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Welfare contrattuale nei programmi elettorali

In questo articolo approfondiamo il tema del welfare aziendale e contrattuale.

Come noto, al suo recente sviluppo ha impresso un significativo impulso l’adozione, nel corso dell’ultima legislatura, di alcuni provvedimenti legislativi che – definendo un quadro normativo e fiscale particolarmente vantaggioso – hanno contribuito a farne un elemento sempre più rilevante nel campo delle Relazioni Industriali e, più in generale, nel complessivo processo di riconfigurazione del nostro sistema di protezione sociale. Come approfondito nel Capitolo 4 del Terzo Rapporto sul secondo welfare, gli interventi più significativi adottati dal Parlamento della XVII legislatura sono state le modifiche apportate al Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR) in occasione delle Leggi di Stabilità per il 2016 e il 2017.

Attraverso tali misure il legislatore ha incoraggiato la partecipazione delle parti sociali al processo di negoziazione dei benefit di welfare, ha cercato di rendere il welfare aziendale maggiormente attrattivo correlandolo alle dinamiche riguardanti gli incrementi della produttività e ha aggiornato la normativa introducendo prestazioni destinate a proteggere i lavoratori dai nuovi rischi sociali (con riferimento particolare ai bisogni legati alla genitorialità e alla non autosufficienza), oltre a prevedere l’utilizzo di “voucher welfare” per i servizi offerti dall’impresa. 

In particolare, grazie all’introduzione di alcune nuove disposizioni all’interno dell’articolo 51 del TUIR, è stata ampliata la possibilità di realizzare nuove policy aziendali in risposta alle necessità di work-life balance di quella “generazione sandwich” che si trova sempre più schiacciata tra complessità legate alla dimensione genitoriale e quelle legate alla cura di familiari anziani.

In assenza di analisi sistematiche su base nazionale, le poche informazioni a disposizione segnalano in maniera convergente una crescita del fenomeno. I dati diffusi dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali fra luglio 2016 e maggio 2017 segnalavano un costante incremento degli accordi sui premi di produttività che prevedevano misure di welfare sul totale delle dichiarazioni registrate, senza tuttavia consentire si stimarne il peso rispetto agli accordi effettivamente attivi nel singolo periodo considerato. Da giugno 2017, i comunicati diramati mensilmente dal Ministero consentono invece di concentrare l’attenzione sugli accordi attivi. Secondo i dati aggiornati a febbraio 2018 risultano attivi 8.899 contratti aziendali e territoriali che regolamentano il Premio di produttività: il 41% (3.645) prevede la possibilità per i lavoratori di ricevere l’importo del Premio sotto forma di misure di welfare, in netta crescita rispetto al 28% registrato a giugno 2017 (cfr. figura 1).


Figura 1. Contrattazione di secondo livello, premi di produttività e welfare: andamento degli accordi (luglio 2016-febbraio 2018)


Fonte: elaborazione degli autori su dati diffusi dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali
Nota: solo a partire dalla rilevazione di giugno 2017 il Ministero distingue il numero totale degli Accordi (aziendali e territoriali) depositati presso il Ministero stesso e il numero di quelli ancora effettivamente attivi


Più in generale, sembra crescere la contrattazione di secondo livello e il suo ruolo nel campo della protezione sociale, come documentato dall’Osservatorio sulla Contrattazione di Secondo Livello (OCSEL) di Cisl che si occupa di raccogliere, analizzare e studiare gli accordi integrativi e di rinnovo aziendali sottoscritti a ogni livello: secondo OCSEL, tra il 2014 e il 2016 la presenza di strumenti di welfare aziendale all’interno dei contratti aziendali sarebbe infatti aumentata di dieci punti percentuali, passando così dal 10% al 20%.

Le ricerche più recenti e attente segnalano altresì che la diffusione del welfare aziendale non è uniforme. È infatti possibile osservare una distribuzione “a macchia di leopardo” del fenomeno, che tende a concentrarsi nelle imprese di grandi dimensioni, ad essere più presente nelle multinazionali e nelle aziende che appartengono ad un gruppo, ad affermarsi con intensità variabile nei diversi settori produttivi (come testimoniato anche dalla ricerca di Percorsi di secondo welfare sul welfare aziendale in Emilia Romagna). All’interno del territorio italiano si registrano inoltre importanti disuguaglianze territoriali nella diffusione di questi strumenti, più comuni tra le aziende del Nord che in quelle del Sud del nostro Paese, che anche su questo fronte sembra scontare un ritardo rilevante. Sfide che impongono riflessioni urgenti sulla necessità di identificare e promuovere strumenti innovativi, capaci di superare i limiti incontrati sino ad oggi.

A fronte di questi significativi sviluppi sul piano delle policy e del vivace dibattito via via cresciuto – fra parti sociali, policy-maker e studiosi – su prospettive, sfide e limiti del welfare aziendale e contrattuale appena richiamati, in molte delle piattaforme programmatiche presentate dalle forze politiche in occasione delle ormai imminenti consultazioni elettorali il tema – come si vedrà nell’analisi che segue – non sembra essere riuscito a guadagnare particolare spazio. 

