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Il lavoro sicuro: osservazioni e proposte

La nostra Carta costituzionale tutela il lavoro in tutte le sue forme, dalla fase della ricerca e della formazione a quella connessa alla sua conclusione, passando per la prevenzione e la tutela degli infortuni e delle malattie professionali, in un equilibrio costante tra libertà d’impresa e tutela della sicurezza.

Di fronte agli incidenti, nonostante l’impegno di aziende, lavoratori ed Istituzioni, viene da domandarsi se esistano strumenti o percorsi che consentano di evitare in radice questi eventi. Il tema è evidentemente molto complesso, in quanto coinvolge aspetti normativi, tecnologici, organizzativi e comportamentali e non può che essere accennato per passaggi fondamentali.

L’esperienza insegna che il pericolo non può essere completamente eliminato, in quanto intrinseco nelle attività umane e lavorative, ma può essere eliminato o ridotto il rischio che quel pericolo generi l’evento.

Le conoscenze accumulate negli anni (anche attraverso le analisi dell’Inail e degli organi di vigilanza) e la giurisprudenza consentono di ricostruire casi e modalità degli infortuni e delle malattie professionali: attraverso questi elementi può ricostruirsi il quadro di cosa concretamente si può fare per prevenire il ripetersi di quello specifico evento.

Sul versante normativo, in via generale, alla base di ogni intervento per la sicurezza c’è quello di assicurare la certezza e chiarezza delle regole: di qui la necessaria rivisitazione del Dlgs 81/2008 per eliminare le disposizioni generiche, individuando puntualmente regole cautelari modali che, come sostiene da anni la giurisprudenza, “specificando il concreto da farsi, danno contenuto concreto, specifico ed attuale all’obbligo di sicurezza” (da ultimo, Cass., 34791/2018). 

In questo senso, le iniziative relative alla riconduzione di norme generiche a contenuti concreti e puntuali (art. 29bis l. n. 40/2020) ed il richiamo alla violazione di norme che non lasciano discrezionalità all’interprete (modifica dell’art. 323 cp) costituiscono precedenti utili, in quanto si pongono in linea con la giurisprudenza sopra richiamata e con quanto richiesto, nella specifica materia, dalla Corte costituzionale (sent. n. 312/1996 sulla determinatezza delle regole in materia di sicurezza e sent. n. 98/2021 sulla garanzia “soggettiva”, riconosciuta ad ogni consociato, della prevedibilità delle conseguenze sanzionatorie delle proprie condotte, a tutela delle sue libere scelte d’azione).

In attesa della riforma normativa (le osservazioni sopra sintetizzate ed il rapido cambiamento del mondo del lavoro la impongono in modo urgente), passando sul piano concreto, molti sono gli interventi che possono essere concretamente posti in essere, sul duplice versante degli infortuni e delle malattie professionali.

Partendo dagli aspetti tecnologici, vista la nuova impostazione di Industria 4.0, appare necessaria una campagna di verifica delle attrezzature in uso ed una conseguente campagna di sostituzione di quelle obsolete, utilizzando le risorse del PNRR e dell’Inail, che ha 34 mld di € depositati in tesoreria, senza redditività, interamente anticipati dalle aziende e completamente inutilizzati.

Ancora su questo aspetto, occorre valorizzare il ricorso agli strumenti più avanzati. La giurisprudenza declina spesso l’obbligo di sicurezza nel dovere di controllo e vigilanza da parte del datore di lavoro, da spingere fino ai limiti della pedanteria. Una impostazione che deve superare impostazioni non più attuali sull’uso delle tecnologie per il controllo nei luoghi di lavoro e problemi di privacy, inconcepibili quando si parla di sicurezza sul lavoro. 

Una impostazione che, inoltre, deve tradursi nella adozione di strumenti tecnologici in grado (evidentemente, meglio dell’uomo) di controllare i comportamenti rischiosi della macchina e dell’uomo (es. funzionamento nonostante la rimozione di dispositivi di blocco, mancato o scorretto uso di DPI, pratiche operative scorrette, etc.), prendendo spunto da quanto fatto in materia di circolazione stradale. 

In questa situazione, evidentemente, occorre orientare l’azione di controllo al profilo prevenzionale (interrompere il rischio) prima che a quello eventualmente sanzionatorio, comunque da accompagnare sempre con un momento formativo.

Continuando su questo profilo, la tecnologia ben può prevenire il difetto di comportamento della macchina, il contatto uomo – macchina o la condotta operativa scorretta. Sensori, intelligenza artificiale, sistemi di rilevamento, azioni di blocco automatico: gli strumenti sono innumerevoli e devono essere rapidamente applicati alla sicurezza sul lavoro, più di quanto non lo siano già. 

