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Il rischio del tritacarne per l’alternanza scuola-lavoro

In questa vigilia – che probabilmente sarà lunga – di formazione della maggioranza parlamentare e quindi del nuovo Governo del Paese, la priorità è data alle logiche complessive di coalizione che hanno maggiore probabilità di successo. Più in sordina è la discussione riguardo i contenuti programmatici che dovrebbero fare da collante della nuova maggioranza. E’ facile dire meno tasse e più lavoro, meno sbarchi di migranti e più tagli agli stipendi della casta, a partire dai parlamentari. E chi potrebbe essere in disaccordo? Ma la campagna elettorale è finita. Più difficile è chiarire, con dettagli comprensibili ai più, cosa si dovrebbe fare e come si potrebbe veramente realizzare quanto enunciato. Tutti noi siamo in attesa che di questo si renda conto, per valutare la robustezza della futura compagine governativa.

C’è un tema, apparentemente marginale, che spiega meglio la difficoltà che incontra chi vuole sapere cosa concretamente viene proposto dai partiti che hanno vinto il 4 marzo scorso. E’ il tema dell’alternanza scuola-lavoro. Una questione cruciale per la formazione delle future generazioni, pensata e da due anni resa finanche curriculare, per migliorare la capacità dei giovani di fare scelte di studi consapevoli e di orientarsi adeguatamente per quando dovranno cercare un lavoro. Mentre in altri Paesi europei e non, l’alternanza èun’impostazione già collaudata da lungo tempo e con una ricca esperienza, in Italia siamo ancora in una fase di rodaggio, nella quale errori di percorso e incertezze di finalizzazioni hanno avuto epossono ancora avere cittadinanza, a condizione che non si metta in discussione l’opzione fatta con la legge 107 del 2015 e che l’apprendistato duri un tempo ragionevolmente breve.

Ebbene, scorrendo i programmi elettorali dei vincenti, le sorprese non mancano. In quello dell’Alleanza del centrodestra si dichiarava l’intenzione alquanto sibillina di procedere all’ “abolizione di anomalie e storture della buona scuola”; se si vuole sapere di più, ma senza la pretesa di essere minimamente soddisfatto, si può apprendere che il programma di Forza Italia chiede la “revisione dell’alternanza scuola-lavoro” e quello della Lega vuole più “congruenza tra alternanza e indirizzi di studi”, dopo aver stigmatizzato che  “l’alternanza deve essere veramente scuola-lavoro e non scuola-sfruttamento”. Calca invece la mano il programma del Movimento 5 Stelle che si impegna a: “cancellare l’alternanza scuola-lavoro”, specificando che esso è “strumento in mano alle aziende per avere forza lavoro gratuitamente. Ecco perché il M5S vuole cancellarla in favore di corsi di formazione come ad esempio l’azione di apprendimento nel territorio” (Money.it 27/02/18).

I benpensanti italiani – tra i quali ci sono sicuramente i professionisti della corsa in soccorso dei vincitori – sussurrano che non bisogna prendere mai per oro colato quello che si propaganda per prendere i voti. D’altra parte, si notano già i primi arretramenti da parole d’ordine ben più radicali e convincenti, usate per vincere. Ma sarebbe anche sciocco snobbare affermazioni così demolitorie come quelle illustrate. Non c’è niente e nessuno che possa rassicurare che in discussione non è l’istituto dell’alternanza scuola-lavoro obbligatoria. Il solo fatto che si possa tornare alla volontarietà, sarebbe un declassamento del suo significato valoriale. Il “fai da te, se vuoi e se puoi” non si addice ad una seria strategia educativa. Si è praticato finora il volontarismo perché si era scelto un percorso di sperimentazione, che non si può protrarre sine die; istituzionalizzerebbe una casuale disuguaglianza di opportunità tra gli studenti e anche tra istituti scolastici.

L’alternanza scuola-lavoro è una conquista da non svilire. Rischiano di indebolirla e fare quindi il gioco di chi vuole ridimensionarla o abolirla definitivamente, sia quelli che vedono ad ogni piè sospinto un’alternanza nelle disponibilità di qualche imprenditore stupido, interessato soltanto a considerarla un pre-contratto d’apprendistato (ma, come si è visto, la Lega lì va a cascare), sia quelli che la trasformano soltanto in una pantomima, con programmi all’acqua di rosa, con attività “finte” o peggio, come è capitato in qualche realtà, organizzando gite scolastiche, con visita al museo di turno, spacciate come esperienze di alternanza. Invece, ci sono ormai fior di best practices, gestite da validi (e a volte valorosi) presidi e insegnanti, accolte sempre favorevolmente dagli studenti e sostenute da tante imprese che hanno capito il valore strategico dell’innovazione introdotta. E’ urgente, quindi, che il grano scacci l’oglio, che i buoni programmi diventino modelli esportabili, che le esperienze migliori siano valorizzate. Si tratta di organizzare la loro visibilità, di farle diventare patrimonio comune, di trasformarle da pratica eccellente ma rara a sistema permanente.

E’ da augurarsi che questo sia il compito prioritario dell’Osservatorio per monitorare la qualità dell’alternanza scuola-lavoro di fresca istituzione da parte della Ministra Fedeli. L’obbligatorietà non deve essere vissuta come una condanna, ma come una sfida da non lasciare sulle spalle dei presidi e di professori “volontari dell’alternanza”. E’ vero che il recente rinnovo contrattuale della scuola decentra la contrattazione su come devono essere utilizzate le risorse messe a disposizione specificamente per l’alternanza. Presidi e professori potranno meglio modulare gli interventi. Ma la questione principale resta la serietà della programmazione, la cura nella selezione delle aziende o delle strutture pubbliche coinvolte, la preparazione dei tutor nella scuola e nei luoghi di lavoro per assicurare che l’alternanza sia un’occasione di confidenza sul “come” si organizza un ciclo lavorativo e non sulla concreta operatività di una fase di esso.  In questo senso, anche una stalla modernamente attrezzata può essere luogo di interesse e di conoscenza per un liceale a vocazione umanistica, se ovviamente la sceglie. Questo è l’unico modo per rispondere seriamente alle proteste studentesche meno goliardiche e più meditate.

In definitiva, ci vuole una forte coralità nel difendere l’alternanza scuola-lavoro dall’assalto efficientista, ovvero dall’azzeramento ideologico. Il sistema delle imprese, il sindacalismo confederale, associazionismo del terzo settore prima ancora che gli insegnanti, gli studenti e le loro famiglie devono mobilitarsi per una qualità sempre più raffinata dell’alternanza. Soltanto così si potrà dare dignità al suo valore curriculare. Soltanto così, la sua fragilità attuale non potrà diventare preda delle scorribande legislative più improvvisate, ma anzi, irrobustirsi ed imporsi come una delle poche cose che rendono mature una società.         

 

  

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