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L’unità ha un valore superiore alla somma delle sue parti

L’Unità ha un valore superiore alla somma delle sue parti; è almeno dal tempo di Aristotele che lo ripetiamo; ripeterlo però, anche se da 3000 anni, non significa applicarlo; è sotto gli occhi di tutti,infatti, il peso degli interessi particolari e delle lobby. Le verifiche? Il fallimento della conferenza di Glasgow con la vox populi che chiede un modo diverso di vivere e produrre nell’ecosistema-mondo e che viene invece relegata  ad essere solo la ‘vulgata’ populi.

Dall’ultimo secolo, per nostra fortuna, alcune discipline hanno fatto del valore unitario dei processi il loro dettato, e per alcuni il metodo olistico è diventato il modo di pensare e progettare.

I valori dell’Unità e dell’equilibrio sistemico ed ecosistemico non sono più e solo appannaggio della filosofia o di specifici statuti disciplinari, ma si esprimono nelle teorie della complessità, del pensiero scientifico, dell’economia sistemica e circolare. Di questa appropriazione diffusa e spesso spontanea è espressione il termine “resilienza” (riorganizzare positivamente l’equilibrio sulle opportunità senza alienare la propria identità sistemica) che ha assunto un valore diffuso ed emblematico tanto da divenire virtus populi ed essere usata a proposito e a sproposito. 

Nell’economia praticata, nell’uso reale delle risorse, nell’allegra e spregiudicata produzione di CO2, continuail predominio degli interessi di settore, del disinteresse delle conseguenze sistemiche ed ecosistemiche, della massima attenzione alle convenienze separate dai valori, e degli interessi delle parti rispetto al valore dell’Unità e dell’Unità Sistemica.

Sordi alla vox populi, continuiamo a produrre squilibri. Un indicatore? I ricchi sono sempre più ricchi mentre la povertà ha esteso i suoi confini; i poveri sono sempre più poveri e sempre più condizionati da consumi secondari che assottigliano l’accesso ai beni primari.

Unione Europea o Somma di Stati?

Entriamo nell’Unione Europea: Unità o Somma? Ribadisco, scusandomi, quello che è sotto gli occhi di tutti: sono ancora predominanti le condizioni che vogliono e organizzano gli Stati come Enti particolari e non componenti strutturali dell’Unità. Ne sono indicatori e testimoni il prevalere degli accordi strutturati sulla prevalenza e sull’accettazione, sui rapporti di forza, suldisinteresse per la valorizzazione delle differenze. Tutto questo ha prodotto tensioni, subordinazioni e solo un tiepido interesse per la costruzione di valori condivisi che sono creatori di partecipazione e capaci di favorire gli sviluppi locali fuori dalle regole dell’omologazione. Portare a sistema gli sviluppi locali, le differenze e le specificità consente di costruire le complementarietà e le sinergie per lo sviluppo sistemico dell’Unità.

Molti sono gli elementi che possono giustificare la prevalenza di queste miopie. Alcuni appartengono alla storia come la relativa giovinezza dell’Istituzione, le identità regionali rafforzatesi nei conflitti, le molte lingue e le molte culture di pari valori e dignità, le guerre su cui si sono creati odi e rancori. Altri elementi sono di metodo come la convinzione di poter costruire l’Unità attraverso le regole e non attraverso la politica, come prassi e non come frutto di pensiero e azioni finalizzate alla formazione di una Politica che porti all’Unità. 

Se continuiamo a far prevalere le regole sulla politica, lo stallo sarà perenne: esistendo, le differenze vanno portate a valore unitario. È sul come renderle Unità complessa e sistemica che si valorizzano le differenze in quanto parti di un insieme e di un equilibrio sistemico, e qui serve la Politica. Infatti, è nella capacità politica che si può pensare lo sviluppo generale come sistema degli sviluppi locali, parti specifiche e funzionali  all’Unità sistemica.

Così come ogni ecosistema contribuisce con il suo equilibrio al mantenimento dell’equilibrio generale, ugualmente ogni sviluppo locale con le sue specificità e il suo equilibrio garantisce l’Unità nelle sue ricchezze, articolazioni, diversità.

Nell’Europa dei mille paesaggi, della sterminata letteratura, delle tante architetture, della ricchezza dei linguaggi, perché cercare il migliore quando sappiamo che trovare il migliore implica gioco forza ritrovarsi molti peggiori. E con tanti peggiori abbiamo la diminuzione complessiva del tutto.

