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Il Jobs Act alla francese

Il secondo decennio del ventunesimo secolo vede molti governi europei impegnati in un’intensa opera di riforma della legislazione sociale.

Paesi privi di un mercato del lavoro dinamico, eminentemente Spagna, Italia e Francia, hanno di recente adottato misure sulla scorta di una teoria economica – la flexicurity – per la quale la flessibilità del rapporto di lavoro è inversamente proporzionale al tasso di disoccupazione.(1)

La Spagna si è mossa per prima, col Real Decreto-ley 3/2012, de 10 de febrero, de medidas urgentes para la reforma del mercado laboral. 

In Italia lo spartiacque è la legge delega 10 dicembre 2014, n. 183, denominata “Jobs act”, assieme ai relativi decreti legislativi.(2)

Quanto alla Francia, gli organi politici sono attualmente occupati nella approvazione di un testo di legge di riforma del Code du travail (projet de loi “El Khomri”, n. 3600, visant à instituer de nouvelles libertés et de nouvelles protections pour les entreprises et les actifs).

Nell’acceso dibattito democratico in atto oltralpe, gran parte dell’attenzione è dedicata all’individuazione dei modelli di ispirazione della riforma. Se i parlamentari socialisti la giustificano snocciolando comparazioni con altri governi della stessa area politica quali quello italiano di Matteo Renzi e quello tedesco di Schroeder e britannico di Blair, gli interlocutori non esitano a chiamare in causa le misure adottate dal popolare Rajoy.

I sindacati, invece, denunciano troppe somiglianze col modello anglosassone e mobilitano le folle contro un progetto di legge dettato dal Medef (l’associazione datoriale più rappresentativa in Francia); Medef che, dal canto suo, è a sua volta risentito per l’ennesima mancata occasione, a fronte delle modifiche apportate all’originario progetto accolto con favore.

Il Front National, la cui retorica antieuropeista porta a battere sulla persistente proclività del governo alle istanze della Commissione, anche in questo caso non ha mancato di sottolineare la derivazione europea della riforma.

Invero, tale ultima affermazione non riguarda il modello della riforma in esame, bensì la sua causa.

Difficilmente, in merito, potrebbe sostenersi il contrario. I summenzionati Paesi, riformando il mercato del lavoro, hanno dichiaratamente perseguito l’obiettivo della flexicurity (3); ed è noto che tale concetto, di matrice scandinava, sia stato mutuato dalla Commissione Europea nella definizione di politiche comuni dell’occupazione(4) e veicolato agli Stati membri attraverso atti non vincolanti.

È ragionevole quindi affermare che, a livello politico, l’indirizzo è chiaro: Spagna, Italia e Francia hanno fatto mostra di seguire la rotta indicata da Bruxelles.

Questione del tutto diversa è verificare se le misure adottate (o che saranno adottate) sono state (saranno) coerenti con le intenzioni dichiarate.

Quanto alla Francia, l’Eliseo è stato anche lo scorso anno destinatario di specifiche raccomandazioni del Consiglio dell’Unione Europea.(6)

I mali sono quelli italiani: alto tasso di disoccupazione tra i giovani; i giovani che lavorano passano da un contratto a tempo determinato a un altro; regole rigide, troppo protettrici dei lavoratori già assunti; le imprese non sono interessate a formare lavoratori precari; le imprese sono restie ad assumere a tempo indeterminato per via delle difficoltà di licenziamento; distacco tra formazione scolastica e mercato del lavoro.

Da quanto ritenuto dal Consiglio si ha l’impressione che, da anni, in Francia sia in atto una riforma “a formazione progressiva”, in un moto perpetuo di avvicinamento e scostamento dai piani europei. Dall’inizio della legislatura si sono iscritti in questo moto la riforma delle pensioni (7), la Loi de sécurisation de l’emploi(8), il Pacte de responsabilité et de solidarité(9) e la Loi Macron(10).

Il projet de loi El Khomri, attualmente in fase di approvazione, è appunto l’ultimo tentativo di corrispondere alle attese di Bruxelles (11). Quest’ultimo intervento è stato presentato in Consiglio dei Ministri il 24 marzo 2016, è stato esaminato dalla Commission des affaires sociales la prima settimana di aprile (con 300 emendamenti approvati su 1053) e sarà discusso in Parlamento a partire da inizio maggio. La legge dovrebbe essere promulgata a luglio.

L’obiettivo è di semplificare il codice del lavoro per rilanciare l’occupazione.

