Che Paese sarebbe l’Italia se non ci fosse una corruzione così allarmante come ha ricordato il Presidente della Repubblica Mattarella nel suo discorso di insediamento (“la corruzione ha raggiunto un livello inaccettabile”)? Se non ci fosse un’evasione fiscale e contributiva così indecente com’è quella denunciata più volte dal Governatore della Banca d’Italia Visco(“l’evasione fiscale costituisce tuttora un grave handicap lungo la strada, necessaria, di ridurre il peso del fisco in primis sui redditi da lavoro e di impresa”, lettera al Corriere della sera del 2 febbraio scorso)? E se non ci fosse un’economia sommersa così consistente come valuta l’Istat nel suo ultimo Rapporto (“il valore aggiunto dell’economia sommersa è compreso tra un minimo di 255 miliardi di euro e un massimo di 275, mentre il peso sul Pil nel 2008 è tra il 16,3% e il 17,5%”)?
La risposta è semplice: sarebbe un Paese normale. E probabilmente più ricco e più giusto. E forse meno rancoroso. Non è poco, perché fin quanto persistono queste distorsioni, dobbiamo convenire che siamo un Paese anomalo, malato, fuori squadra rispetto all’Europa. Anche nell’Unione Europea questi fenomeni sono presenti, ma l’Italia è in cima alla classifica. Tanto per avere un’idea, Eurostat, per il 2012, ha calcolato che il rapporto sommerso/Pil in Germania fosse del 13% mentre in Italia raggiungeva il 21%, il che potrebbe spingerci a ritenere che, nella crisi, le attività in nero e grigio sono in aumento. Ma soprattutto, al di là di qualsiasi altra considerazione, ci indurrebbe a chiederci se questo è il modo migliore per essere apprezzati in Europa.
Escludendo la rassegnazione e la resa (Cantone, Presidente dell’Autorità Anti corruzione sostiene che “se c’è un sistema ad alta permeabilità corruttiva, le mafie la fanno da padrone”), da cosa bisogna partire per risalire verso la normalità? La situazione è così complessa ed intricata che soltanto la mobilitazione di tutte le forze sane della società, sia culturali che religiose, sia economiche che sociali, sia politiche che istituzionali può far avanzare un percorso virtuoso verso la normalità. Si può procedere con gradualismo ma lungo una strategia chiara e non modificabile nel tempo. Due opzioni che finora non hanno avuto linearità operativa e soprattutto volontà politica che le sostenessero.
L’asse portante di questa prospettiva però resta la questione fiscale. Lo si è capito anche nella vicenda dell’attuazione della legge delega fiscale. L’improvvida “manina” si è subito ritratta, ma ogni soluzione alternativa è di là da venire. Il sistema è ingarbugliato, si fa sempre più fatica a tutelare gli onesti e colpire soltanto i truffaldini; anzi, spesso si rischia, finanche senza volerlo, di fare l’opposto. La più clamorosa dimostrazione è nella crescita a dismisura della pressione fiscale a scala comunale, in parallelo ai tagli ai trasferimenti imposti da anni dal Governo centrale. E a subirne le conseguenze non è stato il ceto sociale più abbiente, ma quello medio e l’area più povera della popolazione.
Di conseguenza, ciò che serve non è l’atto eclatante, ma severi controlli derivanti sia da più incisive intese internazionali e dall’introduzione della trasmissione telematica dei dati come anticipazione della fatturazione elettronica, sia da un’amministrazione che sappia usare a fondo le banche dati e le competenze gestionali di cui dispone. Un sistema fiscale più trasparente è quello che archivia definitivamente la depenalizzazione delle frodi e del falso in bilancio, il ricorso ai condoni parziali e tombali, la contrazione dei tempi di prescrizione. Questo è il modo migliore di stare dalla parte dei cittadini onesti e dare a questi certezza del diritto.
L’obiettivo è sempre lo stesso: “pagare tutti per pagare meno” e si realizza convincendo i contribuenti, anche quelli più riottosi e incalliti nella illegalità, che l’unica strada da percorrere è quella di fare il proprio dovere fiscale. La pressione sociale più sana sta crescendo e può mettere nell’angolo quegli ambienti che, in modi poco clamorosi ma sempre con efficacia, hanno impedito l’ammodernamento del sistema fiscale. Il popolo delle partite IVA, finora molto disperso, sembra dimostrare una capacità inedita di coalizziarsi per non rischiare di naufragare nell’economia sommersa. Il sindacalismo confederale, a sua volta, avanza proposte sistemiche (di recente si è espressa la CISL) per una redistribuzione del peso fiscale, attualmente squilibrato a scapito delle fasce reddituali medie e basse. Il sistema delle imprese, sia grandi che piccole, dimostra una sensibilità maggiore contro la concorrenza sleale che l’evasione e l’elusione fiscali e contributive, connesse anche a pratiche corruttive, esercita nei confronti delle aziende corrette.
In definitiva, la ricchezza reale di questo Paese è distribuita male anche perché il sistema fiscale non ha svolto appieno la sua funzione redistributiva. La corruzione e il lavoro illegale hanno accentuato questa devianza. Non è più tempo di fare il medico pietoso. Occorre un impegno di lunga lena, ma che deve iniziare con determinazione subito, per curare con successo queste piaghe.
Non è insensato sperare di diventare un Paese normale.