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Il lavoro sia il primo dei nostri impegni comuni

Buon Primo Maggio a tutti voi. Buon Primo Maggio alle lavoratrici e ai lavoratori italiani. Rivolgo il mio augurio anche agli imprenditori, ai professionisti, a chi studia e fa ricerca, a chi si prodiga nei servizi e nelle cure.

Desidero manifestare – in modo speciale – la mia vicinanza a quanti cercano il lavoro e non lo trovano, a chi lo ha perduto, a chi è costretto a impieghi saltuari o sottopagati, a tutti coloro che vivono in condizioni di povertà.

I costituenti hanno posto il lavoro a fondamento della Repubblica. Perché il lavoro costituisce un’espressione irrinunciabile della dignità della persona. Il lavoro rappresenta anche la nostra partecipazione alla crescita della comunità, e dunque è premessa di una libertà personale e collettiva.

Il lavoro è strettamente legato alla democrazia e al suo sviluppo. Laddove la struttura produttiva e sociale non è più in grado di assicurare quelle condizioni che sorreggono i nostri diritti di cittadinanza, allora la crisi rischia di contagiare le stesse istituzioni rappresentative. E laddove l’esclusione dal lavoro colpisce tante donne, uomini, giovani, intere famiglie, il bisogno e l’insicurezza possono, inoltre, innescare una pericolosa spirale di sfiducia.

Per questo il lavoro è la priorità. Lo è sempre stato ma, se possibile, lo è ancor più in questo tempo di cambiamenti veloci, per qualche aspetto addirittura impetuosi. Il lavoro cambia: i modi di produzione, i servizi, il welfare sono attraversati da profonde innovazioni, ma la dignità e la libertà delle persone – assicurate da una buona occupazione – restano l’elemento vitale, insostituibile, di ogni società democratica.

In questo senso la festa del Lavoro – che, settanta anni addietro, fu insanguinata dalla strage di Portella della Ginestra – è una festa della Repubblica. Al tempo stesso è occasione di riflessione e di impegno per costruire il domani.

Dopo la lunga recessione, gli indicatori dell’economia italiana sono tornati a mostrare un segno positivo. Anche il numero degli occupati – come ha ricordato il Ministro del Lavoro poc’anzi – è cresciuto, a riprova della vitalità del nostro tessuto imprenditoriale e sociale. Disoccupazione e inoccupazione, tuttavia, restano ancora troppo elevati, anche a confronto con gli altri Paesi europei.

La nostra comunità non può accettare – e non potrà sopportare a lungo – che i lavoratori attivi in Italia restino una percentuale bassa, e che la disoccupazione giovanile, particolarmente nel Meridione, raggiunga picchi così alti. Tutti dobbiamo sentire il compito di fare di più.

Non si tratta soltanto di una questione morale e di civiltà, argomento assolutamente preponderante. I bassi tassi di occupazione incidono sulla coesione e la dinamicità dell’intero sistema, ostacolando il percorso di sviluppo sostenibile. L’Italia ha tutte le risorse per avviare una nuova stagione di crescita inclusiva: può farlo se riduce al proprio interno gli squilibri territoriali, generazionali, sociali, se accorcia i divari presenti nelle conoscenze, nelle tecnologie, nella formazione, nelle infrastrutture. Gli elementi di unità del Paese – particolarmente in questo momento storico – costituiscono concreti fattori di sviluppo economico.

Gli indicatori tornati al segno positivo vanno interpretati, quindi, come un’occasione e una sfida. Come una possibilità per ridare alta capacità competitiva al Paese, distribuendo, al contempo, maggiori opportunità e maggiore giustizia. E’ importante che, quest’anno, il governo abbia incluso alcuni indici di benessere equo, ambientale, solidale nella programmazione economica, introducendo così una visione più ampia delle politiche pubbliche.

Certo, la velocità e le caratteristiche del mercato globale ci mostrano, ogni giorno di più, come la partita del lavoro e dello sviluppo sostenibile assuma sempre di più una dimensione continentale. L’Europa è il primo terreno di confronto, nel quale si misurano le nostre qualità e il nostro grado di competitività, ma è nel contempo la maggiore chance che abbiamo per incidere nelle dinamiche globali.

