassazione. Il suo contributo sarebbe senz’altro apprezzato” (comunicazione della Banca d’Italia al sottoscritto). Sono andato, ed effettivamente sono stato in grado di intervenire, in minima parte ma significativamente, data la composizione e la sequenza delle diverse sessioni tematiche. D’ora in avanti segue la traduzione dell’intervento inviato, con modifiche minime. Nella prossima sezione vengono fuse la prima parte di quanto inviato alla Banca d’Italia ed una premessa che ho svolto in occasione della presentazione alla Siep del lavoro (n. 743, Tax system reform and the merits of the 1970 scheme. Sito internet: Società Italiana di Economia Pubblica → Pubblicazioni → Working Papers → Vitaletti → SEARCH). Successivamente viene ripreso l’intervento inviato.
Imposte indirette e imposte dirette in sintesi. Il gettito che va alle nazioni deve essere a base interna alle nazioni stesse. Quello che va alle organizzazioni internazionali può essere a base internazionale. La confusione su questo aspetto, fondamentale, non ha origine nelle imposte indirette, la cui matrice è l’Iva, che cade essenzialmente sui consumi. Essa ha origine invece nelle imposte dirette. La tassazione diretta riguarda i redditi distribuiti a livello personale; la personalità implica definire un luogo di residenza per il pagatore; i residenti di un paese sono colpiti di norma nella loro base interna nazionale e nella base internazionale. Questi sono i principi generali. Cioè le entrate di una nazione sono la somma delle entrate interne (dalla base nazionale) e di quelle esterne (dalla base estera). La progressività fa sì che le due basi siano strettamente legate. Questa è la regola per ciascuna nazione. Siccome l’accertamento dell’imposta può essere condotto solo internamente, ciò porta ad un disordine generale, che costringe le nazioni a integrare i loro sistemi fiscali. Questa costrizione presto porta ad una singola destinazione delle entrate, con un’amministrazione integrata. Ciononostante le funzioni di spesa restano principalmente nazionali. Questo costringe a enormi trasferimenti, effettuati alle singole nazioni dal punto di raccolta del gettito. La struttura sopra evidenziata è parzialmente evitata in Europa, perché ci sono eccezioni ai principi generali. Alcune di queste eccezioni sono: le società di capitali non pagano sulla base dei redditi distribuiti, ma sui redditi prodotti (profitti), a un tasso proporzionale; molte delle nazioni meno sviluppate (in Europa) applicano il principio della produzione e della proporzionalità per altri redditi oltre a quelli societari; la tassazione sui profitti distribuiti e sui guadagni di capitale (capital gains) è decrescente come aliquota (quella sui guadagni di capitale è a stento effettiva); i capitali finanziari sono sottratti in molti paesi alla progressività. Questo, se aggiungiamo la circostanza che ciascuna nazione sottopone normalmente a ritenuta tutti i redditi interni, e che i trattati internazionali pongono rimedi a ciò che necessariamente sono parziali, dà l’idea della totale confusione in cui si dibattono gli attuali sistemi fiscali sul lato dell’imposizione diretta. Il precedente sistema fiscale, quello in vigore fino agli anni settanta, basato per quanto riguarda la tassazione indiretta su tutti i beni prodotti (e non solo sui beni di consumo dunque), e per quanto riguarda la tassazione diretta sui redditi prodotti (e che per questo era proporzionale, con aliquote differenti a seconda dei tipi di reddito), era molto più appropriato. Il problema è come riuscire a ottenere i vantaggi dell’esperienza passata (fino al 1973), aggiungendo a essi la progressività, l’unico “risultato” dei tempi recenti. Si mostra che ciò è possibile, a patto di reintegrare le basi della tassazione passata: cioè imposte sul consumo, con l’aggiunta di una piccola aliquota sui beni prodotti e del rilancio della tassazione su prodotti specifici; imposte proporzionali sui redditi. A questo quadro verrebbe aggiunta la progressività dei contributi sociali, reintegrando l’attuale progressività a livello nazionale. Poi, la “progressività” dovrebbe riguardare le rendite (redditi delle fonti di energia, rendite degli affitti, rendite degli oligopoli, rendite legate al saggio di interesse, quando positivo), in molti casi con una reale dimensione internazionale, basata su accordi. Una sintesi tra vecchio e nuovo può essere alfine raggiunta.
