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Il mezzogiorno fuori dalla crisi, parola di Svimez

Il Mezzogiorno è uscito dalla recessione. Con questa premessa inizia la narrazione del Rapporto Svimez. Si parla di un Mezzogiorno reattivo che nel corso del 2016 ha contribuito alla crescita del paese con una quota superiore al suo peso produttivo. Un Mezzogiorno presente, partecipe, lontano dall’immagine coltivata da alcuni ambienti di “vuoto a perdere”. Ma ora bisogna non disperdere questi segnali positivi, come peraltro avvenuto in altre stagioni. Occorre sostenere, accelerarli, affrontando i nodi strutturali irrisolti, le emergenze sociali incombenti.

Il Rapporto Svimez è puntuale nel fornire gli attivi e passivi della nuova contabilità del Mezzogiorno. Il settore industriale recupera competitività, export, investimenti, ma il settore dei servizi (il 78% del valore aggiunto) presenta ancora un deficit nel terziario avanzato; alcune regioni (Campania, Basilicata) danno segni di vitalità espansiva ma altre (Sicilia, Calabria), anche per le avverse stagioni agricole, presentano tuttora un andamento stazionario; l’occupazione a bassi salari recupera soprattutto nei settori tradizionali del turismo, del commercio, grazie al miglioramento congiunturale ma, nel contempo, si aggrava la perdita del capitale umano per il flusso degli immigrati giovani, a più alta scolarità e per il declino demografico.

Una contabilità ancora in rosso, benché in miglioramento, che richiede una politica in grado di aggregare Nord e Sud in un progetto di crescita. Una politica che, innanzitutto, faccia trasparenza e giustizia in ordine ai cosiddetti residui fiscali (il dare e avere rispetto alle altre aree del Paese), argomento di contesa improduttiva nei termini polemici con cui oggi si discute. Come già detto, l’obiettivo da porsi è quello di rafforzare i rapporti di integrazione e di interdipendenza tra le diverse economie regionali per recuperare spazi nella nuova economia mondiale. 

Un percorso che valorizzi i punti di forza delle strutture produttive regionali e depotenzi i punti di debolezza. 

C’è una priorità da cui partire: il settore industriale che, anche nell’analisi Svimez, si conferma come il perno di una strategia di innovazione tecnologica e produttivistica in grado di trascinare anche le altre strutture in un percorso innovativo. Priorità anche giustificata dal fatto che già esiste una strumentazione predisposta, il Piano Industria 4.0, con i suoi incentivi a favore delle nuove tecnologie digitali, il cui successo dipenderà dal numero di imprese che verranno coinvolte. Le piccole medie imprese del Mezzogiorno presentano maggiori difficoltà di partecipazione per cui è importante creare una leva di politica regionale in grado di trainare nella nuova economia digitale questo segmento importante dell’industria meridionale. 

Si tratta, innanzitutto, d’incentivare la crescita dimensionale delle piccole e medie imprese e di incentivare l’attrazione nell’area di nuovi investimenti, anche alla luce delle vie di sviluppo aperte dal nuovo rilievo strategico del Mediterraneo. Alcuni strumenti sono già in atto o previsti: i contratti di sviluppo, le zone franche urbane, le zone economiche speciali. Sono stati rifinanziati i fondi a sostegno dell’industria meridionale che integrano le risorse dei Fondi Europei. L’obiettivo è di riattivare un gioco virtuoso fra mercato ed istituzioni che eviti le intermediazioni burocratiche e politiche. 

Perché dovrebbe avvenire oggi ciò che non è avvenuto nel passato? Perché c’è una emergenza. Il Mezzogiorno si sta desertificando di giovani, i più istruiti, i più motivati che vanno altrove. La demografia indica una popolazione in rapido invecchiamento. Una perdita di capitale umano che se non interrotta preclude qualsiasi futura capacità di sviluppo.

Questo è il messaggio principale che la Svimez manda alla politica. E’ ora compito della politica e delle sue istituzioni mettere in movimento la realtà. La ricerca Svimez, monitorando i risultati, può essere la frusta per le tentazioni immobilistiche. 

 (*) Presidente Isril

 

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