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Il lavoro. Libero, creativo, partecipativo, solidale.

La questione urgente del lavoro

Il lavoro era e rimane un’esperienza umana fondamentale che coinvolge integralmente la persona e la comunità. Esso dice prima di tutto quanto amore c’è nel mondo: si lavora per vivere con dignità, per dar vita a una famiglia e far crescere i figli, per contribuire allo sviluppo della propria comunità.Il lavoro umano è un’esperienza dove coesistono realizzazione di sé e fatica,  contratto e dono, individualità  e collettività, ferialità e festa. Esso richiede passione, creatività, vitalità, energia, senso di responsabilità perché nelle imprese, nelle botteghe, negli studi professionali, negli uffici pubblici, la differenza, alla fine, la fanno le persone. Come scrive Giovanni Paolo II nella  Laborem Exercens (1981): “Mediante il lavoro, l’uomo non solo trasforma la natura adattandola alle proprie necessità, ma anche realizza se stesso come uomo ed anzi, in certo senso, «diventa più uomo»” (n.9). Mutuando inoltre dalla regola benedettina, si può dire che ‘lavorare non significa solo creare ricchezza, ma partecipare alla creazione del mondo’.

 

2.Quanto il lavoro, e il lavoro ben fatto, sia importante per la nostra vita, quanto possa essere un’ancora di salvezza anche nei momenti più bui e difficili, ce lo ricorda Primo Levi, raccontando un episodio della sua vita nel lager: “Ma ad Auschwitz ho notato spesso un fenomeno curioso: il bisogno del «lavoro ben fatto» è talmente radicato da spingere a far bene anche il lavoro imposto, schiavistico. Il muratore italiano che mi ha salvato la vita, portandomi cibo di nascosto per sei mesi, detestava i nazisti, il loro cibo, la loro lingua, la loro guerra; ma quando lo mettevano a tirar su muri, li faceva dritti e solidi, non per obbedienza ma per dignità professionale”. È infatti prima di tutto attraverso il lavoro che diciamo al mondo chi siamo, cosa sappiamo fare: non conosciamo veramente una persona fino a quando non la vediamo lavorare. Il lavoro è espressione della nostra dignità, ma anche impegno, sforzo, capacità di collaborare con altri, perché esso è sempre ‘con’ o ‘per’ qualcuno. E dunque non è mai un atto solitario. In questo senso, il lavoro è intriso di cooperazione, il luogo dove si diventa veramente adulti, dove impariamo a dare il nostro contributo per rendere più bello il mondo. L’uomo, scriveva San Tommaso d’Aquino (cf., De Veritate) conosce se stesso solo in azione, durante l’azione, mentre è in azione. Ecco perché, quando non lavora, l’essere umano conosce meno se stesso e smarrisce il senso del vivere.

 

3. Se il lavoro è una dimensione così importante per l’essere umano, deve esserlo per tutti. Negare ad un giovane di partecipare a questo grande progetto comune o privare un adulto della possibilità di continuare a dare il proprio contributo; sfruttare il lavoro altrui o discriminare in base all’identità di genere o razziale sono atti di violenza che lacerano il tessuto umano e sociale. Anche rispetto al tema degli immigrati, è proprio il lavoro che costituisce lo strumento più efficace per il successo del percorso di integrazione.

 

4. La questione della disoccupazione ci interpella in modo particolare. L’isolamento sociale, il senso di fallimento, il rischio di depressione sono costi umani che non possono essere dimenticati. E ciò è tanto più vero nelle regioni del Mezzogiorno dove l’aspirazione ad avere un lavoro dignitoso è troppo spesso destinata a non trasformarsi in realtà.

 

5. Guardando avanti gli interrogativi diventano ancora più incalzanti. Negli ultimi anni, infatti, il mondo del lavoro sta cambiando così in fretta da rivoluzionare stili di vita e modelli etici. Si tratta di mutamenti portatori di grandi domande. Cosa significa oggi lavoro (umano)? Quali devono essere i (nuovi) diritti e doveri del lavoratore? Come sconfiggere la disoccupazione e quale formazione continua potrà preparare chi già lavora ai cambiamentidel futuro? E ancora ci chiediamo: con quali competenze gestire il rapporto lavoratore e la macchina robot? Su quali conoscenze devono investire i giovani? E infine, come in tutti i cambiamenti epocali, quali forme di tutela efficaci per il ‘lavoro degno’ è necessario trovare al tempo dell’industria 4.0?

 

 

2. Mai senza i volti

 

6. Non si risolvono i problemi dimenticando i volti e le storie della gente che lavora. Il lavoro non è una astrazione. Ma coinvolge sempre concretamente la vita delle persone. Che vanno prima di tutto ascoltate. È stato scritto che l’ascoltare ‘è un atto del silenzio’ per essere obbedienti a una realtà che cambia. Per questo alla base del nostro impegno ci devono essere sempre i volti delle donne e degli uomini che lavorano. E ancora di più di coloro che non lavorano o che lavorano in contesti di precarietà o illegittimità. È a loro che dobbiamo rispondere. Troppe volte i problemi del lavoro rimangono confinati nelle vite di chi li deve sopportare: forse è proprio questa distanza dal dolore degli altri che finisce per renderci insensibili e ignavi. 

 

7. È per tale ragione che in questi mesi siamo andati alla ricerca di volti e storie per raccontare come cambia il lavoro. Il deserto occupazionale, più figlio di politiche errate in risposta ai cambiamenti globali che dell’automazione, può essere fatto fiorire e coltivato da uomini e donne che mettono al centro ‘un’ecologia integrale’ del lavoro. Partire dai volti è l’antidoto a ogni deriva tecnocratica. Progresso materiale e spirituale sono vasi comunicanti per umanizzare il lavoro e porre al centro la dignità della persona secondo gli insegnamenti della Dottrina Sociale della Chiesa.

8. Dire lavoro è dire impresa che produce ricchezza attraverso il lavoro. La rilevanza civile dell’azione imprenditoriale è sotto gli occhi di tutti. Il buon imprenditore è colui che si prende cura della sua impresa e del lavoro che in essa si svolge. Il suo compito non si esaurisce nella creazione di valore economico. In una economia sana e aperta, il valore economico deve anche tradursi in reddito e qualità della vita, consentire una vita materiale decente e innescare il processo di inclusione sociale. Non è un caso che Giovanni Paolo II pone la moderna “economia d’impresa” al servizio dell’integrale libertà umana, “il cui centro è di natura etica e religiosa”, e lo inquadra all’interno di un solido sistema delle regole (Centesimus Annus, 42).

 

9. Il recente discorso di Papa Francesco a Genova (27 maggio 2017) ci dice con estrema chiarezza che il lavoro lo crea l’impresa, nella misura in cui risponda in modo adeguato al suo specifico dovere di solidarietà. L’efficienza, rispettosa dei principi di sostenibilità sociale e ambientale, oltre a costituire il motore di una azienda ben organizzata e a fruttare dunque profitto, diventa allo stesso tempo un criterio di giustizia sociale.

 

10. Molti giovani, legittimamente si chiedono: “ci sarà un lavoro anche per me quando avrò finito gli studi?”. Una domanda che ci sta a cuore e che spesso resta drammaticamente senza risposta a causa del dramma della disoccupazione. Occorre, al tempo stesso, che un sempre maggior numero di giovani si ponga anche un’altra domanda: “quanti posti di lavoro sarò capace di creare, finiti gli studi?”. Promuovere una cultura d’impresa significa investire sulla capacità di essere protagonisti delle propria vita. Per far ciò, crediamo sia necessario sostenere la  ‘creatività’ dei giovani: la virtù dell’iniziativa che sgorga dalla soggettività creativa della persona umana, ossia l’inclinazione a cogliere ciò che altri non riescono ancora a vedere. In secondo luogo, educare alla ‘solidarietà’, ossia, al ‘senso della comunità’, in considerazione del fatto che il lavoro è lavoro con gli altri e lavoro per gli altri. In terzo luogo, educare al ‘realismo’, cioè alla fatica e ai tempi lunghi necessari per vincere la sfida della creazione del lavoro attraverso l’impresa.

 

11. Non ci ritroviamo a Cagliari per celebrare un bel convegno. Data la gravità della situazione, ciò suonerebbe come una stonatura. Le giornate spese insieme vogliono piuttosto segnare una tappa di un cammino sinodale volto a capire, a trovare soluzioni, ad avanzare proposte. Il nostro ritrovarci vuole essere piuttosto un modo per stare vicini a chi si trova in difficoltà. Un modo per dire che non ci vogliamo dimenticare di nessuno. Seguendo l’indicazione di Papa Francesco, siamo qui per “iniziare processi” che impegnino le comunità cristiane e la società italiana nel suo insieme(Evangelii Gaudium,n. 223). Nello spirito di quei ‘cammini sinodali’ che papa Francesco raccomanda come antidoto alla sclerosi ecclesiastica, l’Instrumentum Laboris costituisce un testo aperto che, raccogliendo i primi frutti del percorso compiuto in tante Diocesi e Associazioni nei mesi della preparazione, intende offrire la base di riferimento comune per un ordinato svolgimento dei lavori assembleari. Così da rendere la 48ª edizione delle Settimane Sociali vera esperienza di Chiesa, momento fruttuoso e propositivo a beneficio dell’intero Paese e soprattutto di chi soffre per la mancanza o la cattiva qualità del lavoro. 

12. Il metodo che ci siamo dati è basato su quattro registri comunicativi: denuncia, ascolto, raccolta delle buone pratiche, proposta. Lo scopo è quello di arrivare a maturare un vero cambiamento del nostro modo di essere e di fare. Una conversione di cui ha bisogno l’intera società italiana. La sfida che ci aspetta nei prossimi anni è infatti quella di realizzare un cambio di paradigma, passando da un modello basato sullo sfruttamento e l’espansione illimitata ad uno centrato sulla persona umana e sullo sviluppo umano integrale, sostenibile e inclusivo. È in questa nuova cornice che il lavoro che vogliamo va cercato e trovato.

 

3. Il lavoro degno

 

13. Siamo figli di una storia da sempre attenta al lavoro. Dalla Rerum Novarum (1891) di Leone XIII – in cui si denunciava lo sfruttamento dei lavoratori dipendenti, il lavoro minorile, i duri orari dei lavoratori, la situazione delle fabbriche – fino all’Evangelii Gaudium (2013)incui Papa Francesco afferma che il lavoro è quella attività in cui “l’essere umano esprime e accresce la dignità della propria vita. Il giusto salario permette l’accesso adeguato agli altri beni che sono destinati all’uso comune” (n.192) – la Chiesa ha sempre avuto a cuore i lavoratori, specie i più deboli.

14. Un insegnamento penetrato così in profondità nella cultura italiana da caratterizzare la stessa Costituzione italiana, dove ‘lavoro’ è il secondo termine più ricorrente, dopo ‘legge’. Il citatissimo art. 1, “la Repubblica è fondata sul lavoro” – da cui discendono diritti e doveri per contribuire al progresso “materiale o spirituale della società”(art. 4 Cost.) – presuppone uno stretto legame tra il lavoro – visto come mezzo di crescita personale e comunitaria, di inclusione e di coesione sociale – e la dignità della persona.

15. Eppure, oggi più che mai, siamo sfidati a mettere i nostri fondamenti antropologici, spirituali e teologici al servizio delle soluzioni ai problemi che assillano l’uomo contemporaneo. Mai come in questa epoca sono necessarie soluzioni maturate alla luce dei princìpi della centralità della persona, della sua dimensione relazionale ad immagine e somiglianza di Dio, dell’opzione preferenziale per gli ultimi. Le questioni non mancano, l’impegno massimo è necessario. 

16. L’attenzione al lavoro nasce dalla attenzione ad un aspetto strutturale della condizione umana, il bisogno. In ogni singolo bisogno è implicata tutta la persona nella sua relazione con la realtà e attraverso di essa col destino. Per tale ragione, il punto di riferimento della Dottrina Sociale della Chiesa è la persona che lavora nella totalità delle sue esigenze che arrivano fino all’apertura all’infinito, apertura che sostiene e dilata lo stesso bisogno umano. Se non fosse così, l’uomo sarebbe frammentato in tanti pezzi separati tra di loro. Èquando si perde di vista il‘cuore della persona’, il suo bisogno e il suo limite, che si sviluppano le tante drammatiche distorsioni legate al mondo del lavoro di oggi, dove la persona è spesso ridotta a puro strumento di produzione in vista della massimizzazione del profitto. 

17. Persona e lavoro sono due parole che possono e devono stare insieme. Perché se pensiamo e diciamo il lavoro senza la persona, il lavoro finisce per diventare qualcosa di disumano, che dimenticando le persone dimentica e smarrisce se stesso. E se pensiamo la persona senza lavoro, diciamo qualcosa di parziale, di incompleto, perché la persona si realizza in pienezza quando diventa lavoratore, lavoratrice; perché l’individuo si fa persona quando si apre agli altri, alla vita sociale, quando fiorisce nel lavoro. La persona fiorisce nel lavoro e il lavoro è l’espressione totale della persona, espressione del rapporto che l’uomo ha con Dio. Per questa ragione un ordine puramente tecnocratico è un delitto contro l’uomo. La persona che lavora partecipa all’opera creatrice di Dio. Dunque, la questione del lavoro è la questione del lavoro degno. Che  cos’è il lavoro degno? 

18. Il lavoro è degno perché la persona è ‘degna’. La persona è immagine e somiglianza di Dio:il lavoro è degno non tanto perché permette di soddisfare i bisogni materiali, ma in quanto  realizza la persona – che, come tale, è degna di un salario e di una vita adeguate. Non basta creare lavoro. Bisogna che tale lavoro sia degno, come realizzazione della persona, sostegno della famiglia e della vita della società. Così si salva la fatica, l’aridità, il sudore del lavoro concreto.

19. Non qualunque tipo di lavoro è degno. Ai lavoratori dell’Ilva di Genova (27 maggio 2017) papa Francesco ha detto: “Chi perde il lavoro e non riesce a trovare un altro buon lavoro, sente che perde la dignità, come perde la dignità chi è costretto per necessità ad accettare lavori cattivi e sbagliati. Non tutti i lavori sono buoni: ci sono ancora troppi lavori cattivi e senza dignità”, nella produzione e “nel traffico illegale di armi, nella pornografia”, nell’“azzardo e in tutte quelle imprese che non rispettano i diritti dei lavoratori o della natura. Come è cattivo il lavoro di chi è pagato molto perché non abbia orari, limiti, confini tra lavoro e vita perché il lavoro diventi tutta la vita”. Dolorosamente dobbiamo ammettere che ci sono ancora troppe zone in Italia dove convincere i figli che è preferibile la durezza e l’incertezza del lavoro al facile guadagno proposto dai trafficanti e criminali organizzati rimane un’impresa assai ardua. Il lavoro degno è sempre sfida di legalità, un antidoto alle mafie, strumento di contrasto all’illegalità. 

20. Il lavoro è degno quando rispetta la vita delle persone e dell’ambiente, cioè la ‘Casa comune’ come ci dice l’enciclica Laudato Si’. La sicurezza dei lavoratori, la salute dei cittadini e la salvaguardia del creato non solo sono criteri etici irrinunciabili, ma anche premesse per la stabilità e la produttività del lavoro.