In alcune risulta del tutto assente, in altre solo accennato, solo in poche esplicitamente affrontato. Appare plausibile ricondurre la relativa marginalità del tema, da un lato, alla presenza di sensibilità diverse all’interno degli stessi schieramenti politici e delle forze sociali: si pensi, in particolare, alle differenti valutazioni sul ruolo da attribuire alla contrattazione collettiva di secondo livello rispetto a quella nazionale o sui rischi di privatizzazione del welfare pubblico. Dall’altro lato, al fatto che il tema, ancora scarsamente conosciuto dai cittadini, come documentato anche da una recente indagine Censis-Eudaimon, è forse ancora percepito come materia per “addetti ai lavori”.


Le posizioni dei partiti

Ma quali sono esattamente gli impegni assunti dalle principali forze politiche in tema di welfare aziendale e contrattazione? I partiti intendono sostenere, contrastare, accompagnare le tendenze in atto verso forme di welfare integrativo su base occupazionale? E quali sono le premesse da cui muovono? Proviamo a rispondere a queste domande guardando innanzitutto ai programmi elettorali ufficiali e, in loro assenza o a loro integrazione, ad altri documenti programmatici delle forze in campo.

La nostra analisi si svolgerà da sinistra a destra, con il Movimento 5 Stelle collocato – non solo per semplicità espositiva – al centro dello spazio politico (cfr. Valbruzzi 2018). Se una forza politica non dovesse essere citata significa che non è stato possibile trovare proposte specifiche sul tema oggetto di analisi. Si precisa che, per ragioni di sintesi, non sono stati presi in esame i programmi delle liste non coalizzate che, secondo le intenzioni di voto registrate dai numerosi sondaggi elettorali realizzati nel mese di gennaio e nella prima settimana di febbraio 2018 (consultabili sul sito della Presidenza del Consiglio dei Ministri), difficilmente raggiungeranno il 3% dei suffragi su base nazionale, la soglia imposta dalla legge elettorale per accedere al riparto proporzionale dei seggi. Chi fosse interessato può consultare integralmente i documenti programmatici non oggetto di questa analisi sul sito del Ministero dell’Interno e/o delle diverse forze politiche.


Quale diagnosi e quali soluzioni?

Il primo elemento utile da considerare è come viene tematizzata la questione del welfare aziendale e della contrattazione. In altre parole, qual è la “diagnosi” alla base della “cura” di policy proposta per sostenere o contrastare gli sviluppi nel campo del welfare aziendale? Per quale motivo dovrebbe essere opportuno investire risorse – finanziarie, istituzionali, simboliche – per orientare il sistema di protezione sociale verso schemi integrativi di tipo occupazionale o, viceversa, per allontanarlo da tali sviluppi? Alcuni programmi elettorali, insieme alle proposte specifiche, offrono un’analisi più o meno breve dello stato dell’arte, così da definire la cornice valoriale di riferimento e giustificare la rilevanza sociale della proposta avanzata, connotandola di significati e sfumature spesso alternativi. Il secondo elemento da considerare è quello delle specifiche proposte di policy rinvenibili nei diversi programmi. Come si vedrà, le forze in campo dedicano perlopiù uno spazio piuttosto limitato (se non del tutto assente) sia al primo sia al secondo elemento. La maggiore contrapposizione si registra fra la lista di Liberi e Uguali e le altre forze che prendono posizione sul tema. 

Il programma di Liberi e Uguali (LeU), che tocca brevemente la questione nella sezione intitolata “Una sanità pubblica, davvero”, dichiara con forza la contrarietà della lista guidata da Pietro Grasso alla “diffusione delle polizze sanitarie nei contratti integrativi” in ragione di una netta difesa dell’universalismo del sistema pubblico, che le forme sanitarie integrative rischierebbero di minacciare. Per questo, sul piano delle proposte, LeU afferma la necessità di definire “regole più precise” e/o di non sostenere la sanità integrativa di natura contrattuale attraverso la fiscalità generale, senza tuttavia fornire ulteriori dettagli.

