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Ha vinto la personalizzazione della politica

Sulle elezioni presidenziali francesi si è detto di tutto in queste ultime settimane; e mi risulta difficile aggiungere altre intelligenti notazioni. Mi costringo quindi ad una riflessione per me abituale, forse troppo, sulla carenza di rappresentanza sociale che quelle elezioni hanno messo in evidenza.

Abbiamo superato la paura, la grande paura della vittoria di Marine Le Pen e dell’eventuale successiva uscita della Francia dall’Euro e dall’Europa. Tutto bene, ma con quali opzioni politiche abbiamo operato tale superamento? Purtroppo, dico io, con una accentrata personalizzazione e verticalizzazione della politica e della vicenda elettorale.

Noi italiani siamo degli antesignani della personalizzazione della politica, avendo supportato e sopportato in passato la sequenza Craxi – Berlusconi – Renzi, tre campioni in proposito; ed avendo ancora in pista Grillo, Salvini, un potenziale Renzi bis e un improbabile Berlusconi bis. Non possiamo quindi sorprenderci e lamentarci dello scontro feroce in Francia fra quattro leaders squisitamente personalistici (in fondo anche Fillon correva in proprio e non per conto del partito). Ha vinto Macron, che ha di molto accentuato la caratura personalistica, proponendosi come leaders di un movimento/partito che non c’era, non c’era ancora e che solo le prossime elezioni legislative potrebbero sperare di coagulare.

Ha giuocato tutto sulla sua personalità, sulla sua figura, sul suo appeal pubblico, sul senso di novità radicale che prometteva, sulla stessa ironia condiscendente che ispiravano i suoi rapporti coniugali. Non c’era molto di più, se non la sua scelta di cavalcare la tematica europea; e al di là di questo c’era poco (di programmatico, di ideologico, di sociopolitico) da raccontare agli elettori. Ne avevano paradossalmente più gli altri candidati (specie sule ali dello schieramento) ma contavano poco di fronte al fascino del personaggio Marcon. In fondo ha vinto “la rappresentazione” della politica non “la rappresentanza” di interessi, problemi, identità collettive; non è stata colpa di Marcon, visto che in Francia sono in crisi (come in Italia del resto) tutti i canali ed i soggetti intermedi della rappresentanza, dai partiti ai sindacati all’associazionismo; ma ciò non può far da alibi ad una strategia di personalizzazione che Marcon ha con lucidità quasi esasperato.

 

Ma in una tale vicenda la politica personalizzata rischia di restare prigioniera di un parallelo processo di verticalizzazione: con quali sponde di conoscenza dell’economia potrà far giuocare Macron? E con quali sponde di conoscenza delle tensioni sociali, anche quelle di classe? E con quale strategia di articolazione territoriale dei processi e degli interventi? Con quali apparati di azione pubblica, centrale e periferica? Le società moderne, e fra esse quella francese, sono di fatto policentriche, quando non arrivano ad essere molecolari o liquide (a seconda della scelta degli aggettivi). Per governarle non basta un potere verticalizzato (e addirittura personalizzato) e se non si capisce questa banale verità il potere che ha vinto nelle elezioni rischia o di sbattere contro il famoso “muro della realtà” oppure di entrare in un labirinto di variabili dove può ogni giorno inciampare in qualche inattesi motivi. Io confesso che sull’argomento mi spaventa molto la vicenda Trump. Ha personalizzato, ha vinto, ha verticalizzato; ma temo che non governerà. C’è da sperare che Marcon capisca il pericolo.

 

 (*) Presidente del Censis

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