Il Decreto legislativo n. 81/2015, riguardante la disciplina dei contratti di lavoro e la revisione della normativa in tema di mansioni, emanato nel giugno scorso, interviene in modo deciso sull’unico contratto a valenza formativa previsto dalla legislazione lavoristica italiana. Più precisamente, modifica le due forme di apprendistato contemplate dal Testo Unico del 2011 aventi finalità formativa, lasciando inalterato l’apprendistato professionalizzante.
Il nuovo quadro giuridico pone un rimedio allo scarso utilizzo dell’apprendistato formativo – che conta attualmente meno di 4 mila posizioni lavorative in tutto il territorio italiano – ma, principalmente, cerca di dare una risposta al disallineamento endemico tra le competenze acquisite con l’apprendimento scolastico e le concrete competenze professionali richieste dalle imprese e dal mercato del lavoro italiano. Nasce, dunque, il sistema duale di apprendimento come strumento idoneo ad accelerare il percorso di transizione dei giovani dalla fine del periodo scolastico all’ inizio dell’attività lavorativa. Oltre a questo il nuovo apprendistato formativo intende favorire l’incontro con il lavoro degli studenti iscritti a percorsi formativi diventando anche un valido mezzo per contrastare la dispersione scolastica e per avvicinare al lavoro l’elevato numero di NEET (Not in Education, Employment or Training), ovvero, quei giovani non impegnati in percorsi educativi, di lavoro o formativi.
Il progetto di riforma è ambizioso e il terreno su cui ci si muove è decisamente accidentato: ciò che ci attendiamo per la sua buona riuscita sono stimoli costruttivi da parte di tutti gli attori coinvolti, ma anche la fattiva collaborazione per districare questa ingarbugliata matassa.
La prima complicazione con la quale dobbiamo fare i conti consiste nel fatto che dinanzi a noi c’è un apprendistato formativo in totale agonia. Ci sono dati, numeri e approfondimenti svolti dal Ministero del lavoro e dall’ Isfol, che ce lo dimostrano inesorabilmente. L’unico apprendistato che vive di una sua dignitosa salute è quello professionalizzante e di mestiere, comunemente definito anche di inserimento lavorativo, a sottolineare la sua debolissima valenza formativa che si è ridotta a percorsi di 120 ore nell’arco di un triennio. Quindi, il legislatore ed ancor prima il Ministero, avevano davanti a sé una svolta radicale: o lasciare estinguere i due contratti a valenza formativa che sono l’apprendistato di primo e di terzo livello; o rigenerarne significato – non solo legislativo- e campo di applicazione rafforzandone proprio la specificità formativa . Il fatto che molti interventi in questi ultimi anni si siano concentrati nell’aggiustare queste forme contrattuali che non hanno saputo trovare alcun interesse da parte delle imprese ne è sostanzialmente la prova.
Il nuovo apprendistato per la qualifica e il diploma e quello in alta formazione e ricerca si reggono, per la prima volta, sull’imprescindibile rapporto tra impresa e istituzione formativa, tanto che la nuova disciplina ne rende possibile l’attivazione solo conseguentemente alla stipula di un protocollo. Rispetto al regime precedente, si tratta di una svolta radicale; basti pensare che prima (per quei pochi contratti che si sono attivati) l’azienda provvedeva all’assunzione e successivamente andava a verificare se e quali offerte formative potevano esistere nel territorio per consentire all’apprendista di formarsi e conseguire i titoli. Con la complicazione che le Regioni hanno disciplinato la formazione con una talmente ampia varietà di requisiti e di orari da far parlare dell’esistenza di venti diversi apprendistati in Italia. Ora invece solo uno studente iscritto ad un percorso scolastico o formativo potrà essere assunto in apprendistato di primo livello per conseguire i titoli di studio per i quali si era iscritto anche tramite apprendimento svolto in impresa.
Non solo si è data una nuova centralità alla formazione in apprendistato, ma si sono poste le basi per la nascita di una “via italiana” al sistema duale ancorandola fortemente alla relazione cooperativa tra istituzione formativa e impresa. Non stiamo parlando quindi dell’ennesima riforma dell’apprendistato; si è invece dato avvio alla costruzione del sistema duale in Italia attraverso la riforma dell’apprendistato. E’ questa l’essenza del progetto.
Il Ministero del Lavoro, consapevole che per far decollare il nuovo sistema è richiesto un accompagnamento, ha deciso di dare avvio ad una sperimentazione nazionale. Attraverso la quale presidiare accuratamente, insieme alle Regioni, tutti i processi di governance locale, finalizzandola alla costruzione di modelli condivisi che siano le basi su cui poi consolidare il nascente sistema duale. Questa sperimentazione rappresenta una novità assoluta e, al contempo, un punto di forza perché si fonda sul consenso preventivo delle parti in causa, ponendosi obiettivi concreti da raggiungere e tempi certi. Proprio di recente, nella seduta del 24 settembre scorso della Conferenza Stato – Regioni è stato raggiunto l’Accordo sul progetto sperimentale recante “Azioni di accompagnamento, sviluppo e rafforzamento del sistema duale nell’ambito dell’Istruzione e Formazione Professionale” che segna il cambiamento di passo in un settore che spesso ha scontato il peso di una eccessiva frammentazione. Il progetto si articola seguendo due filoni principali: da una parte è previsto lo sviluppo e il rafforzamento del sistema di placement dei centri di formazione pubblici e privati, dall’altra è programmato il sostegno di percorsi di IeFP nell’ambito del sistema duale.