Nella sua Unità, l’Europa è mari e montagne, caldo e freddo, culture nate dalle geografie e dalle isocrone relativamente brevi, un vantaggio enorme scoperto fin dal secolo passato dai progettisti dell’Orient Express

Solo la Politica è in grado di compiere un’operazione come questa.

L’Unione Europea è stata proposta su un pensiero politico; la sua formazione nasce anche perché le economie e le politiche degli Stati non erano e non sono dimensionalmente idonee ad affrontare e competere nel mondo attuale. È una debolezza che noi italiani conosciamo bene; ricordiamoci di quando abbiamo dovuto misurare la discrasia tra peso politico e valore culturale, artistico, scientifico delle Città-Stato nel periodo della prima modernità.

La necessità di una politica e di un’economia di dimensioni continentali ci ha imposto e ci impone una sintesi unitaria che valorizzi Stati, Regioni, Comuni, Culture, Paesaggi, Differenze.

È nella loro ricomposizione come Unità Sistemica che l’Europa troverà la sua forza reale.

E chi, se non la politica, potrà compiere il processo?

Politica è un sostantivo singolare femminile; essendo singolare esprime L’Unità, la sintesi unitaria di complessità; come sostantivo femminile esprime capacità di partorire un organismo complesso, di produrre vita riproducendo sé stessa.

Troppo spesso abbiamo confuso e annacquato il termine; politica è costruire, portare a valore unitario le differenze.

Se non ora, quando?

Se il passaggio dalla Somma degli Stati all’Europa come Unità fosse un passaggio facile, forse lo avremmo già fatto. Da ieri, e ancora di più oggi, abbiamo la consapevolezza di essere all’inizio di un periodo di profondi mutamenti strutturali (dalla crescita insostenibile allo sviluppo sostenibile) e tecnologici, che disegneranno scenari e paesaggi diversi da quelli finora conosciuti con l’industrializzazione, le lobby e gli Stati Nazionali. Se non vogliamo che vengano disegnati dalle multinazionali, dobbiamo agire noi come cittadini proponendo un’accelerazione della trasformazione dell’Europa verso un’unità complessa capace di accogliere e gestire il passaggio e l’attuazione dello sviluppo socialmente ed ecologicamente sostenibile.

Se non ora quando? 

Gli Stati nazionali, nati come tali nella modernità, si sono sviluppati con l’industrializzazione, con un nuovo modo di produrre e formare ricchezza, gestire e occupare territori, configurare civiltà, cultura e mobilità, produrre energia, sapere scientifico, statuti disciplinari, creare organizzazioni politiche e sindacali, gestire i conflitti.

Oggi qual è l’ambito politico-territoriale più idoneo a gestire lo sviluppo sistemico e sostenibile? Senz’altro l’Europa come sistema e come Unità politica e strutturale.

Nel periodo della formazione degli Stati Nazionali il mondo contava milioni di abitanti e la cultura della crescita ecologicamente insostenibile poteva coesistere con un’impronta ecologica umana dimensionalmente compatibile con gli equilibri ecosistemici. Oggi sappiamo che non è più così, siamo 8 miliardi, con un’impronta ecologica tale che, con l’attuale modello di crescita, porterà a subire squilibri strutturali (naturali, sociali ed economici) insostenibili. Non finirà certo il mondo (ha sopportato ben altre variazioni nei suoi milioni di anni); quelli che finiranno sono i paesaggi, così come li conosciamo, le abitudini e i climi conosciuti. 

Se vogliamo “mantenere”, dobbiamo “cambiare”. Dobbiamo costruire un nuovo modello di sviluppo (sostenibile) con i suoi statuti, le sue economie, le sue forme e le sue strutture. Dobbiamo formare e costruire una nuova economia, ma dobbiamo sapere che per formarla e realizzarla abbiamo bisogno di una nuova organizzazione politica, territoriale, sociale, amministrativa di dimensione congrua.

Per questo: se non ora quando. Alzi la mano il cittadino che non vuol costruire lo sviluppo ecologicamente e socialmente sostenibile, ma questo sviluppo è costruibile solo nei valori unitari e sistemici. E allora? Se non ora quando?

Costruiamolo nell’Unità, portando a valore le differenze, rendendole funzionali e valorizzanti l’intero e l’insieme. Ciò implica modificazioni profonde nelle produzioni e nei consumi, azioni indilazionabili di riqualificazione, ma anche e soprattutto implica avere la dimensione territoriale congrua perché i cambiamenti sistemici possano davvero realizzarsi.

 

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