La difesa del modello sociale europeo – nato proprio dalla saldatura tra democrazia e lavoro, tra crescita economica e crescita nei diritti – è oggi possibile se la necessaria innovazione si sposerà ancora con una nuova diffusione di opportunità. E’ un’illusione affidare questa prospettiva a nazionalismi o a barriere protezionistiche. E’ vero, piuttosto, che la prova più importante per l’Unione Europea sta nei risultati concreti che porterà ai suoi cittadini, alle sue imprese, alla coesione delle società, a partire proprio dal diritto al lavoro.

Bene ha fatto la presidenza italiana del G7 a porre, a livello internazionale, il tema della riduzione delle diseguaglianze tra i pilastri dell’agenda.

Il lavoro è dentro i grandi cambiamenti epocali. Mutano le forme, le domande, i modi di organizzare il tempo del lavoro e la vita oltre il lavoro. Nuove tecnologie, sviluppo digitale, automazione, robotica stanno producendo professionalità inedite. In qualche caso queste professionalità sono ancora da definire, altre invece sono già presenti e tuttavia scarseggiano sul mercato. Dobbiamo saper cogliere queste occasioni, entrare – come sistema-Paese – negli spazi aperti dall’economia sempre più orientata a valorizzare la conoscenza.

Non è accettabile che molti nostri giovani vengano esclusi proprio quando le loro attitudini e i loro linguaggi sono più congeniali alle nuove competenze tecniche. E’ paradossale che le nuove generazioni restino ai margini mentre sarebbero in grado di giocare un ruolo decisivo per farci compiere passi avanti. Dobbiamo riuscire a migliorare la comunicazione tra mercato del lavoro e scuola, tra impresa e sistema formativo.

Qualcosa è stato fatto in questi anni e alcune esperienze stanno dando frutti. Ma su questa strada occorre procedere, anzi accelerare, alzando lo sguardo oltre il breve termine. L’industria 4.0 ha bisogno di competenze tecniche sempre più qualificate e non possiamo permetterci che il nostro mercato sia carente proprio di laureati con elevate professionalità informatiche. Più in generale, non possiamo rassegnarci a un numero così basso di laureati. Nel contempo dobbiamo fare in modo che nelle scuole superiori torni a crescere il numero dei diplomati con riconosciuta qualificazione tecnica.

Non solo l’impresa, ma la società nel suo insieme richiede lavoratori, tecnici, specialisti capaci di utilizzare le nuove tecnologie. Peraltro, automazione e sviluppo digitale si estendono in ogni ambito economico e sociale, ben oltre il settore manifatturiero. Dall’agricoltura ai servizi di cura, dalla medicina alla sicurezza, dalla logistica alle comunicazioni c’è un enorme spazio di crescita nel quale i giovani possono diventare protagonisti, e con loro i lavoratori più adulti che sapranno progredire, mettersi in discussione, acquisire e spendere nuove conoscenze.

Rendere effettivo il diritto al lavoro e aprire la porta alla piena cittadinanza delle nuove generazioni sono, del resto, obiettivi intimamente connessi allo sviluppo del Paese. Il nostro orizzonte non può essere quello della svalutazione del lavoro: su quel terreno saremmo perdenti. L’orizzonte è un lavoro di qualità, tecnologicamente evoluto, capace di offrire ricadute di benessere nella vita della società.

Siamo tutti consapevoli che, se le trasformazioni del mondo produttivo offrono da un lato nuove opportunità a imprese e lavoratori qualificati, dall’altro rischiano di allargare i divari sociali. E’ indispensabile che le istituzioni riescano a governare i processi ed evitino conseguenze in termini di riduzione del lavoro, di compressione dei salari e, dunque, di ulteriori diseguaglianze. E’ opportuno che la costruzione di adeguate strategie pubbliche coinvolga forze politiche e sociali, rappresentanze dell’impresa e del lavoro.