Lo specifico della tassazione. Oltre essere stato in vigore fino al 1973, il sistema fiscale pre-riforma era pienamente sostenuto dalla tradizione italiana di Scienza delle finanze: De Viti e Einaudi, che hanno operato nel secolo passato, e Steve, che è giunto nel nuovo secolo, quello attuale. Le principali caratteristiche di quel sistema, per quanto riguarda la tassazione indiretta, erano: a) tutti i beni erano inclusi, sia di consumo che intermedi (non c’era in realtà distinzione tra le due categorie); b) c’erano importanti categorie di beni e servizi colpiti, ad aliquote speciali. Per quanto riguarda la tassazione diretta, le caratteristiche di fondo erano: c) i redditi venivano considerati non singolarmente, ma nelle loro masse, con aliquote differenziate; d) per questo motivo, non essendovi progressività personale, era possibile guardare alle basi imponibili solo a livello nazionale. L’enorme differenza con la tassazione post-riforma è evidente. Nella sua struttura, infatti, riguardo alle imposte indirette: A) le tasse sulle vendite hanno la loro base generale nel consumo e non nei beni di produzione. Il consumo non è peraltro evidenziato (cioè l’Iva non mostra esplicitamente la sua base imponibile); B) le aliquote specifiche sui prodotti restano, ma cambiano oggetto. Esse comunque perdono la loro importanza teorica, e non sono quasi studiate. Mentre, per quanto riguarda le imposte dirette: C) i redditi sono colpiti con aliquote differenziate (almeno quelli da lavoro, sia dipendente sia autonomo), a livello personale; D) come conseguenza, la base imponibile diviene internazionale (cioè riguarda tutti i redditi nel mondo).
I problemi con la tassazione indiretta. Partiamo con la tassazione indiretta, perché è la matrice del sistema, in particolare dell’accertamento fiscale. Ora essa è dominata dall’Iva, che, oltre al consumo, include importanti “pezzi” di extraconsumo (derivanti in particolare dalle “esenzioni” Iva), ma che soprattutto non mostra esplicitamente la sua base imponibile principale (per l’appunto il consumo). L’evasione dell’Iva nello stadio finale (quello di vendita dei beni e servizi ai consumatori) è massiccia. Gi stadi intermedi sono pure coinvolti nell’evasione, direttamente o attraverso le cosiddette “cartiere fiscali”. Queste approfittano dello spazio enorme che c’è per l’evasione, che “costringerebbe” le imprese a dichiarare un reddito negativo, la qual cosa non è chiaramente fattibile. Così l’evasione raddoppia, perché il reddito viene reso positivo semplicemente vendendo fatture, e non prodotti o servizi. La fattura tuttavia è, per la contabilità, vera. I passi per controllare l’evasione sono: 1) la distinzione tra Iva sul consumo e le sue anticipazioni attraverso i beni intermedi. Questa è stata già fatta in Italia dal 2004, grazie al quadro VT dell’Iva, che permette inoltre l’accesso alla conoscenza dell’Iva per distretto e per settore; 2) un accordo con le imprese che vendono al consumo, attraverso le categorie rappresentative ed i professionisti, sul livello di consumo da queste attivato (vedi su questo Vitaletti, 2015, New Vat based resource for financing the EU Budget, Quaderni di diritto, mercati, tecnologia, n.4). Sono lì riportati i principali risultati di un seminario che ho tenuto alla Banca d’Italia nello stesso periodo; 3) una grande riduzione della tassazione diretta, per incentivare il rientro dall’evasione. Questa è principalmente finanziata da un incremento delle imposte indirette, basato soprattutto su: a) una ritenuta d’imposta a bassa aliquota sull’enorme base imponibile dei beni intermedi, con l’aggiunta degli ammortamenti, facilissima da implementare. Questa riguarderebbe tutti gli stadi, eccetto l’ultimo (anche per contrastare le cartiere fiscali); b) un’aliquota specifica sui consumi elettrici, compresi quelli intermedi, con salvaguardia di quelli delle famiglie a basso reddito.
