Cifre positive quelle rese note dall’ISTAT sull’occupazione in Italia. Mettiamole in fila. Le italiane e gli italiani (compresi gli immigrati) occupati a settembre sono cresciuti di 46.000 rispetto ai due mesi precedenti. Anche la disoccupazione cresce, ma di poco (+ 8.000), mentre le persone inattive diminuiscono (- 86.000). Questi dati segnalano la partecipazione del lavoro a quel + 0,5% dell’andamento del PIL nel terzo semestre di quest’anno e che ha fatto correggere in alto la previsione di crescita per il 2022.
L’economia italiana, sostenuta più dalla spesa pubblica che dai consumi e dalle esportazioni, sembra fronteggiare bene la fase inflattiva, indotta da costi energetici impazziti per la guerra in Ucraina e per la speculazione lasciata a briglia sciolta. Ma potrà reggere nell’immediato futuro?
Le previsioni non sono incoraggianti; le rilevazioni di fine anno daranno indicazioni più precise. In questi mesi, da settembre ad oggi, si riscontra un rallentamento dell’economia mondiale ed europea. C’è da attendere che vi siano effetti spiacevoli su quella italiana. E qualche indicazione tendenziale, si può osservare guardando la qualità del lavoro, rilevata sempre dall’ISTAT.
L’occupazione autonoma cresce su base annua (+83.000), ma nell’ultimo mese di rilevazione ha perso 20.000 unità. Segno di seria difficoltà tra chi non ce la fa a tenere il passo dell’inflazione, nonostante che la lunga stagione di bel tempo abbia allungato, soprattutto nel settore terziario, le opportunità lavorative. L’arrivo dell’inverno potrebbe gelare gli affari di chi vive di margini di redditività bassi e quindi non è da escludere che l’emorragia continui.
Nell’occupazione dipendente c’è una novità. Crescono i lavoratori stabili (+ 82.000 in un mese), diminuiscono quelli a tempo determinato(-28.000). La spiegazione prevalente e abbastanza convincente è che l’incremento dei primi, soprattutto nella manifattura, è effetto della tendenza delle aziende a fidelizzare le competenze professionali che scarseggiano nel mercato del lavoro. Per chi ha queste caratteristiche il lavoro a tempo determinato ha rappresentato un vero e proprio periodo di verifica che non viene reiterato per sottrarre gli interessati, alla concorrenza.
Il calo dei flessibili, oltre a confermare che tra domanda ed offerta di alcune professionalità vi è una forte frizione e quindi si fa fatica a convincere chi ce le ha ad accettare il contratto a tempo determinato, accende una luce allarmante sulle aspettative delle aziende. Va tenuto conto che nel II° trimestre del 2022, il 37% delle posizioni lavorative a tempo determinato ha durata al massimo di 30 giorni (di queste il 13,3% un solo giorno); un altro 36% lavora da 2 a 6 mesi e solo l’1% supera un anno di attività.
E’ probabile, quindi, che le aziende che non possono o non vogliono stabilizzare, attendono di capire come tira il vento e né assumono a tempo determinato, né rinnovano quelli che vanno in scadenza. D’altro canto, è noto che quando cresce l’incertezza, il lavoro flessibile è il primo a subire conseguenze negative.
Di conseguenza, non è tutto oro quello che luccica. Molto dipenderà dalle scelte di politica economica del nuovo Governo. Dalle prime decisioni, sembra che non si possa fare affidamento sulle promesse spese in campagna elettorale dal centro destra. Le hanno sparate troppo grosse. L’esigenza di parare i guai creati dall’enorme incremento dei costi energetici sia sui redditi delle persone che sui bilanci delle aziende, sta assorbendo tutte le disponibilità finanziarie pubbliche.
Decisiva diventa l’applicazione rapida, corretta e trasparente del PNRR così come è stato impostato dal Governo Draghi. Se invece, si incomincia a pasticciare nel voler cambiare questo o quel progetto, si perderà tempo, si allarmerà la Commissione Europea e si metterà sulla difensiva il sistema produttivo italiano. L’occupazione a questo punto potrà incominciare a soffrire, interrompendo il trend attuale, intaccando non solo l’area del lavoro precario, ma anche quella del lavoro stabile. Ovviamente, c’è da augurarsi che tutto vada nel verso giusto, ma soltanto nelle prossime settimane capiremo se in questo Paese il lavoro sarà al centro dei pensieri del nuovo Governo.