Nelle ultime settimane i rapporti politici tra il governo Meloni e l’Unione Europea sono diventati piuttosto difficili, al punto che, su una serie di problemi, si sono manifestati ritardi, incomprensioni, conflitti e procedimenti di infrazione. Per comprendere le vere ragioni di tale anomalo rapporto, è necessario cogliere la vera sostanza del problema. Per una particolare contraddizione, che può interessare anche la politica, sta succedendo che la parte di gran lunga più consistente del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), nella misura di oltre 200 miliardi di euro, venga gestito dal governo italiano, guidato da Giorgia Meloni, che è anche presidente del gruppo europeo dei Conservatori riformisti, di impostazione euroscettica, che si rifà alla tradizione gollista dell’Europa delle patrie e si oppone al trasferimento di sovranità dagli Stati nazionali all’Ue. Ora il PNRR, nato dalla scelta innovativa di dar vita a un debito comune europeo, frutto di una maggiore sovranità dell’Ue in campo economico, rappresenta l’esatto contrario dell’Europa come prefigurata dal governo italiano di destra. Ciò ha provocato una evidente diversità nella gestione del Pnrr tra il governo Meloni e quello Draghi, nel senso che il nuovo governo ha, fin dall’inizio, richiesto di rivedere il piano nei diversi aspetti dei contenuti, riforme relative e governance. Mentre l’Ue ha difeso il progetto deciso con il governo Draghi, la gestione Meloni si è caratterizzata da limiti e ritardi fino a mettere in forse l’erogazione, da parte dell’Ue, della terza rata di finanziamento e, in prospettiva, la realizzazione dello stesso Pnrr o di una sua parte Negli ultimi tempi, l’Ue, evidentemente preoccupata della sorte del Piano, soprattutto tramite il commissario Gentiloni, ha aperto una disponibilità alla discussione, con la quale il governo italiano vuole aprire un confronto generale fino a ridefinire tutti i diversi aspetti del problema. Ma al di là del Pnrr i rapporti tra il governo italiano e l’Ue rimangono complicati, con punte di conflittualità, per effetto di un atteggiamento improntato più a rivendicazione che a partecipazione responsabile del primo. Mentre l’esercizio delle responsabilità di governo ha indotto la premier Meloni ad un rapporto con l’Europa più pragmatico e realista, siamo ancora molto lontani da un ruolo di un Paese che rimane tra i fondatori del progetto europeo. Per questo i diversi dossier sull’attuazione delle riforme collegate al Pnrr (concorrenza, energia, giustizia, fisco), sulla gestione dei migranti, la ratifica del Mes, i progetti sulla riduzione delle emissioni future su auto e casa verde, il riutilizzo degli altri fondi Ue, rappresentano altrettante parti di un contenzioso aperto e di segno chiaramente politico. Nonostante siano passati i tempi dello scontro ideologico diretto, non c’è dubbio che l’insieme di queste posizioni hanno come effetto una progressiva perdita di credibilità e di ruolo dell’Italia, con relativo isolamento politico. Mentre lo stesso tentativo della premier di interpretare tale conflitto in termini di maggior ruolo europeo dell’Italia, manifesta tutto il suo carattere propagandistico. In ogni caso, Meloni appare convinta che è possibile mutare l’identità politica dell’Ue, trasformandola in una aggregazione di centrodestra che si propone il più modesto obiettivo di organizzare una serie di ambiti di collaborazione tra gli Stati membri senza intaccare la loro piena sovranità. In tal senso l’Italia ha avviato una serie di contatti con il Ppe e con Ungheria e Polonia (Orban e Morawiecki) finalizzati a determinare una svolta politica radicale nelle prossime elezioni europee del 2024, con una nuova maggioranza di centrodestra e l’emarginazione dei socialdemocratici dal governo europeo. Appare fin troppo chiaro che l’insieme dei diversi aspetti di questo quadro manifesta un serio pericolo di un ridimensionamento strutturale del ruolo dell’Ue fino a far sparire la sua prospettiva di diventare nuovo soggetto politico globale che partecipa assieme alle altre grandi potenze a ridefinire i nuovi equilibri della politica mondiale. Una prospettiva che renderebbe più incerta ed oscura l’evoluzione politica italiana e globale nei prossimi decenni e che quindi va combattuta con tutte le forze disponibili. In tal senso risulta illuminante la persistente lezione europea del Presidente Mattarella, cha ha pronunciato parole di grande spessore culturale e politico durante il suo recente viaggio in Polonia e ad Auschwitz. Tra le possibili opposizioni, un ruolo rilevante spetta innanzitutto al Pd, nella misura in cui vuole incarnare concretamente una alternativa credibile all’attuale governo di destra. Il Pd è sempre stato un partito coerentemente europeo, ma la situazione attuale del Paese, con i pericoli incombenti, richiede un supplemento di impegno. Il corretto punto di partenza da assumere è la costruzione di un’Europa federale come scelta strategica per inserire l’Italia nell’unico ruolo protagonista nella costruzione del mondo di domani. L’Europa rappresenta per noi la strada più sicura per costruire un futuro fondato sui diritti di libertà, democrazia e benessere, mentre essa rimane una contraddizione insanabile per la linea nazionalistico-populista del governo Meloni. Il Pd dovrebbe perciò essere il principale protagonista di questo processo, assumendo fino in fondo l’Europa federale come parte essenziale della propria identità strategica e conducendo per questo obiettivo una forte battaglia politica sui diversi fronti nei quali si concretizza il problema europeo. Dall’impegno per una applicazione dell’intero PNRR senza incomprensibili rinunce ad un inserimento dei migranti nel nostro sistema produttivo e sociale. Dal recupero di una credibile coerenza e responsabilità nel rapporto con l’Ue, dal Mes al Patto di stabilità, recuperando il ruolo storico dell’Italia come Paese fondatore. In tal modo il Pd renderebbe più forte ed efficace il suo ruolo di opposizione, consolidando, allo stesso tempo, la sua identità strategica e la sua unità interna. L’impegno europeo può rappresentare, per Elly Schlein, una grande opportunità, da non disperdere.
Una grande impresa, le 35 ore, la gestione della mobilità del lavoro
Il Censis ha sempre avuto vista lunga. Quest’anno ci annuncia che l’Italia è un Paese che