Disponiamo di eccellenze straordinarie, di filiere che esprimono qualità apprezzata in tutto il mondo, accanto a settori con difficoltà e ritardi. Dare al lavoro la centralità che merita vuol dire conoscere le differenze, e selezionare le scelte strategiche. Vuol dire favorire innovazione e investimenti, aiutando le stesse imprese a far crescere le proprie dimensioni.

Anche nella lotta alla disoccupazione è necessario entrare nel concreto, offrendo una guida a chi cerca lavoro o lo ha perduto. Chi è senza lavoro non va lasciato mai solo. Va accompagnato verso un nuovo impiego, sostenendolo nei percorsi di riqualificazione professionale.

Il nostro Paese ha compiuto passi in avanti verso una modernizzazione dei servizi pubblici per l’impiego. Ma altri passi vanno compiuti insieme per far sì che le politiche attive del lavoro diventino uno strumento di contrasto all’esclusione sociale e alla povertà. La battaglia per ridurre la povertà passa necessariamente dall’impegno delle istituzioni per costruire un mercato del lavoro più equo, più moderno, più prossimo alle situazioni concrete.

Il principio da cui dobbiamo muovere è che ogni persona disoccupata rappresenta un impoverimento per l’intera società. Ancor di più quando lo squilibrio occupazionale colpisce le donne. La presenza, tuttora insoddisfacente, delle donne nel mercato del lavoro è oggi un fattore di debolezza del Paese. Proprio la crescita dell’occupazione femminile può diventare invece un moltiplicatore di ricchezza e di qualità della vita.

Nella giorno della Festa del Primo Maggio rivolgo un pensiero, carico di dolore e di amarezza, a coloro che, nell’anno decorso, sono caduti sul lavoro o per causa di servizio, e mi sento vicino al dolore dei loro familiari. Per tutti desidero ricordare i lavoratori dell’albergo di Rigopiano e i soccorritori dell’elicottero che si è abbattuto nei pressi di Campo Felice nell’opera di soccorso per un infortunato. Sono stati, quelli, giorni drammatici, che hanno unito i sentimenti dell’intero Paese.

La sicurezza sul lavoro è per tutti un principio ineludibile. Oggi abbiamo a disposizione strumenti e tecniche di prevenzione avanzate, eppure gli incidenti sul lavoro si ripetono. Nel medio periodo la sicurezza è indubbiamente cresciuta, ma la perdita anche di una sola vita – così come danni permanenti o gravi invalidità – costituiscono un prezzo che non possiamo tollerare. Il lavoro va organizzato, sempre, rispettando rigorosamente le misure anti-infortunistiche.

Importante è stata l’approvazione della legge che punisce severamente l’odiosa pratica del caporalato. E’ compito di tutti – istituzioni, imprese, società civile – vigilare nell’applicazione delle norme e soprattutto cercare di prevenire il fenomeno senza attendere la fase repressiva. Il caporalato, di cui sono vittime tanti lavoratori, italiani e immigrati, può essere sconfitto consolidando un meccanismo virtuoso nella filiera agroalimentare, in grado di evitare lo sfrenato ribasso dei prezzi dei prodotti. Ancora una volta, la nostra sfida è la qualità, e non l’impoverimento del lavoro fino a renderlo lavoro nero.

Abbiamo risorse e capacità, nel nostro Paese, per superare queste sfide.

Un saluto forte, cordiale a chi non è qui perché organizza o partecipa ad altre manifestazioni del Primo Maggio. Un saluto a quanti si trovano a Portella della Ginestra, dove Cgil, Cisl e Uil hanno deciso di riunirsi per ricordare la strage di 70 anni fa: un tributo alla memoria, cui dà valore ancora maggiore il suo carattere unitario. Rivolgo un saluto sincero a tutte le organizzazioni sindacali. Un saluto e un incoraggiamento anche ai giovani che oggi si ritroveranno per l’ormai tradizionale, festoso Concerto di piazza San Giovanni.

Buon Primo Maggio a tutti gli italiani. Che il lavoro resti e sia confermato il primo dei nostri impegni comuni.

 

 (*) Intervento del Presidente della Repubblica alla celebrazione della Festa del Lavoro. Palazzo del Quirinale 01/05/2017.

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