La sperimentazione nella IeFP, che verrà avviata nel prossimo autunno dando forma al sistema duale di apprendimento, consentirà, in un biennio a circa 60 mila giovani di poter conseguire i titoli di studio attraverso percorsi formativi che prevedono lo svolgimento del 50 per cento dell’orario ordinamentale in contesto di impresa. Per una parte cospicua di studenti, l’apprendimento in impresa avverrà tramite apprendistato di primo livello, mentre per l’altra parte avverrà attraverso l’introduzione dell’alternanza rafforzata di 400 ore annue. Già solo questi numeri sono chiari indicatori di una volontà di rilancio e di una vera svolta nell’apprendistato.
C’è inoltre il tema del costo del lavoro in apprendistato che è un punto da non sottovalutare. E’ stato valutato che il solo cambiamento del quadro giuridico di riferimento può non essere sufficiente a dare un forte impulso al processo di riforma in atto. Occorrono, pertanto, anche misure incentivanti per le imprese che giocheranno un ruolo importante in questo nuovo quadro; occorrono, altresì, strumenti di flessibilità e di semplificazione che rendano agevole l’accesso a tutto il meccanismo da parte delle aziende e degli istituti formativi. In questa direzione si muove il Decreto legislativo n. 150, emanato il 14 settembre scorso, riguardante il riordino della normativa sui servizi per il lavoro e in materia di politiche attive. Il provvedimento, in generale, si pone un triplice obiettivo: da una parte, nel ribadire il ruolo di indirizzo politico, in materia di politiche attive per il lavoro, del Ministero del lavoro, delle Regioni e delle Province autonome, individua una composita “Rete nazionale dei servizi per le politiche attive” quale strumento di governance per garantire i servizi essenziali ai cittadini. Dall’altra, disciplina i principi generali in materia di politiche attive per il lavoro allo scopo di costruire percorsi adeguati per l’inserimento e il reinserimento delle persone nel mercato del lavoro. Infine, procede al riordino del sistema degli incentivi all’occupazione.
Proprio tra questi l’art. 32 prevede incentivi per il contratto di apprendistato per la qualifica, il diploma e la specializzazione professionale e di alta formazione e ricerca. In buona sostanza a) viene abolito il contributo previsto a carico dei datori di lavoro in caso di licenziamento dell’apprendista; b) l’aliquota contributiva – di cui all’art. 1 co. 773 della legge 296/2006 – prevista per le aziende con più di 9 dipendenti passa dal 10% al 5%; c) è abolito il contributo dello 0,30% sulle retribuzioni per la formazione continua; d) è riconosciuto lo sgravio dei contributi a carico dei datori di lavoro di finanziamento dell’ Aspi per le imprese artigiane. Tali incentivi si sommano alle misure di abbattimento del costo del lavoro già previste dal decreto n. 81/2015, per cui, scompare l’obbligo di stabilizzazione degli apprendisti assunti con contratto di primo e terzo livello per le aziende che occupano almeno 50 dipendenti e non c’è obbligo di retribuzione delle ore formative svolte al di fuori dell’impresa, mentre la retribuzione del periodo formativo all’interno dell’azienda è fissata nella misura del 10%. Si tratta di incentivi notevoli che porteranno – secondo alcune stime -all’abbattimento del 65% dei costi rispetto al contratto di apprendistato professionalizzante: uno stimolo, dunque, per le imprese ad accogliere la sfida avviata con la riforma.
Certamente si sono notevolmente ridotti i costi per le imprese, ma bisogna riconoscere l’impegno che il Ministero ha posto nel confronto con le parti sociali per far comprendere il profondo significato innovativo che la riforma introduce. Infatti, prima ancora che un incentivo alle imprese, l’aver del tutto azzerato la retribuzione delle ore di formazione fatte fuori dell’azienda con il contratto di apprendistato è una operazione di chiarezza culturale. Quei giovani che decideranno di iscriversi ai percorsi del sistema duale perché mai dovrebbero percepire una retribuzione per un itinerario formativo proteso al conseguimento dei tiolo di studio? Come i propri coetanei che conseguono detti titoli in percorsi scolastici ordinari, anch’essi dovranno capire che stanno partecipando ad un percorso formativo anche quando vanno in impresa. Alla fine, si è deciso che la retribuzione della formazione fuori dell’azienda non fosse dovuta e che quella in azienda avesse un valore poco più che simbolico, pari al 10 per cento.
Tutto ciò corrisponde molto più alla costruzione di un nuovo modello nel rapporto tra formazione e impresa che al solito ricorso agli incentivi. Insomma, se si vogliono conseguire i titoli di studio attraverso l’apprendistato, anziché attraverso un curriculum unicamente scolastico, le ore di formazione, ancorché fatte in impresa, non possono rappresentare un rilevante discrimine in termini di reddito, essendo i due sistemi complementari.
Che la crescita formativa delle risorse umane in un ambiente di lavoro è prima di ogni altra cosa il terreno su cui costruire il vantaggio competitivo per l’impresa stessa. Non ci sottraiamo a questa sfida, anche se le sue dimensioni vanno ben oltre l’apprendistato e coinvolgono l’intera riqualificazione del sistema produttivo e dei servizi del Paese.
(*) Sottosegretario presso il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali