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Il governo Meloni e l’Europa, cambiamento radicale di linea

L’avvicinarsi delle elezioni europee ripropone inevitabilmente il problema del futuro dell’Unione Europea e delle scelte successive per accelerare il processo di completamento del progetto. L’Ue vive oggi in un contesto geopolitico complicato, caratterizzato da due guerre sanguinose e numerosi conflitti senza concrete prospettive di soluzione. 

Questo caos globale sollecita una partecipazione europea protagonista nella difficile opera di intervento e di mediazione per favorire un nuovo assetto mondiale con rapporti più pacifici. Questa esigenza è tuttavia fortemente limitata dal livello ancora incompleto del progetto europeo, in particolare per l’assenza di una soggettività statuale dell’Ue con relative politica estera e sistema di difesa. In sintesi, con la costruzione di una Europa federale attraverso il trasferimento della necessaria sovranità dai singoli Stati membri all’Ue, secondo quanto stabilisce anche l’art. 11 della nostra Costituzione. 

Fino ad oggi questo processo ha camminato lentamente, tra spinte e controspinte, in relazione alle diverse maggioranze politiche dei singoli Stati e della regola delle decisioni all’unanimità. L’Italia, Paese fondatore dell’Ue, ha sempre seguito questo indirizzo, sia pure con diversi gradi di impegno dei vari governi, fino alle ultime elezioni politiche del 2022. Il nuovo governo Meloni si è subito caratterizzato per un inedito scetticismo europeo tenendo presente sia il fatto che Meloni era, ed è rimasta, presidente del gruppo euroscettico del Conservatori Ue, mentre la Lega di Salvini, alleata con Marine Le Pen, assumeva sempre più la lotta contro l’Europa come tratto caratterizzante la sua politica, anche in competizione con Meloni. 

Al netto dalle necessarie mediazioni, connesse all’essere capo del governo italiano, Meloni ha mantenuto la sua linea strategica anti Europa federale confermando la sua netta opposizione a qualsiasi cessione di sovranità verso l’Ue. Questo indirizzo è stato sintetizzato con la sua recente affermazione: “In Europa ogni Stato deve fare i propri interessi”. 

Del resto, questa sua convinzione viene praticata nel modo con cui la destra sta gestendo la preparazione alle prossime elezioni europee di giugno. A parte la ormai certa candidatura di Meloni nei diversi collegi, per rafforzare comunque il voto al suo partito, povero di classe dirigente, ella sta ponendo l’Italia come punto di riferimento di una potenziale aggregazione tesa a cambiare l’identità dell’Ue per ridurla ad un semplice mercato comune tra Stati sovrani, privo di rilevanza politica internazionale. 

A tale scopo sta svolgendo, con il tradizionale attivismo, un ruolo di aggregazione delle diverse opposizioni all’Ue attuale, in modo da renderle strategicamente più omogenee nel prossimo voto e nelle successive battaglie. Con questo obiettivo è riuscita a far transitare Orban dal Ppe al suo gruppo del Conservatori. Ad acquisire l’adesione dell’ultradestra francese di Eric Zemmour, mentre Salvini, oltre all’alleanza con Le Pen, mantiene un rapporto con il partito tedesco di estrema destra AfD (Alternative fur Deutschland). 

Non si sa quale sarà l’effetto elettorale di questo lavorio a destra ma non c’è dubbio che l’iniziativa dell’Italia rappresenta una pericolosa novità. I maggiori sondaggi ritengono che l’attuale maggioranza Ursula (popolari, socialisti e liberali) dovrebbe essere confermata dal prossimo voto, ma non è escluso un più stretto suo condizionamento nelle necessarie scelte future, rendendole comunque più incerte e difficili. 

Per tutto questo, le complicate ma decisive prospettive europee dovrebbero essere oggetto di una più dura ed esplicita battaglia politica, soprattutto in Italia dove si è determinato il cambiamento più rilevante. Finora da noi l’attenzione e l’impegno relativi alle elezioni europee appaiono concentrati su come affrontare il voto proporzionale (candidature e campagna elettorale) sottovalutando ampiamente i possibili effetti politici del voto. In particolare, questo dovrebbe rappresentare il compito primario del Pd come partito protagonista responsabile di una opposizione efficace alla destra, consistente, in particolare, nel rendere esplicito terreno di battaglia politica una credibile alternativa di governo dell’Italia. 

Su questo tema si proiettano ancora le troppe ambiguità e i ritardi della sinistra italiana, con i rapporti sempre più conflittuali Pd-M5S che contribuiscono a rendere più facile la sistematica azione della destra di progressiva riduzione degli spazi di libertà e di pluralismo della nostra già debole democrazia (riforma costituzionale del premierato, bavaglio all’informazione, condizionamento della magistratura, occupazione unilaterale dello spazio pubblico). Credo tuttavia che sarà su questo terreno, certamente difficile, perché richiede visione strategica, classe dirigente, unità ed efficacia nell’azione, ma indispensabile per dare maggior senso e funzione nazionale al Pd e all’Italia una prospettiva di crescita democratica e civile.

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