21. Il lavoro è degno quando rispetta il ritmo e i tempi della vita. Un paradosso della nostra società è la compresenza di una crescente quota di persone che vorrebbero lavorare e non riescono, e altri che lavorano troppo, che vorrebbero lavorare di meno ma non ci riescono perché sono stati ‘comprati’ dalle imprese. Il lavoro, invece, diventa ‘fratello lavoro’ quando accanto ad esso c’è il tempo del non-lavoro, il tempo della festa. Gli schiavi non hanno tempo libero: senza il tempo della festa, il lavoro torna ad essere schiavistico, anche se superpagato; e per poter fare festa dobbiamo lavorare. Nelle famiglie dove ci sono disoccupati, non è mai veramente domenica e le feste diventano a volte giorni di tristezza perché manca il lavoro del lunedì. Per celebrare la festa, è necessario poter celebrare il lavoro. L’uno scandisce il tempo e il ritmo dell’altra. Vanno insieme.

22. In conclusione, il lavoro è degno quando e viene prima del risultato economico, rimanendo legato alle ragioni più vere della vita. Ragioni che diventano buone pratiche e forme di vita nuova che possono aiutare a superare le molte ingiustizie di questa economia che uccide e ad offrire una vera speranza al nostro popolo.

23. Sembra incredibile, ma ancora oggi si fa fatica a riconoscere che non c’è altra via per una crescita armonica: è il lavoro, con la sua creatività ed anche con la sua produttività, la vera fonte della ricchezza di una comunità. Il pilastro su cui costruire una relazione armonica tra le capacità di ogni singola persona e lo sviluppo economico e sociale. Per questo, il lavoro che vogliamo è:

  • libero, dove siano finalmente bandite tutte le forme di schiavitù, di illegalità e di sfruttamento e dove ogni persona sia messa nelle condizioni di poter dare il meglio di sé senza essere schiacciata dalla burocrazia o dalle procedure;
  • creativo, occasione per permettere a ciascuno di dare il meglio di sé dentro un’idea di innovazione che non è riducibile al solo aspetto tecnologico;
  • partecipativo, nella consapevolezza che non c’è economia che possa prescindere dal contributo della persona umana;
  • solidale, capace cioè di non dimenticare che relazioni di reciproco riconoscimento e di alleanza tra soggetti diversi sono alla base di ogni vero sviluppo. 

 

4. La denuncia

 

24. Quando non scade nel lamento, la denuncia è necessaria per assumere responsabilmente i termini di quelle ‘situazioni problematiche’ che attendono di essere risolte. Nel caso italiano, sono 6 le ‘criticità’ sulle quali pensiamo si debba richiamare l’attenzione, veri e propri snodi critici che vanno denunciati:

 

25. Giovani che non lavorano. La prima ‘situazione problematica’ riguarda il rapporto tra giovani e lavoro, un tema che oggi rappresenta ‘la’ priorità per rilanciare le prospettive socio-economiche del Paese. Conosciamo i dati: se, in Europa, il tasso di occupazione dei giovani è rimasto sostanzialmente stabile negli ultimi 15 anni (56% nel 2016), in Italia il forte calo dell’occupazione giovanile registrato fin dal 2006 si è infatti arrestato solo negli ultimi due anni (51% nel 2006, 40% nel 2016). L’Italia ha ancora oggi il triste primato di essere il paese europeo con il numero più elevato di NEET (Not in Education, Employment or Training): più di 2,2 milioni di giovani: un’intera generazione rischia di essere bruciata. Qualcosa che non può essere accettato.

 

26. Un lavoro troppo precario. Il rischio di precarietà – tendenza comune ai principali paesi europei – è in Italia eccessivamente alto: dal 2002 al 2016 i lavoratori temporanei – molti dei quali ‘involontari’ sono passati dal 9,9% al 14%del totale dei dipendenti.Anche la durata dei contratti a termine influenza il rischio di precarizzazione. Nel 2016, per  quasi due milioni di lavoratori a termine il contratto ha avuto una durata di meno di un anno e per circa mezzo milione inferiore ai 3 mesi.

 

27. La piaga del caporalato. Il ‘caporalato’ è una forma di  reclutamento illecito su cui si innestano forme odiose di sfruttamento. I dati sono inaccettabili: a) ci sono più di 400.000 lavoratori (italiani e sempre più spesso immigrati) di cui oltre 100.000 sono in condizioni di grave sfruttamento e vulnerabilità alloggiativa; b) ci sono più di 80 distretti agricoli a rischio, distribuiti su tutto il territorio nazionale, ma concentrati in modo particolare nel Sud; c) il salario medio giornaliero percepito in nero per circa 10–12 ore di lavoro si aggira tra i 25 euro e i 30 euro; d) sono almeno 10 i lavoratori morti nelle campagne a causa del caporalato nell’estate 2015; e) la stima del gettito contributivo perso ammonta a 600 milioni di euro all’anno.

 

28. Il lavoro delle donne: poco e mal pagato. In Italia meno di una donna su due lavora e la disoccupazione femminile è più alta rispetto alla media europea. Non solo: la retribuzione oraria è inferiore del 12,2% rispetto a quella degli uomini, un dato che addirittura aumenta tra i laureati (-30,6%). Fatto  ancora più grave, il 22% delle madri di nati nel 2009/2010 che hanno lasciato o perso il lavoro dopo la gravidanza. Un dato che si aggrava nel Mezzogiorno (30%), tra le più giovani (47% per le madri con meno di 24 anni, 32% per le 25-29enni) e quelle con basso livello di istruzione (31%). In un paese in cui le ragazze con meno di 30anni hanno un livello di istruzione superiore a quello dei ragazzi e nel quale esiste un gravissimo problema di natalità, la questione del lavoro femminile è cruciale.

 

29. Un sistema educativo che non prepara adeguatamente al lavoro. La scuola e, più in generale, il sistema di formazione, presentano diversi aspetti di criticità: non orientano adeguatamente i nostri giovani; non riescono a ricomporre la distanza fra formazione formalizzata e esperienza lavorativa; non garantiscono occasioni di  formazione permanente, requisito ormai essenziale in un mondo che cambia in fretta e dove si vive più a lungo. 

 

30. Un lavoro pericoloso e malsano. L’ultima denuncia riguarda il rapporto tra lavoro, salute e ambiente. Nel periodo gennaio-novembre 2016 il totale degli infortuni denunciati è stato di 587.599 casi, di cui 935 mortali (82% nell’industria, 13% in agricoltura); nello stesso periodo, le malattie professionali denunciate sono state 55.922 (contro le 58.917 nel corso di tutto il 2015). Senza contare la vasta gamma di patologie somatiche, psicosomatiche e psichiche.I potenziali fattori nocivi legati al lavoro non colpiscono soltanto i lavoratori ma anche il territorio e la comunità circostante, come i casi di Taranto e del Sulcis dimostrano: il rispetto da parte delle imprese dei vincoli di sostenibilità ambientale rimane un obiettivo ancora da raggiungere adeguatamente. La scelta di puntare strategicamente sullo sviluppo responsabile e durevole consente ad un numero crescente di imprese di ottenere interessanti ritorni in termini di reputazione, distintività e redditività economica.

 

5. Le buone pratiche: imparare e diffondere quello che già si fa 

 

31. Per affrontare concretamente i problemi che abbiamo di fronte, la prima cosa da fare, con un atto di umiltà, è imparare da coloro che sono riusciti a vincere la sfida di creare valore economico e buon lavoro.Il raccolto di questo lavoro di ascolto delle buone pratiche è stato abbondante(più di 400 pratiche censite). Ugualmente ricco è stato il numero di Cercatori di lavOro coinvolti nei territori e gli eventi organizzati per presentare, discutere e ragionare sui risultati a livello locale.

32. Nel settore manifatturiero l’identificazione di numerose buone pratiche mette in evidenza come la sfida della competizione globale possa essere vinta puntando sulla qualità e l’innovazione che aumentano la produttività del lavoro ed evitano di dover competere su segmenti di manodopera a basso costo o poco specializzata dove ci sarà sempre qualcuno che potrà pagare meno il lavoro in qualche altra parte del mondo.

33. Tra le buone pratiche abbiamo trovato numerosi casi di consorzi eccellenti che in diversi settori (da quello agricolo a quello manifatturiero o socio-assistenziale) hanno saputo rafforzare la capacità di creare valore dei singoli produttori. Molto interessanti sono anche le realtà di servizio al vasto e molecolare mondo delle imprese artigiane, dalle piattaforme web che offrono servizi fino ai più tradizionali enti bilaterali di miglior qualità che nascono dalle risorse accantonate da ciascun produttore secondo quanto previsto dai contratti nazionali e offrono servizi a tutto il sistema delle imprese.

34. Un altro filone particolarmente promettente è quello degli ‘innovatori enogastronomici’ che valorizzano l’enorme ricchezza del nostro paese (leader nella biodiversità naturale che si traduce naturalmente in ricchezza e diversità di prodotti tipici) puntando sul genius loci dei loro territori.

35. Il nostro paese è leader mondiale come numero di siti considerati patrimonio dell’umanità dall’UNESCO: 53 distribuiti in 17 regioni italiane. Molto rilevante da questo punto di vista la nascita e diffusione di imprese cooperative nel privato che si propongono di sviluppare servizi ed attività di promozione del patrimonio artistico, culturale e naturale dei loro territori contribuendo alla valorizzazione di un bene comune di cui l’intera comunità locale beneficia nel tempo. 

36. In generale, il ruolo delle imprese cooperative è risultato rilevante in molti settori produttivi, soprattutto per la capacità di inclusione di giovani donne immigrate, il coinvolgimento di persone svantaggiate in fragilità nonché la capacità di resilienza nei territori del Mezzogiorno.Le realtà più interessanti non sono quelle che puntano solo sulla logica di solidarietà ma quelle che hanno saputo individuare e valorizzare le qualità e le specifiche e diverse abilità di queste categorie la cui diversa ricchezza è stata fonte di generatività per tutti. Al loro interno particolarmente interessanti le eccellenze che responsabilizzano i detenuti attraverso il lavoro riducendo la recidiva carceraria e generando così rilevanti risparmi per le finanze pubbliche. Tali progetti sono facilmente estendibili e replicabili. Sarebbe assolutamente auspicabile costruire in tale delicatissimo ambito alcune politiche quadro da concretizzare in sperimentazioni pilota nelle quali la riduzione del rischio di ricaduta della singola persona contribuisca, da una parte, a diminuire la spesa pubblica e, dall’altra, ad accrescere le possibilità di investimento. Occorrerebbero politiche e una cornice di riferimenti per potenziare ed estendere su scala nazionale tale progettualità. Infine, occorre ricordare i molti casi nei quali le cooperative sono state lo strumento attraverso il quale imprese in dismissione sono state ‘rigenerate’ e i lavoratori, attraverso operazioni di working buy out, sono diventati gli ‘imprenditori di se stessi’.

37. Una delle caratteristiche distintive emerse dal percorso svolto è la capacità di alcune imprese eccellenti di capire in profondità desideri ed istanze della persona umana, la quale non è solo un consumatore che si propone di massimizzare la propria utilità attraverso l’acquisto di beni e servizi, ma primariamente e soprattutto un cercatore di senso la cui vita può fiorire nella misura in cui diventa generativa (ovvero diventa capace di incidere positivamente sulla propria sorte e su quella di altri esseri umani). 

38. Un altro ambito vivo e vitale è quello che costruisce legami tra istituzioni formative e mondo del lavoro in modo sempre più intelligente e creativo dando contenuti al vastissimo progetto di alternanza scuola-lavoro avviato in Italia. A livello internazionale si riconosce ormai che è soprattutto attraverso attività extracurriculari che si sviluppano quelle competenze utili alla fioritura umana, alla valorizzazione dei talenti e alla realizzazione in ambito lavorativo. In Italia esiste una tradizione molto robusta – in larga parte espressione delle comunità cristiane – di attività che si muovono in questa direzione. Un patrimonio che va riconosciuto come parte integrante di una formazione che mira a formare la  persona.

 

39. Di grande interesse appaiono non solo le simulazioni di attività d’impresa realizzata nelle scuole ma anche e soprattutto le botteghe e le imprese formative, vere e proprie realtà produttive gestite da giovani in alternanza scuola-lavoro che si succedono nel tempo. Importante e promettente anche lo sforzo di istituzioni formative ed imprese che cooperano nella costruzione di corsi e percorsi formativi che facilitano la possibilità di trovare lavoro alla fine degli studi, nel rispetto della funzione della scuola e della formazione che ovviamente non si esaurisce in questo ma consiste nel ‘preparare professionalmente’ anche nel dare al giovane strumenti culturali, di riflessione e discernimento, senso civico e ‘capitale sociale’.

40. Una pista di grande interesse appare quella percorsa da realtà che riescono efficacemente a lavorare sulla rigenerazione urbana superando l’ostacolo della mancanza di domanda pagante. La strada scelta è quella delle concessioni compensative dove le amministrazioni affidano a cittadini, gruppi o associazioni la ristrutturazione di un bene (un immobile, un terreno, ecc.)  ‘remunerandoli’ con la proprietà di una parte dei frutti una volta completata l’opera. Molte, ricche e diverse le esperienze di rigenerazione dei borghi del nostro paese (dall’ospitalità diffusa, al ristorante diffuso, alla ristrutturazione sotto varie forme degli immobili e dei centri storici).

41. Moltissime nel paese sono le esperienze virtuose di conciliazione tra lavoro e famiglia grazie alle opportunità offerte oggi dalla rete che consente di lavorare assieme senza l’obbligo di compresenza spazio-temporale. Grazie a questa opportunità molte imprese private ed istituzioni pubbliche iniziano ad offrire una varietà di orari di lavoro costruiti a misura delle esigenze della persona (es. di madri con figli piccoli che hanno vincoli temporali particolarmente pressanti).

42. In forte crescita (anche grazie alle politiche di defiscalizzazione) appaiono anche le iniziative di welfare aziendale dove i lavoratori possono beneficiare di forme integrative di assistenza sanitaria e/o di previdenza, di finanziamento per la formazione e servizi di benessere di vario tipo. Tali iniziative fanno evidentemente leva su un concetto allargato di benessere e ben-vivere che va oltre l’aumento quantitativo delle remunerazioni.

43. Un altro filone generativo e promettente nel nostro paese è quello di alcune aziende medio-grandi di successo che hanno saputo affermarsi creando valore economico in modo socialmente ed ambientalmente sostenibile e, oltre a costituire un modello in sé, ritengono parte della loro mission il perseguimento di una stretta integrazione con il territorio e le comunità locali. Per questo, molte lavorano per la nascita di cooperative locali ed imprese ibride.