I problemi con la tassazione diretta. Quanto precede assomiglia alla tassazione indiretta che era in vigore fino agli anni settanta del secolo scorso, in cui tutti i beni erano considerati. Altre importanti modifiche riguardano le imposte dirette. Queste tornerebbero pure agli anni settanta (cioè i redditi sarebbero colpiti prima della loro distribuzione, su base nazionale, a livello proporzionale, con aliquote differenziate). Ma ci sono altre interventi, che modificherebbero il quadro in senso progressivo: 1) la progressività dei contributi sociali, resi interamente a carico dei salari dei lavoratori, in contemporanea all’aumento dei salari medesimi. Non c’è nessuna retromarcia rispetto ad adesso, in quanto la base dell’Irpef copre pressoché esattamente le stesse basi della contribuzione sociale; 2) aliquote differenziate, con grande favore per la prima casa, sulle rendite (affitti) immobiliari, specie se riguardano attività commerciali; 3) insieme alle imposte indirette, questo costituirebbe il quadro del prelievo, interamente interno, cioè su base nazionale. Il federalismo fiscale europeo (e mondiale) si svolgerebbe dunque in un quadro totalmente diverso da quello discusso nella premessa; 4) passiamo al federalismo, che avverrebbe su basi interamente redistributive. Non tra paesi, ma all’interno dei vari paesi; 5) sotto questo punto di vista, una prima addizione rispetto ad ora consiste in una speciale (più grande del normale) aliquota sugli extraredditi delle grandi imprese, uniti alle plusvalenze maturate in eccesso al totale dei profitti, con calcolo e versamenti sempre a carico delle imprese. In realtà si tratta di rendite. Le relative decisioni avvengono a livello globale (per partire, il G20 è ottimo), con amministrazione a livello nazionale; 6) una speciale aliquota sugli interessi, che tende al 100%, eccetto che per gli investimenti delle famiglie a lungo termine (sempre dal lato delle imprese) e per i prestiti ai paesi meno sviluppati, per favorirne il decollo.
La traslazione, cioè il passaggio della tassa sui prezzi, è in gran parte evitata, perché vengono colpite soprattutto le rendite del sistema. Tutti i pericoli della tassazione individuale (ad esempio il periodo di più di sei mesi per stabilire la residenza degli individui; il fatto che le società di capitali pagano ora formalmente due volte, una sui profitti prima sulla distribuzione ed una sui redditi distribuiti, compresi i guadagni di capitale; gli enormi favori che riceve il debito, come conseguenza di ciò; le mostruose complicazioni della tassazione internazionale) sono di nuovo evitati. Su questo, si possono vedere anche i miei recentissimi lavori: Oltre la vulgata europeista, Mondoperaio, 2019, n.3, pag. 77-79; Mirrelees’ and De Viti’s Fiscal Systems, paper n.741 della Siep, gennaio 2019 (per accedere: Società italiana di economia pubblica → Pubblicazioni → Working Papers → Vitaletti → SEARCH).
Il nuovo possibile equilibrio a livello mondiale fra attività pubbliche e private. La tecnologia tendeora a superare anche il concetto di stabile organizzazione, la base del sistema degli anni settanta per le imposte dirette. Appartengono a tale problematica: a) le entrate della pubblicità; b) i modi in cui sono amministrati i redditi da brevetto; c) i modi in cui vengono gestiti i costi del capitale nella forma di interessi; d) gli enormi profitti dovuti al basso costo del lavoro in alcuni paesi; e) la gestione dei “prezzi di trasferimento” (transfer pricing) per le merci ed i servizi. Queste circostanze facilitano la concentrazione dei profitti nei luoghi dove la tassazione e/o i salari sono bassi. Il semplice raddoppio delle aliquote sui redditi societari (ripetiamo, un’aliquota bassa a livello nazionale e una più alta a livello assai più ampio) tende a porre sotto controllo i problemi. All’estremo, vi è la possibilità di trasformare l’imposta sul reddito in imposta indiretta, almeno in alcuni settori, con una supervisione internazionale. In partenza il livello internazionale, ora rappresentato dal G20, diviene così decisivo. Il livello europeo resisterebbe, concernendo specialmente l’applicazione dei parametri di Maastricht, per i quali si rendono comunque necessarie profonde modificazioni. Questa integrazione tra il livello nazionale delle decisioni, la cui importanza cresce, il livello europeo, che rimane stabile, ed un’organizzazione mondiale, la cui importanza cresce di molto (ma è ora pressoché pari a zero) rappresenta la nuova organizzazione della “forza” pubblica. Queste riforme sono necessarie, perché altrimenti le forze private domineranno massicciamente.