Riusciranno i nostri eroi a riportare nel 2020 il tasso di disoccupazione all’8%? Quest’anno il Rapporto annuale sul mercato del lavoro (MdL) 2012-2013 del CNEL, di norma presentato a luglio, ha avuto la sua uscita il 1° ottobre. La ragione può essere legata alla nomina del Professore Carlo Dell’Aringa, da sempre estensore e relatore del Rapporto, a Sottosegretario del Ministero del lavoro.
Nella stessa giornata sono usciti i dati ISTAT sull’occupazione relativa ad agosto 2013, che hanno aggiornato in peggio i dati contenuti nel Rapporto Cnel.
Infatti l’ISTAT ci dice ( si vedano tutti i dati nel Prospetto 1 e 2 ) che ad agosto 2013 gli occupati erano 22.498.000, con 347mila unità in meno rispetto ad agosto 2012. Il numero dei disoccupati ha toccato 3.127.000 con 395.000 unità di incremento (+14,5%) su agosto dell’anno precedente. Il tasso di disoccupazione è arrivato al 12,2% (+ 1,5% nell’anno di riferimento). Se guardiamo alla disoccupazione giovanile (15-24 anni), essa ha raggiunto la quota del 40,1% (+5,5% nell’anno).
Gli inattivi tra i 15 e i 64 anni ( persone che non fanno parte delle forze di lavoro, ovvero quelle non classificate come occupate o disoccupate ) si sono attestati al 36,3% per una cifra di 14.332.000 unità.
Per quanto riguarda invece il Rapporto sul MdL 2012 – 2013, il CNEL ci dice che il 2013 è “ l’anno peggiore della storia dell’economia italiana del secondo dopoguerra, ma che crediamo anche possa intercettare il punto di svolta del ciclo economico”. In effetti la crisi, esplosa negli USA nel 2007, dura da ormai sette anni e sta pesantemente piegando il paese. La contrazione del PIL è ormai arrivata al – 8% con le conseguenti ripercussioni. Crollano infatti i consumi e cade l’occupazione.
Figura 1) (*)
Nella Figura 1) sul confronto tra PIL, domanda di lavoro e occupazione vediamo che, a fronte di una caduta del PIL di 8 punti (dal 100 del 2008 al 92 del 2013), la flessione degli occupati è molto meno rilevante. Questo vuol dire che l’occupazione è caduta in proporzione molto meno del PIL a causa di:
– un aumento della CIG, non solo ordinaria e speciale, ma anche in deroga estesa a coloro che non ne avevano diritto;
– una riduzione del numero di ore di lavoro straordinario;
– un aumento della diffusione del part-time, quasi 3.800.000 contratti, soprattutto quello involontario (del lavoratore che non ha trovato un lavoro a tempo pieno, pur cercandolo, ed ha accettato il tempo parziale.
Figura 2)
Il part-time involontario, come si vede dalla Figura 2) è aumentato nei sette anni richiamati di quasi un milione di unità, più che in tutti gli altri paesi europei; nel 2012 esso ha superato ampiamente la quota di quello volontario.
L’occupazione è caduta meno perché negli ultimi quattro anni la CIG, i part-time involontari e la riduzione degli straordinari, hanno rappresentato infatti ben un milione di disoccupati in meno di quanto si sarebbe potuto realizzare (per la maggior parte collocati nel Mezzogiorno).
La Figura 3) sul tasso di disoccupazione 2003 – 2013 va corretta con l’aggiornamento ISTAT che porta al 12,2% il dato del 2013.
Figura 3)
A questo effetto di “contenimento”, oltre che alla riduzione delle ore lavorate per occupato, ha concorso la flessione della produttività del lavoro. Se si fosse lavorato per recuperare produttività, avremmo avuto una minore richiesta di domanda di lavoro.
La stagnazione della produttività del lavoro, la perdita di competitività dell’economia del paese, la riduzione dei margini di profitto delle imprese, la caduta dei salari reali, l’aumento della pressione fiscale rappresentano elementi che hanno fatto crollare il potere d’acquisto ed i consumi interni.
(*) Le Figure da 1) a 5) sono riprese dal Rapporto CNEL
I due prospetti 1. e 2. sono ripresi dall’ISTAT
Nella Figura 4) vediamo la scomposizione della crescita del valore aggiunto nei vari settori industriali nel periodo 2008 – 2012: la produttività, le ore lavorate e gli occupati. E’ interessante esaminare per ogni settore industriale come varia il rapporto e la relazione tra occupato, ore lavorate per occupato, produttività del lavoro e la variazione del valore aggiunto.
Figura 4)
Nel Rapporto del CNEL si ridefinisce anche l’area della inoccupazione in senso lato, sommando ai disoccupati ufficiali gli inattivi disponibili a lavorare, quelli che cercano un lavoro ma non attivamente, oltre ai cassaintegrati e ai part-time involontari.
La Figura 5) ci rappresenta questa realtà: l’area della difficoltà occupazionale cresce ben di più di quanto ci dica l’aumento del tasso di disoccupazione.
Se si sommano alla disoccupazione ufficiale (12,2%), tutte le tipologie complementari alla disoccupazione (come peraltro imposto dai metodi statistici di Eurostat) che sopra abbiamo ricordato, si raggiunge un’area di difficoltà occupazionale, un “tasso di disoccupazione più ampio” che raggiunge quasi il 30%.
Figura 5)
Per il CNEL “l’evoluzione del mercato del lavoro italiano suggerisce che parte dell’aumento del tasso di disoccupazione (12,2%) sia di carattere strutturale. Vi è il rischio che molti di coloro che sono stati espulsi dal mercato, o non sono neanche riusciti ad entrarvi, restino a lungo fuori dal processo produttivo”.
Infatti nel Rapporto si stima che per riportare all’8% (il valore del 2011) il tasso di disoccupazione entro il 2020, si dovrebbe avere un 2% l’anno di incremento del PIL. Viste però le previsioni per il 2014, che saranno contenute nella legge di stabilità, questo obiettivo appare molto lontano.
Nel frattempo aumentano nel MdL i lavoratori delle classi anziane (55 – 64 anni) con 277.000 unità in più nel solo 2012 rispetto al 2011. Per effetto della riforma pensionistica della Fornero il minor numero di persone che esce dal mercato riduce la domanda sostitutiva e blocca il turn over del circuito produttivo.
Aumenta l’offerta di lavoro da parte delle donne e dei giovani.
Rispetto alle classi di età agli estremi si riscontra un dato molto significativo. I giovani dai 15 ai 29 anni sono il 7% del totale dei lavoratori attivi, mentre gli over 55 sono più del 12% del totale degli attivi.
I NEET sono arrivati al 23,9% della popolazione giovanile ( 35% nel Mezzogiorno).
La recessione peggiora ancora di più la tendenza in atto da anni alla precarizzazione: i part-time involontari possono essere a tempo determinato; i contratti a termine e quelli dei parasubordinati raggiungono ormai i 3 milioni, un esercito di precari, il 12,6% dell’occupazione complessiva.
Aumentano in modo rilevante i lavoratori a basso salario, per i quali il Rapporto parla di “trappole della povertà”, con impieghi che sono anche senza stabilizzazione e senza qualificazione.