44. In conclusione, ciò che abbiamo imparato dalle raccolta delle buone pratiche è che la speranza non è morta. Al contrario. È chiaro infatti che il successo nella creazione di valore sostenibile e di lavoro di qualità sta nell’investire nella qualità del rapporto con il lavoro. Che a sua volta può contribuire significativamente alla competitività stessa: nella logica dello scambio di doni, una tale modalità collaborativa aumenta la fidelizzazione, le motivazioni intrinseche e la produttività dei dipendenti formando una comunità di lavoro forte e coesa. L’identificazione di questo circolo virtuoso non deve però portarci ad una visione idealizzata della realtà. Essa infatti coesiste assieme a percorsi d’insuccesso dove la qualità nei rapporti di lavoro non sostenuta da una buona idea imprenditoriale e da un vantaggio competitivo porta purtroppo al fallimento dell’attività economica. E coesiste con imprese più o meno irresponsabili che pur sfruttando persona e lavoro sono purtroppo economicamente solide. Ai nostri fini ciò che conta è che soltanto nella prima di queste tre tipologie l’obiettivo che ci interessa può essere raggiunto: la fioritura della vita della persona nella dignità e nella qualità del lavoro orientato al bene comune.

 

6.  La responsabilità della  proposta

 

45. Che cosa si può fare dunque perché l’Italia si muova in questa direzione? Quali proposte possiamo responsabilmente avanzare per coinvolgere le singole persone di buona volontà, la comunità ecclesiale, le parrocchie, le imprese, i territori e, non ultime, le istituzioni? Rimaniamo convinti infatti che per rispondere alla crisi del lavoro sia prima di tutto necessario fare appello a quelle energie spirituali diffuse e disperse che ancora sappiamo però presenti nel nostro Paese.

 

  • Una formazione per la persona che lavora 

 

46. Il nesso tra educazione, formazione e lavoro, da sempre importante, diventa oggiimprescindibile. Per le singole persone e per la stessa economia. Un assetto realmente poliarchico della vita sociale, quale quello auspicato già dalla Caritas in Veritate (2009) e ribadito e affinato nei pronunciamenti magisteriali successivi, può avverarsi solo tramite una migliore sinergia tra le istituzioni della formazione, della ricerca, e dell’impresa, in modo da collocare qualsiasi proposta formativa entro una rete di relazioni in grado di sollecitare in modo non solo sistematico, ma anche simpatetico, accanto all’arricchimento dei saperi, quella disposizione di apertura, di servizio e di auto-riprogettazione propria delle comunità di apprendimento. In questo crocevia di valori, interessi e passioni, sul fronte della formazione, possono trovare ospitalità alcune proposte volte a incoraggiare un cambio di rotta sulla base degli insegnamenti evangelici.

47. Per evitare che una scolarizzazione senza specializzazione crei disoccupazione è necessario l’inserimento di programmi di formazione tecnica e professionale che arricchiscano i curricula scolastici con forme di apprendimento basate sul lavoro, inteso come esperienza formativa fondamentale nella preparazione alla vita adulta. Peraltro, fa  ben sperare che la sperimentazione del sistema duale nella filiera delle istituzioni formative accreditate dalle Regioni stia dando ottimi frutti sul versante dell’integrazione tra sistemi formativi e rafforzamento della capacità di occupazione nei territori.

48. La vera politica attiva del lavoro è rafforzare con adeguati finanziamenti la filiera della formazione professionale, a partire dalla istruzione e formazione professionale fino agli ITS e alla formazione degli adulti. Di fronte alla sfida dell’industria 4.0, ma anche all’arrivo di tanti giovani immigrati, occorre un grande investimento nella formazione professionale, quella in cui si apprende nel lavoro e attraverso il lavoro. L’ampliamento, il consolidamento e la diffusione in tutto il Paese della filiera della formazione professionale deve diventare un pilastro strategico delle politiche e degli investimenti del futuro. Concretamente ciò può voler dire: aggiornare e ampliare il repertorio nazionale delle qualifiche e dei diplomi; incentivare la partecipazione delle scuole e degli enti di formazione professionale ai poli tecnico-professionali; favorire l’alternanza scuola lavoro, anche promuovendo un maggiore coinvolgimento delle parrocchie e delle associazioni cattoliche come soggetti ospitanti per percorsi di alternanza scuola-lavoro; sostenere economicamente gli investimenti in formazione e, nello stesso tempo, offrire l’opportunità di seguire i migliori percorsi formativi, in Italia e all’estero. In sostanza, l’attività di formazione  dei giovani  deve tornare ad essere considerata, anche dalle famiglie, un vero e proprio investimento.

 

49. Dal lato della cultura del lavoro, occorre sostenere (con snellimento dei passaggi burocratici, finanziamenti a fondo perduto o tasso agevolato, no tax area, no contributi previdenziali, ecc.) quelle forme di impresa che si impegnino e riescano a valorizzare nei propri lavoratori e dirigenti, accanto alle competenze tecnico-specialistiche, anche quelle attitudini virtuose (o soft-skills) necessarie per affrontare le sfide delle relazioni interpersonali, della multiculturalità, della flessibilità, della mobilità sociale, dell’innovazione, del rispetto delle regole – un bagaglio di conoscenze ed esperienze umane e professionali che rappresenta sempre più il fattore critico di successo sui mercati globali.

50. Vanno potenziate e meglio qualificate le competenze manageriali, per adeguare ai mutati contesti e qualificare ulteriormente le persone investite di responsabilità dirigenziale in tutti i luoghi di lavoro, privati e pubblici. In alcuni ambiti, in modo particolare, l’integrazione tra competenze specialistiche, abilità manageriali e piattaforme valoriali necessita di un potenziamento al fine di poter superare possibili scissioni tra comportamenti in linea con le regole del mercato e la coerenza identitaria sia della persona sia dell’azienda.

 

  • Creare nuovo  lavoro

51. A partire da quello che abbiamo imparato dalla raccolta delle buone pratiche è possibile individuare tredirezioni fondamentali d’intervento per affrontare l’emergenza lavoro: rimuovere ostacoli per chi il (buon) lavoro lo può creare; invertire la rotta di un sistema che crea la corsa al ribasso sui costi del lavoro e ne distrugge così la dignità; ridare dignità agli scartati e agli esclusi favorendo il loro reinserimento nel mondo del lavoro.

52. Partendo dalla necessità di rimuovere ostacoli per chi il (buon) lavoro lo può creare, occorre ricordare che il lavoro si crea innanzitutto quando una buona idea imprenditoriale genera un nuovo prodotto o servizio che incontra la domanda dei cittadini. È fondamentale pertanto che questo momento creativo sia aiutato e non soffocato. Come sappiamo, gli ostacoli che si frappongono alla creazione di lavoro e di impresa sono molti: tra i più importanti, il carico fiscale e i tempi della giustizia civile.

Un paese che da centralità al lavoro non può tassarlo nel modo in cui accade in Italia. La riduzione del ‘cuneo fiscale’ di cui si parla da anni va al più presto realizzata con risorse che vanno prese da un serio impegno nella riduzione della spesa pubblica improduttiva e la lotta all’evasione.

La lentezza della giustizia civile, vera e propria anomalia italiana, indebolendo lo stato di diritto, riduce l’affidabilità dell’intero paese agli occhi di possibili investitori. Tra mondo dell’economia e mondo del diritto continua a esistere un vero e proprio conflitto culturale che deve essere superato. La riduzione dei tempi della giustizia civile (che frena gli investimenti, la creazione d’impresa aumentandone enormemente i costi attesi) è una priorità da perseguire attraverso direzioni già individuate come telematizzazione, accorpamento delle udienze, de-giurisdizionalizzazione delle cause meno importanti, semplificazione del dispositivo delle sentenze, dissuasione dei giudizi dilatori.

