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Il quadro giuridico sottostante al welfare aziendale

Il Welfare aziendale è tema complesso sotto il profilo sia giuridico che sociale. Premessa la sua connotazione di rilevanza sociale di portata anche parzialmente sussidiaria dello stato sociale, in quanto erogazione in natura o rimborso spese di prestazioni, opere o servizi a favore del lavoratore subordinato, la loro esclusione dal reddito dipendente è passata nel tempo attraverso un sistema normativo articolato. 

Partendo da specifiche disposizioni legislative, nell’ambito di tale sistema – quando vengono a mancare la volontarietà datoriale ovvero il Regolamento aziendale – è rimessa alla contrattazione collettiva non solo aziendale o territoriale la messa a punto dei benefits suscettibili di detassazione e/o decontribuzione. Notevole, quindi, il ruolo assegnato ai rappresentanti dei lavoratori, coinvolti nelle dinamiche dell’organizzazione aziendale e interpreti delle loro esigenze anche di vita. Non devono, infatti, sfuggire le significative novità introdotte con la legge di bilancio 2017 n. 232/2016, art. 1, nuovo comma 184-bis della legge n. 218/2015, novità che prevedono la possibilità di destinare i contributi alle forme pensionistiche complementari, all’assistenza sanitaria integrativa, nonché all’acquisizione delle azioni societarie; in tutti e tre i casi anche oltre i limiti delle esenzioni. Il tema è stato già ampiamente trattato nella Newsletter N.L. n.189/2017, cui si rinvia per i dettagli e le altre misure in chiave di promozione welfare, con riferimento anche a taluni limiti quantitativi e, in particolare, ai contributi e premi versati dal datore di lavoro a favore della generalità dei dipendenti o categorie di dipendenti per il rischio della non autosufficienza nella vita quotidiana e per quello di gravi patologie v. anche D.M.  Ministro del lavoro 27/10/2009). 

Nell’occasione, si rinvia altresì alla Newsletter N.L. n. 177/2016, che informa circa le novità ex legge di stabilità 2016, tra cui la connessione della retribuzione agevolativa non più alla retribuzione di produttività, ma ad un compenso aggiuntivo, con il commento della circ. n. 28/E, emanata il 15 giugno   2016 dall’Agenzia delle Entrate di concerto con il Ministero del lavoro, che tratta minutamente del welfare aziendale, dettando anche le modalità applicative delle agevolazioni con le relative condizioni riferite, altresì, alla contrattazione collettiva. Tra le fonti citate è da ribadire la rilevanza anche del decreto interministeriale (Ministero del lavoro e Ministero Economia e Finanze) del 25/03/2016, che definisce in maniera rigorosa i criteri per la determinazione dei premi di risultato, misurabili secondo determinati parametri rimessi alla contrattazione collettiva anche nazionale. Di interesse nello stesso provvedimento è la condizione per usufruire del welfare legata ai documenti di legittimazione, che, tra l’altro, devono essere nominativi, non cedibili, né monetizzabili. 

Sempre sul tema del quadro giuridico di riferimento, fermo restando gli aggiornamenti di cui sopra introdotti mediante le leggi di stabilità 2016 e 2017- aggiornamenti funzionali alla promozione del welfare aziendale- le disposizioni basilari sono costituite dall’art. 51 e dall’art.100 del Tuir n. 917/ 86. L’art. 100 rileva, in verità, soltanto per il richiamo contenuto nell’art. 51, comma 2, lett.f) alle finalità sociali proprie dell’educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto, sulle quali si ritornerà in prosieguo, per altri profili.

E’ l’art.51 a prevedere, infatti, al citato comma 2, lett.f) l’esclusione dalla base imponibile di ”l’ utilizzazione di opere e servizi offerti dal datore di lavoro riconosciuti volontariamente o sulla base di accordi collettivi o in conformità a disposizioni contratto o di accordo o di regolamento aziendale, alla generalità dei dipendenti o di categorie di dipendenti o ai familiari per le finalità di utilità sociale……”(modifica ex legge n. 218/2015 già citata, con possibilità di previsione anche da CCNL, secondo la legge di bilancio 2017 n. 232/2016).               

Ancora, l’art. 51 aggiornato comprende una serie di servizi e beni, le cui voci di spesa sono rimborsabili, con esenzione fiscale e contributiva senza alcun limite, ad eccezione degli interessi su prestiti, il cui limite è pari al 90% della differenza tra tur e tasso e dei beni e servizi in natura, che rientrano nel piano welfare, se l’importo non supera il limite di euro 258,23. Rimane, tuttavia, ferma la specificità dei buoni pasto.

La serie dei cosiddetti flexible benefits è ampia, comprendendo, oltre quelli già richiamati introdotti dalle leggi di stabilità 2016 e 2017, voci che vanno dalle specificazioni degli interventi di utilità sociale ex art. 100(quali, lingue, informatica, rette asilo, scuola in genere borse di studio, Università, spese sanitarie, baby sitter, viaggi, teatro), ai servizi di trasporto collettivo, senza voler esaurire alcuna casistica.

         E da ribadire, ancora, come con la legge di stabilità 2016 sia avvenuta l’estensione ai familiari indicati nell’art. 12 del Tuir, alle condizioni ivi riportate, dell’erogazione dei servizi di educazione e istruzione anche in età prescolare, compresi i servizi integrativi e di mensa connessi, nonché per la frequenza di ludoteche e di centri estivi e invernali e per borse di studio. Grazie alla stessa legge, analoga estensione vale anche per le non autosufficienze.   

          Un restyling all’art 51 è intervenuto anche ad opera della legge di bilancio 2018 n° 205/2017 nel secondo comma, lett.d-bis in materia di abbonamenti per trasporto pubblico locale, regionale e interregionale a favore sia dei dipendenti che dei familiari con redditi bassi.

           Nell’ambito del complesso ordinamento all’esame, che ruota intorno all’art. 51 più volte rivisitato dalle leggi di stabilità 2016/2017, in funzione, come già detto, della promozione della produttività e del welfare aziendale, l’art. 100 Tuir attiene più propriamente al reddito di impresa, dal quale gli oneri di utilità sociale prima richiamati (educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e culto) sono deducibili al 100%. La deducibilità è pari, invece, al 5 per mille nell’ipotesi di prestazioni volontarie da parte del datore di lavoro, non già, quindi, nel rispetto di specifici obblighi negoziali da appositi accordi ovvero sulla base di regolamento aziendale.

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