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I luoghi comuni e le soluzioni che ancora non ci sono

La caccia alle streghe è finita. La strega è stata sconfitta. I Voucher sono stati cancellati. Non sono invece cancellate quelle attività occasionali, presenti anche nelle imprese, per le quali veniva utilizzato il Voucher.

A nulla è valso il richiamo al reale impatto economico del lavoro accessorio, che rappresenta solo lo 0,23% del totale del costo lavoro in Italia, certificato dalla “Nota trimestrale congiunta sulle tendenze dell’occupazione” del Ministero del Lavoro, Istat, Inps e Inail, né la revisione dei controlli con l’introduzione della tracciabilità.

Il vuoto normativo che si è generato in assenza di strumenti alternativi, le cui conseguenze emergono con evidente chiarezza in questi giorni, rappresenta purtroppo un esempio negativo di come la legislazione, che dovrebbe basarsi sulla realtà, rischia di essere condizionata da fattori esterni.

Il Governo ha preso l’impegno di intervenire, ma come e in quali tempi non è ancora chiaro.

Il voucher era destinato a prestazioni occasionali e l’occasionalità, che si caratterizza per la dimensione ridotta nella misura, non viene meno per il numero di persone da coinvolgere sul singolo evento/occasione. Tutte le attività economiche, anche quelle esercitate da imprese, ditte individuali, singoli datori di lavoro, necessitano o possono necessitare di coprire attività occasionali per le quali non si giustifica la instaurazione di un tradizionale rapporto di lavoro.

Sono i numeri a confermare che il Voucher non rappresenta una alternativa al lavoro subordinato, per la frammentarietà delle prestazioni, per la discontinuità dei prestatori, che non sono sempre le stesse persone, per l’ampia platea di imprese dislocate su tutto il territorio nazionale e in tutti i settori economici. Per questo la soppressione dei voucher non porterà alla creazione di nuovi posti di lavoro subordinato.

Lo stesso Ministero del Lavoro nel “Quaderno di monitoraggio n. 1/2016”, analizzando i rapporti presso lo stesso datore nei 3 e 6 mesi precedenti la prestazione con voucher, arriva ad affermare che l’utilizzo del voucher non ha di fatto sostituito precedenti contratti. Peraltro nel turismo e nei servizi, settori tra i principali “imputati”, l’occupazione è addirittura cresciuta sgonfiando la tesi della sostituzione. 

L’utilizzo dei voucher, rispondendo all’esigenza ben precisa della remunerazione di prestazioni saltuarie ed occasionali, non trova nel nostro ordinamento una adeguata alternativa. Non il contratto a tempo determinato, finalizzato a prestazioni la cui durata è predeterminata e che prevede anche limiti percentuali di utilizzo; né tanto meno il contratto di lavoro a tempo parziale, che è rigido nella determinazione degli orari; e neppure il contratto intermittente, che subisce limitazioni sia soggettive, che oggettive, che ne hanno determinato semmai una diminuzione. Su quest’ultimo si stanno concentrando le attenzioni e buona cosa sarebbe una sua semplificazione, che potrebbe favorirne l’utilizzo in quei contesti dove la discontinuità della prestazione si accompagna ad una ciclica esigenza ripetuta nel tempo.

Ma dove non è così? Può il lavoro intermittente essere utilizzato ad esempio nell’ambito delle fiere dove le persone chiamate sono quasi sempre diverse? Quanti rapporti a chiamata dovrei attivare per avere la certezza della prestazione e soprattutto come mi verrebbero conteggiati questi rapporti ai fini dei numero complessivo di dipendenti che rilevano per molteplici disposizioni legislative cui e soggetta un’impresa? Tralasciando l’apprendistato, la disciplina dei licenziamenti, le norme sugli ammortizzatori sociali e così via, persino gli studi di settore prendono a riferimento anche il numero di dipendenti.

E quali adempimenti sostenere per questi rapporti di lavoro, brevi, saltuari e occasionali? Dalla lettera di assunzione, alla comunicazione obbligatoria in via telematica con modello Unilav, proseguendo con l’iscrizione nel Libro Unico Lavoro, l’invio dell’Uniemens per le posizioni contributive e del modello F24, la consegna al lavoratore del CU. ai fini fiscali, la gestione della busta paga e della posizione lavorativa, per finire con le dimissioni on line.

Serve altro per comprendere che queste attività non possono trovare una risposta in una tipologia di “rapporto di lavoro”, ma vanno regolate per quello che sono: prestazioni brevi, occasionali, non programmabili, di dimensione contenuta?

Gli stessi dati INPS evidenziano che la maggior parte dei prestatori percepiva meno di 500 euro l’anno, cifra ben lontana dalle remunerazioni di un lavoro continuativo. La media dei voucher riscossi è di 60 voucher pro capite, la mediana è addirittura pari a 29 voucher.

Questo dato è peraltro rimasto stabile nel corso degli anni anche a fronte dell’allargamento della platea di utilizzo, dimostrando che oggi, come in passato, lo strumento veniva utilizzato per rispondere ad esigenze saltuarie e occasionali anche nelle imprese.

Inoltre, sempre secondo i dati INPS, i prestatori di lavoro accessorio sono per lo più lavoratori non esclusivi, si tratta di circa il 70% di persone per le quali il voucher rappresentava una opportunità di ulteriore guadagno, non la fonte principale del proprio reddito. Sono pensionati, soggetti percettori di misure di sostegno al reddito, occupati presso altri datori di lavoro, pubblici, privati, domestici e persino lavoratori autonomi.

E’ evidente che tutti questi soggetti sono stati solo privati di un’opportunità di guadagno e certo non si renderanno disponibili a contratti di tipo subordinato, perché quel tipo di rapporto non interessa neppure a loro, né sarebbe consentito se già impiegati presso un altro datore a tempo pieno o peggio, nel caso di percettori di sostegno al reddito, gli farebbe perdere il sussidio.  

In conclusione, per colmare il vuoto del voucher con una risposta ancorata alla realtà la soluzione dovrebbe essere il Voucher 2.0: rafforzato nei controlli, verificato attraverso la tracciabilità piena con una piattaforma dedicata, escludendone espressamente l’uso negli appalti (diretti o indiretti) e nella pubblica amministrazione, chiarendo legislativamente il divieto di somministrazione e infine superando l’equivoco di fondo per cui una prestazione occasionale debba essere inquadrata in un rapporto di lavoro a tutti gli effetti.

La crescita dell’occupazione è un obiettivo importante e condiviso da tutti, è un bene sociale, un bene economico, un bene che non può vedere contrapposizioni. Ma la crescita dell’occupazione è connessa a politiche per la crescita dell’economia nel suo complesso, agli investimenti, allo sviluppo, al favorire l’ampiamento dei mercati nell’economia reale, anche agli interventi sulla riduzione strutturale del costo del lavoro, che è cosa diversa dagli incentivi.

Questo importante obiettivo tuttavia non si raggiungerà con l’illusione di etero determinate con schemi rigidi anche quote marginali di attività come quelle alla base dell’utilizzo dei voucher.

Sarebbe un errore di cui non abbiamo bisogno. 

 

 

 (*) Direttore centrale delle Politiche del Lavoro e del Welfare Confcommercio

 

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