53. La questione della difficoltà dell’accesso a fonti di finanza esterna (credito bancario ma anche capitale di rischio) deriva, invece, dall’oggettiva difficoltà determinata da un modello di banca prevalentemente orientato alla massimizzazione del profitto e dalla conseguente difficoltà di trovare attraente il segmento dei finanziamenti alle piccole imprese e alle imprese artigiane (segmento generalmente in perdita o non certo in grado di generare gli utili chiesti dagli azionisti delle banche per via dei limitati guadagni da interesse e degli alti costi fissi di istruttoria rispetto ai proventi ricavati) nonché dalle regole che spingono in tale direzione. In tale prospettiva, in un’ottica di biodiversità bancaria, è stato importante riconoscere l’esigenza di una riforma partecipata che salvaguardasse la specificità  del credito cooperativo (nato in Italia proprio sulla spinta dell’enciclica Rerum Novarum e geneticamente e strategicamente orientato a servire in via prioritaria le imprese medio-piccole) e il riconoscimento delle banche etiche e non massimizzatrici di profitto.

54. Altrettanto importante è un cambio di approccio della regolamentazione bancaria europea ed internazionale, procedendo nel senso dell’applicazione strutturale del principio di proporzionalità. Oltre a spingere verso l’omologazione delle banche di natura non capitalistica, il peso improprio della normativa penalizza di fatto la competizione nei mercati locali del credito e rischia di indebolire la capacità di finanziamento dell’economia reale da parte delle banche da sempre dedite alla creazione e allo sviluppo delle imprese piccole (e che in Italia assicurano oltre il 90% dei posti di lavoro).

55. Più in generale, la scarsa attenzione alle piccole imprese – che pure sono la parte preponderante del nostro sistema economico e della sua capacità di creare buon lavoro – continua a essere un problema. Negli Stati Uniti, ad esempio, la Small Business Authority esprime  parere vincolante nel processo di valutazione della produzione normativa ovvero nel verificare se una regola burocratica deve e può essere applicata anche alle piccole imprese. Senza entrare nei dettagli, riteniamo che il nostro paese corregga nel prossimo futuro questa sotto-rappresentazione.

56. Nell’attuale sistema economico, la dignità della persona attraverso la qualità del lavoro non ha la stessa centralità del valore per gli azionisti e del benessere del consumatore. In un mondo globale dove le forze dell’automazione e della concorrenza al ribasso dei salari verso i paesi dove il lavoro costa meno, la centralità dei consumi e dei risparmi offre ai cittadini la possibilità di usare lo strumento del ‘voto col portafoglio’ per valutare il valore di un bene e servizio in termini di dignità del lavoro e tutela dell’ambiente. Nel settore ambientale questa via ha già dimostrato la sua efficacia. Noi auspichiamo un percorso simile in materia di dignità del lavoro. Attraverso lo sviluppo nei prossimi anni di una metrica sempre più in grado di misurare la qualità del lavoro, di comunicare le informazioni ai cittadini dando loro la possibilità di votare con le loro scelte a favore del bene comune e della dignità della persona.

57. Anche lo Stato ‘vota col portafoglio’ nel momento in cui, ad esempio, seleziona i vincitori delle gare d’appalto. A questo proposito pensiamo sia assolutamente miope e contrario alla tutela e alla salvaguardia della dignità del lavoro usare come unico criterio quello del massimo ribasso di prezzo, ribasso che costringe di fatto le imprese ad avvilire il lavoro, a fornire servizi di qualità scadente o finisce paradossalmente col favorire le organizzazioni criminali che hanno costi di finanziamento minori (mediante forme di riciclaggio anche sofisticate di denaro proveniente da attività illecite) e/o organizzazioni che eludono il fisco riducendo i propri costi. Proprio in un’ottica di voto col portafoglio attento alla dignità del lavoro, lo Stato e le amministrazioni locali non possono non tener conto con elementi premiali della responsabilità sociale, ambientale e fiscale delle imprese concorrenti all’appalto.

58. In una fase storica caratterizzata da profonde trasformazioni e ferite, un pilastro fondamentale nelle politiche economiche è quello di una strategia per rimettere in pista gli scartati e gli esclusi sempre più numerosi nel nostro paese. L’Italia, come accade per ogni altro paese ad alto reddito, deve avere una sua rete di protezione universale (evitando come in passato privilegi a macchia di leopardo validi solo per alcune categorie). I principi della dottrina sociale, che sottolineano come la dignità della persona non sta nel ricevere ma nel dare, chiedono che tale rete non sia passiva ma punti fortemente all’inclusione nella rete sociale e produttiva attraverso la relazione e la presa in carico da parte delle organizzazioni locali di società civile. Riteniamo infatti che la cura della relazione e della prossimità possa avere un ruolo complementare ma essenziale per restituire dignità e capacità agli esclusi, le cui ferite hanno spesso radici relazionali. È altresì ben noto che misure di sostegno sono spesso oggetto di abusi. Per questo motivo diventa essenziale affiancarle ad un monitoraggio e ad una valutazione d’impatto in modo da minimizzare il rischio di falsi beneficiari e di massimizzare le possibilità di reinserimento nel mondo del lavoro.

 

  • Nuovi  modelli di vita e di lavoro 

 

59. Gli scenari e le previsioni circa lo spiazzamento dei posti di lavoro da parte dei robot sono incerti e a volte molto pessimistici. Certo è che la quarta rivoluzione industriale ormai arrivata non va demonizzata o ostacolata, ma accompagnata. Gli esseri umani sono molto più creativi di quanto pensiamo e ci saranno sempre lavori nuovi. Perché il lavoro è espressione di mutuo vantaggio: fare qualcosa che serve a qualcun altro. E con nuovi bisogni, cresceranno anche nuovi lavori – magari per progettare, realizzare, fare manutenzione e programmazione delle nuove macchine e dei nuovi robot. Tutto questo però non è automatico né immediato. Il passaggio al futuro rimane pieno di incognite. Soprattutto rimane alta la possibilità che siano i più deboli a pagare i costi di un adattamento che non sarà facile.

60. Nel nuovo scenario cambiano le stesse forme di lavoro. Attraverso il lavoro organizzato direttamente da una piattaforma digitale (crowd work), un lavoratore da una qualsiasi parte del mondo è in grado di lavorare a favore di persone e imprese grazie alle commesse della piattaforma virtuale a cui è connesso. Questo tipo di attività lavorativa è privo di tutela e non rientra negli schemi giuridici del diritto del lavoro novecentesco. Per tale ragione, si pongono interrogativi in ordine agli standard minimi di tutela di questo tipo di lavoratori. Anzitutto il diritto a un compenso minimo dignitoso; in secondo luogo, prevedere garanzie per la sicurezza; infine, pensare e stabilire criteri in base a cui la piattaforma distribuisce le commesse. 

61. Occorre dunque pensare soluzioni legislative nuove in grado di cogliere le specificità di questo nuovo tipo di lavoratore che non è né quello subordinato, né quello autonomo né quello parasubordinato. Come è stato evidenziato dalla giurisprudenza inglese sul caso Uber, i lavoratori della nuova era sconfinano dagli schemi giuridici tradizionali perché la rivoluzione tecnologica ha messo in crisi le categorie su cui essi si sono retti. E così, il giudice ha concluso che questi lavoratori sono innanzitutto semplicemente lavoratori (workers) e non occupati (employees) cioè dipendenti. L’obiettivo deve essere quello di garantire a questi lavoratori la possibilità di esercitare gli stessi diritti sindacali già riconosciuti agli altri lavoratori, a partire dalla facoltà di costituire rappresentanze sindacali nei luoghi di lavoro, con funzioni anche contrattuali e di esercitare i propri diritti (sciopero compreso) senza che a tale esercizio possano seguire comportamenti discriminatori e punitivi. Le particolarità delle prestazioni lavorative (discontinuità, saltuarietà, occasionalità, ecc.) richiedono, più in generale, alcuni correttivi alla disciplina vigente, ad esempioestendendo la disciplina in materia di somministrazione di lavoro e qualificando la piattaforma digitale quale agenzia di somministrazione e l’esercente che utilizza il servizio del lavoratore quale utilizzatore.Infine, si tratta di creare strumenti di tutela in caso di disoccupazione involontaria, malattia e maternità, trattamento pensionistico, soprattutto qualora l’attività si configura come la sola fonte di guadagno.