I punti principali (12)

Durata massima dell’orario di lavoro

La durata massima di lavoro (comprensiva degli straordinari) giornaliera e settimanale è suscettibile di aumento. Per quella giornaliera, si può passare dalle 10 alle 12 ore solo a seguito di un accordo collettivo e subordinatamente a un aumento dell’attività dell’impresa o a motivi di organizzazione(13). Per quella settimanale, le 48 ore possono essere estese fino a 60 dietro autorizzazione dell’ispettorato del lavoro e solo in caso di circostanze eccezionali.(14)

Poiché il riferimento è alla durata massima, comprensiva di straordinari, ad ogni modo questa non deve superare le 44 ore settimanali su un periodo di 12 settimane(15), salva l’estensione a 46 ore dietro accordo d’impresa (o anche oltre, in circostanze particolari secondo disposizioni regolamentari). Il progetto di legge originario prevedeva un calcolo su 16 settimane.

In Francia l’orario lavorativo può essere computato attraverso l’istituto del “forfait jour”, sistema per cui il tempo è contabilizzato in giorni e non in ore, in tal modo derogando alle 35 ore di durata legale.(16)

Col nuovo testo, dietro accordo collettivo (in cui quello di impresa prevale, comunque, su quello di categoria), il tempo di lavoro può essere contabilizzato su un periodo ultrasettimanale o annuale, con la conseguenza che saranno considerate ore di straordinario solo le ore lavorate al termine del periodo di riferimento, salva più favorevole previsione di fonte collettiva. Un accordo di categoria (e non più d’impresa, come nella versione iniziale del progetto di legge) può estendere il periodo di riferimento fino a tre anni.(17)

Tuttavia le imprese con meno 50 dipendenti possono proporre di passare al “forfait jour” su un arco di nove settimane anche senza accordo collettivo(18). Ugualmente per le imprese con oltre 50 dipendenti, col limite di quattro settimane.

Gli accordi “offensivi”

Allo stato attuale il diritto francese prevede la possibilità, per un’impresa in difficoltà, di stipulare un “accord de maintien dans l’emploi” (anche nominato “accord défensif”) con cui possono essere apportate modifiche alla retribuzione o all’orario di lavoro. La legge in discussione consente di aprire questa possibilità anche in caso di crescita dell’impresa (accordo “offensivo”), ossia quando questa deve conquistare nuovi mercati o stipulare nuovi contratti, incrementando così la sua attività.(19)

In pratica un’impresa, per onorare una nuova ordinazione ad esempio, potrà domandare ai suoi dipendenti di lavorare più ore od organizzare il tempo di lavoro delle squadre in modo differente. L’unico vincolo: il mantenimento della retribuzione mensile.

Se un dipendente rifiuta di aderire all’accordo, potrà essere licenziato. Non si tratterebbe di un licenziamento economico, ma di un licenziamento per motivo personale, avente causa seria e reale(20). La conseguenza principale è l’assenza di un obbligo di repêchage in capo al datore di lavoro.

Referendum

Il testo prevede l’innalzamento della soglia di rappresentatività delle associazioni sindacali (50%) affinché un accordo relativo alla durata del tempo di lavoro, il riposo e le ferie sia valido ed efficace(21). Se l’associazione promotrice rappresenta tra il 30% e il 50% dei dipendenti, sarà possibile indire un referendum confermativo dell’accordo d’impresa.(22)

Diritto alla disconnessione

Si parla per la prima volta di un “diritto alla disconnessione” che permetterebbe al dipendente di rendersi telematicamente irraggiungibile senza che il datore di lavoro possa opporvisi, né tantomeno sanzionarlo(23).

Licenziamento economico

Il testo del progetto intende definire con più precisione i motivi che giustificano un licenziamento economico. I giudici avranno quindi meno potere nel riscontro dei motivi economici addotti dall’impresa nel giustificare il licenziamento.

Il progetto di legge precisa la definizione di licenziamento economico, con un riferimento alla dimensione nazionale del gruppo e non mondiale(24), mentre allo stato attuale il diritto del lavoro prevede di tenere in conto la salute delle altre filiali situate all’estero. Il giudice potrà comunque verificare che le multinazionali non provochino artificialmente delle difficoltà economiche nelle loro filiali francesi per giustificare i licenziamenti.

Le difficoltà economiche dell’impresa potranno consistere in una diminuzione degli ordini o della cifra d’affari nell’arco di più trimestri consecutivi. Più precisamente, l’articolo 30 del disegno di legge dà una definizione precisa del licenziamento economico, integrando alcuni elementi offerti dalla giurisprudenza(25). Il progetto originario prevedeva una modulazione dei criteri di ribasso della cifra di affari invocabili dall’impresa in funzione dei suoi effettivi; il testo attuale lascia la quantificazione alla contrattazione collettiva.

I criteri designati, peraltro, non sono esclusivi: l’impresa che licenzia economicamente è libera di invocare altri criteri che provino il carattere significativo delle difficoltà economiche.

Indennità per il licenziamento abusivo

Nella sua versione originaria, il testo prevedeva l’introduzione di indici, in funzione dell’anzianità del lavoratore, per liquidare le indennità che i giudici del lavoro potevano accordare in caso di licenziamento abusivo (ossia licenziamento senza causa reale e seria; indennità quindi distinte da quelle per licenziamento legittimo); veniva soppresso il minimo di sei mesi di retribuzione e venivano introdotti dei massimi (ad esempio, quindici mesi di retribuzione per il dipendente con 20 anni di anzianità). Nel testo finale questi indici passano da obbligatori a indicativi.

Garanzia giovani

Le domande di ammissione alla garanzia, finora sottoposte a una commissione, saranno invece automatiche al soddisfo di alcuni criteri di attribuzione.(26)

Conto personale di attività

Si precisa il contenuto del futuro “compte personnel d’activité”, istituto in discussione da anni per cui ogni lavoratore può conservare i diritti acquisiti durante tutta la sua carriera in materia di formazione, disoccupazione e usura delle mansioni, nel momento in cui cambia di lavoro o di regione. (27)

Busta paga elettronica

Il datore di lavoro potrà produrre la busta paga in formato elettronico, salvo rifiuto del lavoratore, così invertendo l’attuale meccanismo in cui il datore deve ottenere l’assenso preventivo del lavoratore.(28)

Conclusione

La filosofia d’insieme della riforma è nel ribaltamento della gerarchia delle norme, poiché si favorisce la stipula di accordi a livello d’impresa, si decentralizza il dialogo sociale, si riconosce il referendum come mezzo per validare una contrattazione.

Su questo impianto, non sembra essere a portata di mano l’obiettivo principale: dare un prezzo al licenziamento abusivo, con criteri semplici e chiari, per favorire il ricorso a contratti a tempo indeterminato. Il che sarebbe passato necessariamente, anche qui, da una ridefinizione della gerarchia delle fonti: il potere giudiziario avrebbe dovuto riferirsi a una tabella redatta dal legislatore. Ma infine, a seguito delle modifiche al progetto originario, la certezza del costo del licenziamento dipenderà dalla collaborazione dei giudici. Il carattere indicativo delle tabelle è stato preferito a un sistema a rischio di contrasto col potere di apprezzamento del giudice e col principio di riparazione integrale del pregiudizio subito.

A tal proposito, la Loi Macron del 2015 aveva già tentato di porre dei limiti alle indennità in caso di licenziamento abusivo, in funzione dell’anzianità del lavoratore e della grandezza dell’impresa. Quest’ultimo criterio era però stato reputato incostituzionale dal Conseil constitutionnel, poiché sganciava l’indennità dal pregiudizio subito dal dipendente.

Quanto all’istituto degli accordi “offensivi”, esso nasce dal fallimento di quelli “difensivi”. La loi de sécurisation de l’emploi, di giugno 2013, nata da un accordo nazionale interprofessionale firmato dalle parti sociali nel gennaio dello stesso anno, aveva per obiettivo di dare “più diritti ai dipendenti e più flessibilità alle imprese”; ma tre anni dopo, appena una dozzina di “accords de maintien dans l’emploi” (accordi difensivi) sono stati stipulati e unicamente da grandi aziende.

Per il Medef il fallimento degli accordi difensivi è dovuto proprio al fatto che il dipendente che rifiutava si vedeva licenziato per motivo economico, con conseguente obbligo di repêchage. Questa ipotesi ha guidato il governo nel prevedere il carattere personale del licenziamento del lavoratore che rifiuta i nuovi accordi “offensivi”.

Costituiscono novità accolte con favore il diritto alla disconnessione e la definizione più precisa delle circostanze che giustificano un licenziamento economico.

Quanto all’orario di lavoro, sarà difficile conciliare il suo allungamento con la speranza di una diminuzione della disoccupazione.

In definitiva, nulla è previsto, sul piano strettamente giuridico, per rendere più conveniente assumere con contratto a tempo indeterminato.

Infine, contrariamente a quanto inzialmente stabilito, i principi essenziali del diritto del lavoro redatti dalla Commissione Banditer non saranno inseriti nel Code du travail, sulla scia delle riserve del Conseil d’Etat (e del Medef), perché possibili forieri di incertezze giuridiche. I 61 principi serviranno allora come guida alla commissione che – prima o poi – sarà incaricata di riscrivere il Codice.

 

 (*) dottore in giurisprudenza borsista Erasmus all’Université Paris Ouest Nanterre La Défense

 

1 Sul concetto di flexicurity v. De Luca Tamajo, Flexicurity: un improbabile ossimoro o un’utile mediazione?, in Il diritto del lavoro dell’Unione europea (a cura di Foglia e Cosio), Milano, 2011, pp. 420 ss.

Sull’adesione dei tre Paesi a tale teoria economica: quanto alla Spagna, v. Antonio Baylos, Crisi del diritto del lavoro o diritto del lavoro in crisi: la riforma del lavoro spagnola del 2012, in Dir. relaz. ind., fasc.2, 2012, pag. 353; quanto all’Italia, v. Matteo Corti, Alessandra Sartori, Legislazione in materia di lavoro: il jobs act, atto secondo: la legge n. 183/2014, in Riv. It. Dir. Lav., fasc.1, 2015, pag. 2; quanto alla Francia, si veda il proseguio del testo.

Per un confronto tra misure spagnole e italiane, v. Tiziano Treu, Ricerche: gli sviluppi delle relazioni di lavoro nell’esperienza internazionale e comparata Le riforme del lavoro: Spagna e Italia, Dir. Relaz. Ind., fasc.3, 2015, pag. 601.

2 La legge delega è l’ultima di una serie decennale di interventi la cui linea direttrice è evidenziata da Franco Carinci, Ricerche: le riforme del mercato del lavoro: dalla legge Fornero al Jobs Act Jobs Act, atto I: la legge n. 78/2014 fra passato e futuro, in Dir. Rel. Ind., fasc.1, 2015, pag. 5.

 

3 V. nota 1.

4 Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni – Verso principi comuni di flessicurezza: Posti di lavoro più numerosi e migliori grazie alla flessibilità e alla sicurezza [COM(2007) 359 def. del 27.6.2007]

5 Per un’analisi generale dell’adesione dell’UE alla teoria economica della flexicurity, v. Frank Tros, La flexicurity in Europa può sopravvivere a una doppia crisi?, trad. in Dir. relaz. ind., fasc.2, 2013, pag. 377, e S. Bekker, Flexicurity. Explaining the development of a European concept, Iskamp Drukkers, 2011. 

6 Recommandation du Conseil concernant le programme national de réforme de la France pour 2015 et portant avis du Conseil sur le programme de stabilité de la France pour 2015, [COM(2015) 260 final del 13.5.2015]

7 Loi n° 2014-40 du 20 janvier 2014 garantissant l’avenir et la justice du système de retraites.

8 Loi n° 2013-504 du 14 juin 2013 relative à la sécurisation de l’emploi.

9 Annunciato dal Presidente Hollande il 31 dicembre 2013, è la piattaforma ideale che ha poi originato interventi destinati da una parte a rinforzare la competitività delle imprese e ridurre la disoccupazione, dall’altra a aumentare il potere di acquisto delle famiglie.

10 La loi n° 2015-990 du 6 août 2015 pour la croissance, l’activité et l’égalité des chances économiques.

11 Il testo del disegno di legge è disponibile, in costante aggiornamento, all’indirizzo internet http://www.assemblee-nationale.fr/14/projets/pl3600.asp

12 Gli articoli indicati in nota sono quelli che sostituiranno i vigenti nel Code du travail, secondo la nuova numerazione prevista dal progetto di legge.

13 Art. L. 3121-18.

14 Art. L. 3121-20.

15 Art. L. 3121-21.

16 Previste all’attuale art. L. 3121-10 Code du Travail, continueranno ad esserlo all’art. L. 3121-26.

17 Art. L. 3121-39.

18 Art. L. 3121-43.

19 Art. L. 2254-2 primo comma.

20 Art. L. 2254-2 secondo comma.

21 Art. L. 2232-12 primo comma.

22 Art. L. 2232-12 secondo comma.

23 Art. L. 2242-8.

 

24 Art. L. 1233-3.

25 Art. L. 1233-3.

 26 Art. L. 5131-6.

 27 Art. L. 5151-1.

 28 Art. L. 3243-2.

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