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La beatificazione di Monsignor Oscar Romero. Una riflessione

Grande eco ha avuto nell’opinione pubblica internazionale la firma che Papa Francesco  ha messo nel decreto che sancisce che l’arcivescovo Romero, a  capo della diocesi di San Salvador fu ucciso, il 24 marzo 1980, “in odio della fede” e quindi è un martire. E presto sarà beato. Il suo assassinio avvenne durante la celebrazione dell’Eucarestia. I mandanti furono le oligarchie e il potere politico di allora.

Subito, per il popolo povero del Salvador  e di tutta l’America Latina, fu San Romero d’America. A sigillare che il suo sacrificio fu un vero e proprio martirio per la lotta per la giustizia e la liberazione dei poveri.

La Chiesa, così,  riconosce un martire della Chiesa Latinoamericana, quella del Salvador. Diviene così un “Padre della Chiesa” dell’America Latina. Tanti Vescovi di quell’immenso continente negli ultimi 60 anni, senza dimenticare i precursori come Bartolomeo De Las Casas che nel ‘500 si batterono per la dignità degli indios contro la dominazione spagnola e portoghese, hanno edificato, con la loro testimonianza, per alcuni di loro fino al sacrificio estremo, la Chiesa dell’ America Latina. 

In questo modo, questa Chiesa diventa una protagonista della Storia della Chiesa. Sono tanti i nomi di questi padri: dom Helder Camara, dom Manuel Larrain, dom Enrique Angelleli, dom Luis Proaño, dom Evaristo Arns, dom Aloisio Lorscheider, dom Samuel Ruiz. Solo per citarne alcuni. 

La svolta teologica e pastorale avviene con l’assemblea del CELAM a Medellin nel 1968. Quell’incontro avvenuto nell’immediato post-concilio prese a cuore la situazione di oppressione dei poveri, le sue parole chiave furono: l’opzione preferenziale per i poveri, giustizia e liberazione.

Una svolta per quella che non molto tempo prima era considerata una Chiesa “coloniale”. Certo, il cammino del dopo Medellin ha conosciuto le resistenze della Curia romana e della normalizzazione. Ma il seme di Medellin ha continuato a dare i suoi frutti con la teologia della liberazione, le comunità di base e la lotta degli innumerevoli testimoni della fede.

In questo solco si colloca la vita e la testimonianza di Oscar Romero.

Il Salvador negli  anni ottanta era dominato da oligarchie terriere e da militari violenti. C’erano gli “squadroni della morte”, vere bande di criminali al soldo del potere, che facevano stragi di vittime innocenti tra i contadini e chiunque difendesse i diritti dei poveri. Tra questi c’era Mons. Romero. Come tutti sanno Oscar Romero era stato scelto alla guida della Diocesi di San Salvador perché ritenuto un “conservatore”. Invece il suo cuore di Pastore, messo di fronte alla povertà del popolo, ebbe una conversione radicale, si schierò dalla parte dei poveri e di tutti quelli che operano a favore dei poveri. La sua conversione avvenne con l’omicidio, ad opera degli oligarchi produttori di caffè, di Padre Rutilio Grande.

“A Monsignore caddero le bende dagli occhi e si convertì”, così scrive magnificamente il teologo gesuita Jon Sobrino (ta in Concilium 5/2009). Da li è cominciata la proiezione continua verso la svolta pastorale e teologica della  Chiesa salvadoregna. La Chiesa dei Poveri, le comunità di base, le organizzazioni per i diritti umani (Un’altra vittima dell’oppressione è stata Marianella Garcia Villas, giovane donna avvocato a capo dell’organizzazione per i diritti umani, amica di Romero), i gesuiti dell’Università del Centro America (in particolare Ignacio Ellacuria). Denunciò senza sosta l’oppressione politica, economica del potere politico e militare nei confronti del popolo del Salvador: “inserita tra gli oppressi la chiesa doveva e poteva essere medicina per sanare i sottoprodotti negativi della lotta” (J.Sobrino). Una Chiesa lievito che fa fermentare lo spirito del Vangelo nella società. Ma anche una Chiesa di martiri: “Monsignor Romero ha propiziato una chiesa della “liberazione”, il che presuppone l’incarnazione storica nelle lotte per la giustizia, per i diritti fondamentali del popolo. Non si poteva essere chiesa dei poveri e abbandonarli alla loro sorte. Il fatto che si trattava di “lotta”, con la sua ambiguità non lo ha bloccato” (J.Sobrino). 

Le oligarchie gli gettarono addosso calunnie di ogni tipo. Ma lui prendendo sul serio Dio e la realtà come un profeta biblico denunciò il grande male che affliggeva il Salvador ovvero: “la ricchezza, la proprietà privata, come un assoluto intoccabile. E guai a chi tocca questo filo ad alta tensione! Si brucia”.

Oppure  in  un omelia affermava: “È inconcepibile che qualcuno si dica cristiano e non assuma, come Cristo, un’opzione preferenziale per i poveri. È uno scandalo che i cristiani di oggi critichino la Chiesa perché pensa “in favore” dei poveri. Questo non è cristianesimo! […] Molti, carissimi fratelli, credono che quando la Chiesa dice “in favore dei poveri”, stia diventando comunista, stia facendo politica, sia opportunista. Non è così, perché questa è stata la dottrina di sempre. […] A tutti diciamo: Prendiamo sul serio la causa dei poveri, come se fosse la nostra stessa causa, o ancor più, come in effetti poi è, la causa stessa di Gesù Cristo”

Nella sua ultima  omelia sapeva di dover morire quando, il giorno prima, in cattedrale, aveva affermato: «Io vorrei lanciare un appello in modo speciale agli uomini dell’esercito, e in concreto alle basi della Guardia nazionale, della polizia, delle caserme. Fratelli, che fate parte del nostro stesso popolo, voi uccidete i vostri stessi fratelli contadini! Mentre di fronte a un ordine di uccidere dato a un uomo deve prevalere la legge di Dio che dice: “Non uccidere”! Nessun soldato è obbligato a obbedire a un ordine che va contro la legge di Dio. Una legge immorale, nessuno è tenuto a osservarla. È ormai tempo che riprendiate la vostra coscienza e obbediate alla vostra coscienza piuttosto che alla legge del peccato. La Chiesa, sostenitrice dei diritti di Dio, della dignità umana, della persona, non può restarsene silenziosa davanti a tanto abominio. In nome di Dio, e in nome di questo popolo sofferente, i cui lamenti salgono ogni giorno più tumultuosi fino al cielo, vi supplico, vi prego, vi ordino: basta con la repressione!”.

 

La sua eredità si tramandò poi nella Chiesa Salvadoregna, tra gli altri, attraverso i gesuiti dell’Università Uca, anche loro martiri.

“È un fatto provvidenziale”, ha detto mons. Paglia, postulatore della causa di beatificazione, “che questa beatificazione giunga con il pontificato del primo papa latinoamericano”, che essa avvenga “in un momento di grande travaglio storico, rappresentando una fede che non resta nei principi, che sceglie di sporcarsi le mani coi più poveri, per far capire che Dio è dalla loro parte”.

 

Davvero, come affermava Ignacio Ellacuria (il gesuita martire dell’Uca), “con Monsignor Romero Dio è passato per il Salvador”.

 

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