Queste iniziative contribuirebbero a ridurre tutte le situazioni di rischio che sono riconducibili al rapporto uomo – macchina e ai comportamenti umani. Si pensi ai recenti tristi eventi del coinvolgimento in contatti con le attrezzature e alle ipotesi di eventi per mancato uso di DPI (in particolare, cinture di sicurezza nei lavori in quota) e uso di attrezzature non dotate dei più moderni dispositivi di sicurezza (es., ribaltamento dei trattori in agricoltura).

Sul tema del corretto approccio alle regole, una funzione determinante potrebbe poi essere svolta dagli organismi ispettivi e tecnici. Il patrimonio di conoscenze ed esperienze fino ad oggi viene utilizzato esclusivamente per finalità sanzionatorie o di vigilanza. Un aspetto impropriamente riduttivo che dovrebbe, invece, essere principalmente utilizzato in chiave di assistenza per imprese e lavoratori in quanto la prevenzione, per sua natura, non può ricondursi all’aspetto sanzionatorio, peraltro necessario. Il Dlgs 81/2008, all’art. 10, attribuisce già a molti enti ed istituzioni (a partire dalle Regioni e dal Ministero di lavoro ed Inail) il compito di svolgere attività di informazione, assistenza, consulenza, formazione, promozione in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro. 

Le indicazioni puntuali di questi organismi, in chiave non sanzionatoria ma collaborativa, potrebbero assumere una valenza giuridica, una forma di assistenza qualificata da parte dello Stato (valida a tutti gli effetti ed evidentemente non contestabile dagli stessi organi di vigilanza), che potrebbe inserirsi nel percorso di miglioramento della sicurezza e di adeguamento alla normativa. 

Per conseguire questo obiettivo occorre ripristinare lo strumento della disposizione ed escludere – per questa fase – gli obblighi di denuncia all’autorità giudiziaria che caratterizzano la figura del pubblico ufficiale e dell’ufficiale di polizia giudiziaria. Per il personale ispettivo, di recente opportunamente incrementato, occorre poi un forte percorso di qualificazione professionale, in linea con la evoluzione del lavoro e della produzione.

In coerenza con questa attività, andrebbe rivista la tecnica di finanziamento da parte dell’Inail degli interventi prevenzionali, anche quelli conseguenti alle indicazioni del personale ispettivo, collegando il sostegno alle specifiche esigenze emergenti. Accanto alle forme tradizionali (bando annuale ISI, comunque da semplificare, e riduzione del tasso per prevenzione) potrebbe quindi pensarsi a ipotesi di finanziamento legato ai suggerimenti proposti in sede di assistenza.

Quanto agli aspetti organizzativi e comportamentali e a supporto della tradizionale attività ispettiva, potrebbe considerarsi la rivisitazione del sistema della certificazione e dei sistemi di gestione. Se a queste attività fosse riconosciuta una valenza giuridica (oltre che come misura volontaria di qualificazione dell’impresa), esse ben potrebbero concorrere ad orientare l’attività ispettiva verso ambiti maggiormente a rischio. Chi si sottopone a certificazione o adotta modelli di gestione manifesta evidentemente l’intenzione di ricercare la legalità: questo elemento potrebbe, ad esempio, incidere sull’elemento psicologico dell’eventuale reato, nella stessa logica del modello organizzativo del Dlgs n. 231/2001, che, adottato ed efficacemente attuato, esclude la punibilità della persona giuridica.

Sempre su questo versante, appare necessaria la rivisitazione dello strumento dell’interpello, ad oggi limitato ad aspetti generali della normativa e idoneo ad offrire esclusivamente criteri interpretativi e direttivi per l’esercizio dell’attività di vigilanza. Al pari dell’analogo strumento in tema di lavoro e previdenza (Dlgs n. 124/2004, art. 9), esso dovrebbe assicurare che l’adeguamento alle indicazioni fornite esclude l’applicazione delle relative sanzioni penali, amministrative e civili. 

Tutti gli interventi fin qui proposti non possono produrre appieno i propri effetti positivi se non sono accompagnati da un sistema di formazione completamente rivisto rispetto all’impostazione attuale: gli accordi Stato-Regioni, come da tempo attestato dalle stesse Regioni, devono essere profondamente ripensati, sia nell’attuale impostazione burocratica e formalistica che nelle procedure. 

Occorrono strumenti innovativi (pillole formative/informative/di aggiornamento on the job, in prossimità dell’atto lavorativo), modalità innovative (utilizzando l’informatica per avere sempre a disposizione gli strumenti informativi per il lavoro in sicurezza), contenuti maggiormente legati ai fabbisogni specifici (da individuare rispetto al rischio da affrontare concretamente nella azione lavorativa concreta) e nuove modalità (coniugando l’immancabile e fondamentale momento formativo in presenza con le modalità a distanza, finalmente semplificate attraverso la videoconferenza sincrona rispetto ai complessi strumenti impropriamente proposti dagli accordi Stato-Regioni).

Un ruolo importante potrebbe essere svolto dalle parti sociali, laddove venga loro riconosciuto un ruolo effettivo nell’ambito dei “tavoli” (in particolare, quelli territoriali) nei quali si orientano le specifiche politiche prevenzionali e di vigilanza. Esse possono infatti portare le esigenze della produzione e del lavoro e contribuire ad evidenziare i bisogni prevenzionali ed informativi, contribuendo così, in qualche modo, anche ad orientare l’attività di vigilanza agli ambiti che più necessitano di controllo. 

Due ulteriori osservazioni finali.

Il presupposto di ogni azione prevenzionale è che il datore di lavoro abbia la possibilità concreta (e, quindi, il dovere) di intervenire sul rischio, ossia possa prevederlo e prevenirlo: in una parola, gestirlo. Non rientrano in questa sfera né gli eventi catastrofici o endemici (come nel caso recente del Covid19) né le condotte illecite volontarie (come la violenza o le molestie nei luoghi di lavoro) né le attività svolte al di fuori della sfera di controllo del datore di lavoro (come nelle ipotesi in cui manca una postazione di lavoro e l’attività viene svolta liberamente e senza vincoli di luogo e di orario). Queste situazioni devono vedere, ovviamente, sempre tutelata la posizione del lavoratore, ma non possono essere riferite all’obbligo ed alla responsabilità del datore di lavoro, che non può né prevederle né prevenirle. In tutte queste ipotesi, affermare obblighi e responsabilità a carico del datore di lavoro significherebbe introdurre una forma di incostituzionale responsabilità penale oggettiva.

Un’ultima notazione sul tema della privacy. Oltre all’obbligo di salvaguardia della vita e dell’incolumità fisica del lavoratore, sul datore di lavoro gravano quelli connessi all’assicurazione, pubblica o privata, per la copertura dei rischi connessi alla materia della sicurezza del lavoro (infortuni e malattie professionali) o per i danni cagionati a terzi nell’esercizio dell’attività lavorativa o professionale. Il datore di lavoro è, poi, chiamato alla valutazione dei rischi, connessa alla esposizione a fattori di rischio, all’idoneità psico-fisica necessaria per svolgere determinate mansioni, all’appartenenza a determinate categorie protette.

 A questi fini, egli deve conoscere i dati contenuti nella documentazione e nelle certificazioni sanitarie attestanti l’infortunio o lo stato di malattia, anche professionale dell’interessato, o comunque relativi anche all’indicazione della malattia come specifica causa di assenza del lavoratore ovvero, più in generale, allo stato di salute. Accanto a questi profili, rileva la conoscenza di questi elementi per il diritto di difesa in sede penale e civile a fronte di eventuali contestazioni. 

Il garante ha recentemente riaffermato, con particolare rigore, l’autonomia del medico competente e l’impossibilità per il datore di lavoro di conoscere i dati sanitari del lavoratore, ivi compresi quelli afferenti all’ambito della vaccinazione contro il Covid19. 

L’incoerenza cui conduce questa interpretazione della normativa sulla privacy, nonostante questi rilevanti obblighi legali costituiscano adeguata base giuridica per il trattamento del dato afferente alla salute, è emersa in tutta la sua gravità. È assurdo pensare che il datore di lavoro non abbia diritto a sapere se il lavoratore è contagiato (attraverso il certificato medico con la diagnosi) per poterne così gestire l’assenza ed organizzare il lavoro, ovvero se è stato vaccinato o è immune attraverso il relativo certificato (solo così potendo gestire le potenziali occasioni di contatto come le trasferte o i lavori di gruppo, preferendo la persona vaccinata e mantenendo invece in smart work chi è ancora maggiormente a rischio).

Occorre, dunque, modificare profondamente l’impostazione, la normativa e l’interpretazione di questa materia, prevedendo espressamente, quale idonea base giuridica (se quella sopra accennata non viene ritenuta sufficiente), che il datore di lavoro, per le finalità di salute e sicurezza sul lavoro, deve conoscere i dati sanitari dei lavoratori e, con l’ausilio del medico competente, assolvere responsabilmente agli obblighi di tutela. 

Queste azioni, tratteggiate in termini evidentemente esemplificativi e sintetici, si pongono in antitesi con la tradizionale impostazione della ricerca ex post del capro espiatorio: occorre intervenire prima che succeda l’evento e non dopo, al solo fine – ormai – di immaginare o ricostruire l’accaduto per individuare i responsabili. Trattandosi, in genere, di omissioni, l’azione astrattamente doverosa viene, infatti, inserita mentalmente nel processo causale dell’evento per verificarne l’efficacia oggettivamente prevenzionale. Una complessa operazione ricostruttiva che, seppur obbligata dalla natura dell’illecito penale, dovrebbe e potrebbe essere anticipata da un intervento tempestivo, reso possibile dal nuovo approccio alla prevenzione che in queste brevi note si è sinteticamente proposto.

*Confindustria

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