La sfida che l’Europa si trova ad affrontare oggi è una sfida decisiva per il suo futuro economico: mantenere e rafforzare la sua competitività in un contesto globale sempre più dominato dall’innovazione tecnologica. Stati Uniti e Cina hanno da tempo imboccato questa strada, con investimenti Venture Capital massicci in startup attive nei settori strategici: dal life science al clean tech, passando per l’aerospace, la mobilità, i nuovi materiali e, soprattutto, le infrastrutture tecnologiche abilitanti, come l’intelligenza artificiale, che rappresentano la nuova rivoluzione industriale che stiamo tutti vivendo.
Il ritardo dell’Europa è particolarmente evidente quando si analizzano, per l’appunto, i dati relativi agli investimenti sostenuti da Stati Uniti e Cina. Gli Stati Uniti, grazie al ruolo centrale della Silicon Valley, hanno consolidato una leadership tecnologica indiscussa, sviluppando un ecosistema integrato che favorisce la nascita e la crescita delle startup. Anche la Cina, con ingenti investimenti pubblici, ha guadagnato rapidamente terreno, diventando un leader mondiale in settori strategici come l’intelligenza artificiale e il fintech.
Veniamo dunque ai numeri: nell’ultimo decennio negli Stati Uniti sono stati investiti 1,5 trilioni di dollari in Venture Capital, in Cina ca. 800 miliardi di dollari mentre l’Europa è ferma a 500 miliardi, la gran parte investiti nel Regno Unito, in Francia e Germania. Spostando l’attenzione sul nostro Paese, in Italia gli investimenti in Venture Capital nell’ultimo decennio hanno raggiunto gli 8 miliardi di euro. Un gap oggettivamente importante, e che si manifesta anche nell’ambito della sfida tecnologica del momento, quella relativa all’intelligenza artificiale. Negli Stati Uniti il 41% degli investimenti in Venture Capital del 2024 si sono concentrati su startup con soluzioni innovative basate sull’intelligenza artificiale, quasi il doppio di quanto sta accadendo in Europa, dove il 22% degli investimenti in VC si è concentrato sull’AI, e più di quattro volte di quanto ad oggi investito in Italia, dove solo l’8% del Venture Capital ha riguardato soluzioni di intelligenza artificiale.
È importante lavorare per invertire la tendenza. Una necessità fondata su di un assunto che è alla base dell’economia moderna: il Venture Capital e le startup sono cruciali per lo sviluppo presente e futuro di una nazione. Il Rapporto Draghi mette a fuoco come l’innovazione, la tecnologia e la digitalizzazione sono i driver fondamentali della crescita futura ed evidenzia come il Venture Capital e le startup giochino un ruolo essenziale nel plasmare nuovi mercati e nel rispondere rapidamente ai cambiamenti.
Il Venture Capital è a tutti gli effetti un asset class, che alimenta la nascita e lo sviluppo delle startup, la nuova impresa tecnologica ad alto potenziale di crescita. Sono investimenti che, oltre alla ricerca di massimi rendimenti, rivestono in realtà una finalità ampiamente di sviluppo e sociale. Questo perché rappresentano investimenti in innovazione, ricerca e tecnologia, oggi il vero valore aggiunto di un paese, in grado di generare ritorni straordinari in termini di occupazione e reddito per gli ecosistemi che ne beneficiano. Enrico Moretti, professore a Berkeley, ha ben elaborato questi concetti ne “La Nuova Geografia del Lavoro”, dove afferma che il motore dell’economia è ormai il “settore dell’innovazione”, ovvero l’unico che cresce su scala globale a ritmi “travolgenti” in termini di occupazione e in grado di contaminare profondamente anche il resto dell’economia, se è vero, come afferma nel libro, che per ogni posto di lavoro nel settore dell’innovazione se ne creino ben 5 in settori tradizionali.
Come creare dunque terreno fertile per la nascita e lo sviluppo delle startup e dar vita alla nuova generazione di imprese tecnologiche europee? La parola chiave è “ecosistema”.
Il Rapporto Draghi propone di costruire un ecosistema più favorevole per lo sviluppo delle startup e l’attrazione di investimenti in Venture Capital. L’Europa ha bisogno di adottare un quadro normativo unico per facilitare la creazione e la crescita di startup in tutti i 27 Paesi dell’Unione. La frammentazione regolamentare, infatti, rappresenta uno degli ostacoli principali per la scalabilità delle imprese tecnologiche ad alto potenziale in Europa, che spesso devono affrontare normative complesse e costose, diverse da Paese a Paese.
Inoltre, la mancanza di un vero Mercato Unico delle startup impedisce alle imprese di raggiungere una dimensione sufficiente per adottare tecnologie avanzate. È quindi essenziale una maggiore cooperazione tra gli Stati membri, un accesso più agevole ai fondi europei e un mercato del lavoro più dinamico, in grado di rispondere alle esigenze delle nuove industrie tecnologiche. Inoltre, il Rapporto invita a stimolare la collaborazione tra imprese e università, promuovendo lo sviluppo di nuove tecnologie e favorendo la diffusione dell’innovazione in tutta l’economia.