62. Con il lavoro “agile”, il lavoratore si collega ad una postazione virtuale all’interno dell’azienda e svolge attività di lavoro da remoto. Il lavoro agile non è semplicemente lavorare a casa, ma consiste nell’orientare la prestazione al risultato e non ‘al tempo’, garantire che il lavoratore cresca nella conoscenza, proteggere il professionista indipendente. Questo tipo di lavoro è già stato regolato da un disegno di legge approvato nel 2017. Tuttavia è disciplinato nell’antico alveo del lavoro subordinato. Andrebbero invece disciplinati i tempi di lavoro per permettere al lavoratore di ‘disconnettersi’, regolata la sicurezza – anche con riferimento all’infortunio c.d. in itinere – disegnata per il lavoro subordinato e prevista la compatibilità del trattamento economico stabilito dall’attuale contrattazione collettiva all’attività lavorativa.    

63. Cogliere la sfida della quarta rivoluzione industriale – che crea rapporti verticali e orizzontali di lavoro, lo spazio e i tempi di lavoro – significa ripensare, anche dentro la fabbrica e i luoghi di lavoro, le tutele del diritto del lavoro di stampo fordista o post-fordista e favorire la contrattazione aziendale (la forma più ‘prossima’ alla vita del lavoratore) rispetto alla contrattazione nazionale. A questo riguardo, occorre  superare il binomio costituito dalle Rappresentanze sindacali aziendali (Rsa) e le Rappresentanze sindacali unitarie (Rsu), riformando l’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori (la legge n.300 del 1970) per poter selezionare i soggetti sindacali abilitati alla contrattazione di prossimità e garantire una disciplina che renda vincolante il contratto aziendale. La rappresentanza dei lavoratori, sul modello francese e tedesco, deve realizzare un ruolo di rappresentanza esclusiva e basata sul criterio della maggioranza, con poteri specifici di negoziazione, che sia sostenuto anche dalla norma di legge.

64. Più in generale, le questioni  poste dalla robotizzazione e dallo sviluppo della‘Intelligenza artificiale’ ci interrogano su quale sia la specifica componente e qualità umana del lavoro rispetto a quelle meccaniche: la storia insegna che non è l’energia, non è la velocità e, ora, che anche la cognizione e l’adattabilità alla situazione non sono specifiche solamente umane. Vale qui l’adagio latino primum non nocere. Sappiamo infatti che la realizzazione di tecnologie controllate da sistemi di intelligenza artificiale porta con sé una serie di problemi legati alla gestione dell’autonomia decisionale di cui questi apparati godono. La capacità dei robot di mutare il loro comportamento in base alle condizioni in cui operano, per analogia con l’essere umano, viene definita autonomia. Quando si usa tale termine con riferimento al mondo della robotica si vuole intendere il funzionamento di sistemi di intelligenza artificiale, la cui programmazione li rende in grado di adattare il loro comportamento in base alle circostanze in cui si trovano ad operare. Si tratta allora di sviluppare algoritmi di verifica indipendenti (cioè, affidati ad enti terzi certificatori)che, quantificando e certificando questa capacità di intuizione, intelligibilità, adattabilità e adeguatezza degli obiettivi del robot, tutelino la persona e il suo valore negli ambienti misti uomo-robot

65. Ugualmente importante èpromuovere strumenti analoghi a quanto già in essere per la libera circolazione dei beni nel mercato comune europeo tenuti al rispetto di determinati requisiti di sicurezza attraverso la marcatura CE di conformità (rilasciata dal fabbricante o certificata da un organismo verificatore ufficiale). Non si tratta semplicemente di fare controlli sulla sicurezza di installazione e delle condizioni operative delle macchine ma di garantire che la componente autonoma di questi nuovi artefatti intelligenti rispetti sempre e in ogni condizione le direttive etiche fondamentali. Ciò di cui c’è bisogno sono algoritmi che sappiano valutare l’adeguatezza delle intelligenze artificiali destinate a coesistere e cooperare con il lavoratore umano. 

66. Sotto questo profilo, la recente riforma del Terzo settore e dell’impresa sociale apre un capitolo molto importante: la sfida culturale e antropologica sottesa all’idea di un mercato sociale e civile è al centro del nostro futuro economico e sociale. Molti dei nuovi lavori del futuro origineranno in questo comparto. Tale tendenza deve suggerire una riflessione sul tipo di formazione, di contrattazione di lavoro, dei criteri utilizzati in relazione ai rapporti umani implicati.

67. Da questo punto di vista occorre finora considerare che la trasformazione in corso comporterà una ridefinizione dei confini stessi del lavoro. Una proposta in tal senso è quella di configurare un nuovo modo di concepire il lavoro full time, diminuendo le ore di lavoro per investirle nella cura – intesa come assistenza, il prendersi cura – dei bambini, degli anziani, dei più deboli, in famiglia e nei quartieri e nelle comunità di riferimento, e per la coltivazione delle relazioni e della propria umanità. L’idea sottostante questo nuovo modo di concepire il lavoro è che una persona non è pienamente umana se non sa prendersi cura degli altri. Un tempo di lavoro ridotto e una maggiore capacità di cura a favore di chi ne ha bisogno permetterebbero allo Stato di risparmiare in alcune spese di assistenza, e la riduzione dell’orario di lavoro, reso possibile dallo sviluppo delle nuove tecnologie, permetterebbe a più persone di lavorare. Le imprese sociali potrebbero fare da start up in questa intrapresa che è prima di tutto culturale. Ripartire le attività di cura nella collettività, come parte integrante del lavoro permetterebbe anche uno sguardo nuovo sul lavoro femminile e di chi ha meno possibilità. 

68. Un cambiamento così importante nel modo di intendere il lavoro e la cura è uno di quei processi che richiedono proteste e conquiste collettive. È un dono all’intera società che oggi può venire principalmente, e forse esclusivamente, da voci di donna. Sì, perché tradizionalmente il ruolo della cura è stato attribuito alle donne, che oggi, se vogliono lavorare, devono dividersi, a volte in maniera estenuante e non sostenibile tra lavoro e attività di cura. Ma se la cura è una dimensione essenziale dell’essere umano, e non si è pienamente umani se non ci si prende cura degli altri (anche pulire una stanza è prendersi cura di chi dovrà abitarla), allora tutti dovremmo diventarne più consapevoli. Ritroveremo un nuovo rapporto con il lavoro, se troveremo un nuovo rapporto con la cura, uomini e donne insieme. 

 

7. Per un’Europa del lavoro

 

69. Come una bassa marea, la crisi ha fatto incagliare moltissime barche (ovvero ha mandato in crisi moltissime imprese) distruggendo molti posti di lavoro. Per questo, al di là di quanto è necessario fare per ogni singola impresa e territorio, è fondamentale capire in che modo è possibile far tornate a salire il mare, così che tutte le imbarcazioni possano tornare a navigare. Non possiamo dunque non guardare all’Europa perché è lì che molte delle iniziative in grado di rialzare il livello del mare e riportare in acqua tutte le barche si possono realizzare. 