Si tratta di una presa di posizione che segna chiaramente le distanze, almeno su questo punto, dalla coalizione di centro-sinistra e in particolare dal Partito Democratico (PD), che rivendica l’azione di governo realizzata su questo terreno mettendo in diretta connessione contrattazione decentrata, incremento della produttività e welfare. Nella sezione “Più lavoro. E più qualità del lavoro” il PD annuncia l’intenzione di “rafforzare questo percorso di decentramento contrattuale, che – si legge nel documento – favorisce lo scambio virtuoso tra produttività e aumenti salariali”. I Democratici quindi aggiungono: “Abbiamo anche favorito il welfare aziendale, dando la possibilità di utilizzare il premio di produttività in servizi, quali i rimborsi per le spese del lavoro domestico, della badante o dell’asilo, o per la previdenza e la sanità integrativa. Un terzo delle 20 mila aziende che hanno fatto accordi con i sindacati sul salario di produttività hanno previsto anche forme diverse di welfare aziendale”. Sul piano delle proposte, il principale partito del governo uscente delinea, da un lato, l’obiettivo di “estendere il welfare di secondo livello anche al settore pubblico”, sino ad ora sostanzialmente escluso da questi sviluppi; dall’altro, l’intenzione di attribuire a ogni lavoratore un “codice di cittadinanza attiva” fra le cui funzioni vi sarebbe anche quella di assicurare una maggiore integrazione fra il welfare pubblico e quello aziendale, secondo un modello che sembra ispirarsi a quello dell’innovativo Compte personnel d’activité (CPA) francese. Al codice dovrebbe infatti corrispondere un “conto personale della formazione” valido per tutta la vita, indipendentemente dalle transizioni da un contratto di lavoro a un altro. Aperto al diciottesimo compleanno di ogni cittadino, il conto disporrebbe di una dote iniziale versata dallo Stato per poi essere alimentato per via contributiva; al suo interno confluirebbero anche le misure per la ricollocazione al lavoro, erogate sia da soggetti pubblici che privati, e – elemento di particolare interesse per questa analisi – “i servizi di welfare, cumulando e rendendo complementare il welfare pubblico con quello aziendale, contrattuale, integrativo”. 

Il tema del welfare aziendale e contrattuale significativamente non compare nel programma della lista alleata Insieme, il soggetto di ispirazione ulivista composto da Socialisti, Verdi e Area Civica. Dal canto suo, +Europa, la forza guidata dalla radicale Bonino, pur affermando che “nella cornice della contrattazione collettiva nazionale serve rafforzare la contrattazione aziendale, territoriale o di filiera”, non sottolinea un nesso esplicito fra rafforzamento della contrattazione di secondo livello e schemi di protezione sociale. Fra le liste minori del centrosinistra a includere il tema del welfare aziendale e contrattuale nella propria piattaforma è invece Civica Popolare (CP), la lista centrista guidata dalla ministra della salute Lorenzin. Alla voce “Lavoro e Salario” della sezione dedicata a “Crescita: impresa e lavoro”, CPsi posiziona in antitesi rispetto a quanto auspicato da LeU, affermando l’intenzione di promuovere – nella contrattazione nazionale – sanità integrativa e previdenza complementare attraverso una riduzione della pressione fiscale sui fondi contrattuali; il sostegno alla contrattazione aziendale e territoriale appare invece finalizzato soprattutto alla promozione della crescita salariale e al recupero di produttività, anche attraverso la “defiscalizzazione degli investimenti per gli asili e il welfare aziendale” (come proposto alla voce “Famiglia” del programma).

Non si registrano posizioni su welfare aziendale e contrattuale fra le proposte programmatiche del Movimento 5 Stelle (M5S), sinteticamente illustrate nei “20 punti per la qualità di vita degli italiani”. Per completezza, aggiungiamo che il documento “Salute” disponibile sul sito del Movimento include la previsione di una “incentivazione fiscale e contributiva​, a favore dei datori di lavoro (privati e pubblici) per la creazione di asili nido aziendali o altre iniziative informali (babysitting), affinché – si legge – ciò non comporti diminuzione di stipendio per le donne”.

Sul fronte della coalizione del centro-destra, il programma comune della coalizione composta da  Forza Italia (FI), LegaFratelli d’Italia (FdI) e Noi con l’Italia (NcI), è condensato in un sintetico documento in 10 punti (“Un programma per l’Italia. Per la crescita, la sicurezza, le famiglie e la piena occupazione”), nessuno dei quali include proposte o riflessioni specifiche sul tema oggetto di questo approfondimento. Contrattazione e welfare trovano relativamente maggiore spazio nei documenti programmatici rinvenibili sui siti internet di due forze della coalizione, Fratelli d’Italia Lega. Secondo il partito guidato da Meloni, è necessario prevedere maggiore “incentivi alle aziende per gli asili nido aziendali” nel quadro di quello che viene presentato come “il più imponente piano di sostegno alle famiglie e alla natalità della storia d’Italia”. Più articolate, infine, le riflessioni sul tema nel programma della Legaper Salvini premier. Nel capitolo dedicato al “Lavoro”, il documento del leader leghista indica fra le priorità “meritocrazia retributiva e impulso alla contrattazione aziendale”: in quest’ottica gli aumenti salariali dovrebbero essere maggiormente collegati con il raggiungimento di obiettivi di risultato e gli aumenti della produttività, valorizzando “il ruolo della contrattazione di secondo livello, mediante l’adozione di piani di welfare aziendali”. Il tema torna infine nel capitolo dedicato alla “Famiglia” in cui, come si è visto, la Legamenziona l’opportunità di incentivi ad asili nido aziendali al fine sostenere la natalità e invertire le tendenze demografiche in atto. Infine, Noi con l’Italia si limita a prevedere “aumento dei salari di produttività e incentivi alla contrattazione decentrata”, senza però esplicitarne un nesso con le nuove forme di welfare.


Tabella 1 – Interventi in materia di welfare aziendale e contrattuale: le proposte a confronto

 

*da Percorsi di Secondo welfare n. 8/2018

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