Un passo avanti deciso per la creazione di un vero e proprio ecosistema dell’innovazione europeo, dove un ruolo chiave deve essere giocato dalle imprese. La produttività europea dipende dalla tecnologia: parliamo di un differenziale con gli Stati Uniti di circa 270 miliardi di euro l’anno di investimenti in ricerca e innovazione che le corporate americane fanno in più rispetto a quelle europee. Su questo tema, il Rapporto propone la creazione di un’Unione della Ricerca e dell’Innovazione, con una strategia e una politica europea comune in materia di R&I. Un obiettivo da raggiungere attraverso un “Piano d’Azione Europeo per la Ricerca e l’Innovazione”, elaborato dagli Stati membri insieme alla Commissione, dove fondamentale è l’attivazione di un partenariato pubblico-privato con le parti interessate del settore privato.
Un partenariato virtuoso, che coinvolga in maniera attiva le imprese, può essere attivato su scala nazionale ed europea incentivando il paradigma dell’Open Innovation e del Corporate Venturing. L’Open Innovation permette alle aziende di collaborare con attori esterni per sviluppare nuove tecnologie e processi più efficaci mentre il Corporate Venturing, dove le grandi imprese investono direttamente in startup, facilita il trasferimento di tecnologie innovative e la scalabilità delle soluzioni. Questo modello di investimento non solo fornisce capitali cruciali per lo sviluppo delle startup, ma permette anche alle imprese consolidate di accedere rapidamente a innovazioni dirompenti che altrimenti richiederebbero anni di sviluppo interno.
In sintesi, l’ecosistema composto da startup, Open Innovation e Corporate Venturing è essenziale per accelerare la transizione tecnologica, permettendo alle imprese di rimanere competitive e di contribuire attivamente alla nascita di innovazione industriale, con la creazione di una filiera dell’innovazione che opera di pari passo con le principali filiere industriali europee.
Un altro punto cruciale è l’integrazione dell’intelligenza artificiale nelle industrie europee, per migliorare la produttività e favorire la crescita dei settori strategici come quello farmaceutico, automobilistico ed energetico.
Il mercato dell’AI è cresciuto del 35% tra il 2022 e il 2023. I settori leader sono quello bancario e TelCo/Media. Seguono l’industria e le utilities. Molto alto, specie nel mondo “post chatgpt” è il tasso di crescita di IA nel settore servizi (64%). Per poter competere e continuare a crescere, le imprese hanno bisogno di investire in AI, a prescindere dalla dimensione, ed è qui che a pieno titolo si inseriscono le startup: uno dei primari strumenti per la sua implementazione nelle imprese. Il patrimonio enorme di dati presente a livello Europeo e nazionale con l’AI si può trasformare in valore aggiunto e competitività per le filiere in cui le aziende lavorano e per le startup che possono conquistare nuovi mercati.
L’acceleratore di questa visione è la competenza. Investire sulla formazione e sulle competenze, affrontando una transizione digitale e tecnologica da parte delle imprese in ottica “AI driven”, è la strada da percorrere per sfruttare appieno gli straordinari benefici dell’Intelligenza Artificiale.
Vista dalla prospettiva nazionale, cosa dice il Rapporto Draghi al nostro Paese? Sicuramente trasmette un senso di urgenza, quasi emergenza, di una nuova politica industriale.
Seppur partendo da una posizione di forte ritardo rispetto ai principali competitor europei (Francia, Germania e Spagna) nell’ultimo triennio l’Italia ha avviato un percorso per invertire la rotta.
Con la creazione e l’operatività di CDP Venture Capital, negli ultimi tre anni il mercato italiano del Venture Capital ha superato abbondantemente il miliardo di euro annuo di investimenti in startup, con un picco nel 2022 di 1,8 miliardi di euro. Nel 2024, dopo una partenza ancora condizionata da fattori macroeconomici, al terzo trimestre gli investimenti in Venture Capital si attestano a ca. 1,2 miliardi di euro, con la previsione per la fine dell’anno di raggiungere la cifra di ca. 1,5 miliardi di euro.
Un consolidamento importante del mercato e anche un segnale della maturità delle startup italiane, con realtà imprenditoriali innovative che si stanno affermando nei settori che stanno trainando l’economia dell’innovazione: cleantech, life science, deep tech, aerospace. Se a questo sommiamo gli investimenti di innovazione “infrastrutturale”, cloud, data center, annunciati nel nostro Paese da Big Tech come Microsoft, Amazon e Google, lo scenario futuro apre prospettive di sviluppo interessanti.
L’Italia può far leva su grandi competenze, eccellenze nella ricerca, talento imprenditoriale e un cambiamento culturale in corso, che vede le aziende acquisire sempre più consapevolezza della necessità di investimenti in trasformazione digitale, tecnologica e anche ambientale. Questo cambiamento deve trovare propellente in una spinta di “visione” del Paese, che può passare solo da una politica industriale decisa sull’innovazione.
Far nascere nuova impresa per rivitalizzare il nostro settore industriale e produttivo è l’agenda di politica economica che deve essere messa al centro del nostro Paese e il Rapporto Draghi traccia una roadmap chiara in questa direzione.
L’Italia ha un potenziale incredibile: unire talento, creatività e grande know-how tecnologico per valorizzare gli asset industriali del Made in Italy. Dobbiamo creare l’industria di “oggi”, non solo del domani e questo può avvenire solo creando nuove startup, accompagnandole nella crescita attraverso una filiera di sviluppo e all’interno di un ecosistema florido.
*Presidente Esecutivo Zeist, Presidente Confindustria Piemonte