70. L’Eurozona è oggi ancora bloccata in mezzo al guado. Una serie di soluzioni tecniche che renderebbero l’Unione molto più solida sono pronte sul tavolo ma non vengono adottate per mancanza di fiducia da una parte e mancanza di affidabilità dall’altra. Non si tratta di procedere verso innaturali fusioni che rinneghino le identità e le specificità nazionali, ma di fare massa critica su alcuni ambiti decisivi come possono essere quello finanziario, della difesa e delle scelte di politica internazionale.

71. Le recenti sentenze nazionali ed europee in materia di elusione fiscale a favore degli stati nazionali evidenziano un ‘peccato originale’ dell’Unione Europea che ne rappresenta anche uno dei principali fattori di debolezza. L’Unione Europea impone allo stesso tempo una severa disciplina fiscale chiedendo ai paesi membri di muovere verso il pareggio strutturale di bilancio, ma insieme consente agli stessi paesi membri di porre in atto misure di concorrenza fiscale aggressiva ‘sleali’ che finiscono per favorire pratiche di elusione fiscale delle imprese transnazionali sottraendo risorse per la finanza pubblica dai paesi dove effettivamente le imprese svolgono la loro attività produttiva. Se vogliamo avere un’Unione Europea forte, questo peccato di origine va emendato attraverso un percorso di armonizzazione fiscale che ‘europeizzi’ il motto ‘pagare meno pagare tutti’. L’obiettivo di tale armonizzazione fiscale dovrebbe essere quello di una convergenza verso un’aliquota unica (o uno spettro di aliquote molto stretto) più bassa di quelle attualmente adottate nei paesi con peso fiscale maggiore e sicuramente più alta di quella in paesi che adottano concorrenza fiscale aggressiva. Eliminando una volta per tutte i ‘paradisi fiscali interni’ che non hanno ragione di esistere e minano la solidità finanziaria dell’Unione.

72. Una seconda priorità riguarda l’apertura di una nuova stagione di investimenti. Affinché ci sia compatibilità con il vincolo del bilancio pubblico e gli investimenti pubblici non aumentino il debito pubblico, è necessario riqualificare la spesa e puntare su investimenti a moltiplicatore maggiore di uno. O, più specificamente, su investimenti che producono una crescita dell’economia tale da generare un prelievo fiscale che compensi la spesa iniziale. Ugualmente efficaci possono essere agevolazioni pubbliche mirate a forme specifiche di investimento ed attività privata. La storia recente dimostra che la riqualificazione energetica del patrimonio edilizio favorita da detrazioni fiscali ha stimolato l’attività economica al punto che è stato possibile compensare, con il prelievo fiscale generato, l’esborso pubblico dell’incentivo. Altrettanto efficaci sono stati i fondi impiegati con il super-ammortamento per favorire il rilancio degli investimenti. L’Unione Europea può e deve essere più coraggiosa nel varare un piano d’investimenti pubblici e di agevolazioni mirate di questo genere, se necessario scorporandole dal patto di stabilità. La fedeltà cieca al Fiscal Compact, le cui regole sono violate da moltissimi paesi, è oggi di ostacolo al perseguimento di quest’obiettivo. È necessario pertanto costruire una nuova strategia che mantenga l’orientamento alla disciplina di bilancio e alla graduale riduzione del debito facendo però attenzione in parallelo al problema della tenuta sociale.   

73. La terza priorità ha a che fare con l’obiettivo della piena occupazione. Come è noto, la Banca Centrale Europea ha come obiettivo statutario quello della stabilità dei prezzi che devono tendere ma non superare il 2%. Non si parla della questione occupazionale, che rimane un obiettivo ‘implicito’. Di fronte a questa situazione, il governatore della Banca Centrale Europea ha coraggiosamente sollevato la questione della disoccupazione, segnalandolo come emergenza principale dell’Unione Europea. È ora di chiedere all’Unione Europea un cambiamento di statuto  della BCE così da affiancare esplicitamente – come avviene ad esempio negli statuti della Federal Reserve Americana e della Bank of England – all’obiettivo del contenimento della dinamica dei prezzi quello della riduzione della disoccupazione. In concreto, un accento prioritario alla dignità della persona e del lavoro significa saper usare le leve della politica monetaria per ridurre la spesa per interessi che finisce per creare sempre nuovo debito.

 

 

8. Oltre Cagliari, una sfida entusiasmante  

 

74. L’impegno per la nuova centralità del lavoro non finisce a Cagliari. L’entusiasmo suscitato da  questo percorso (con i suoi risultati in termini di fertilizzazione incrociata di idee, riproducibilità delle stesse per la creazione e la promozione della dignità del lavoro, messa in movimento e partecipazione delle componenti più sensibili del nostro tessuto sociale) rappresenta lo stimolo  più convincente a proseguire il lavoro cominciato. Denuncia, ascolto, raccolta di buone pratiche, proposta possono così diventare lo spartito di una azione diffusa e quotidiana  che in tanti, nelle diverse comunità, potranno da ora in avanti suonare. Riteniamo più specificamente che è possibile avviare, a partire ed imparando dall’esperienza dei Cercatori di LavOro, una nuova stagione di progresso nella partecipazione e cittadinanza. Su questa strada intendiamo avviare una metodologia di accompagnamento, registrazione e valutazione d’impatto dei progressi prossimi venturi di amministrazioni, imprese e istituzioni formative che realizzi al contempo due obiettivi: il proseguimento della moltiplicazione e diffusione delle buone pratiche ed una forma di partecipazione ed apprendimento che coinvolga parti sempre più vaste di cittadinanza attiva del paese. Intendiamo in questo senso il camminare tutti insieme in una sinfonia, come ci dice papa Francesco:“sinfonia, che vuol dire accordo, armonia, diversi strumenti suonano insieme; ognuno mantiene il suo timbro inconfondibile e le sue caratteristiche di suono si accordano su qualcosa di comune. Poi c’è chi guida, il direttore, e nella sinfonia che viene eseguita tutti suonano insieme in ‘armonia’, ma non viene cancellato il timbro di ogni strumento; la peculiarità di ciascuno, anzi, è valorizzata al massimo!” (Udienza del 9 ottobre 2013, n. 3).

 

75. Sulla realtà del lavoro si gioca il futuro di una società ed anche la responsabilità dei cattolici nella costruzione del bene comune. La Settimana Sociale di Cagliari ci stimola ad abbandonare gli idoli del nostro tempo che sono il consumo e la massimizzazione del profitto. “Se svendiamo il lavoro al consumo, con il lavoro presto svenderemo anche tutte queste sue parole sorelle: dignità, rispetto, onore, libertà. Non dobbiamo permetterlo, e dobbiamo continuare a chiedere il lavoro, a generarlo, a stimarlo, ad amarlo. Anche a pregarlo: molte delle preghiere più belle dei nostri genitori e nonni erano preghiere del lavoro, imparate e recitate prima, dopo e durante il lavoro” (Francesco, Discorsoall’Ilva di Genova, 27 maggio 2017).  

Il lavoro e la custodia del creato costituiscono delle frontiere avanzate della nuova evangelizzazione e aprono il dialogo con le diverse tradizioni culturali del nostro Paese. Questo è il terreno dove occorre dare risposte a problemi reali della nostra società come nel passato hanno fatto le Settimane Sociali dei Cattolici Italiani, fondate cento e dieci anni fa dal Beato Giuseppe Toniolo. Questo, riprendendo il dettato della Costituzione e della Dottrina Sociale della Chiesa, è uno dei punti più decisivi attorno a cui si può sviluppare una rinnovata rilevanza pubblica dei cattolici in It

 

* Mons. Filippo SantoroResponsabile per il Comitato Scientifico e Organizzatore  delle Settimane Sociali dei Cattolici Italiani

 

* Mons. Filippo SantoroResponsabile per il Comitato Scientifico e Organizzatore  delle Settimane Sociali dei Cattolici Italiani

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