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La lezione dell’elezione

Le elezioni politiche sono alle nostre spalle. Il popolo ha deciso chi preferisce. Non chi deve governarci, complice un sistema elettorale arzigogolato. Ci sono due forze che si dichiarano vincitrici e una che ammette di aver perso. La tripolarità delle forze politiche in campo, diffusa in molti Paesi europei, rende complicata la sintesi. Paradossalmente, proprio chi non è stato premiato dagli elettori potrebbe diventare l’ago della bilancia per non ritornare presto alle urne, qualora le due forze vincenti non trovassero un accordo. In Germania è finito così. Non dovremo aspettare molto per saperlo.

Più interessante è scavare sulle ragioni del forte cambiamento delle tendenze degli elettori italiani. A me sembra che tre siano quelle prevalenti: l’identità, il bisogno, la paura. La combinazione di queste motivazioni è differente tra ceti sociali, livelli culturali e particolarmente nei territori. A loro volta, si combinano con altre questioni, ma esse sembrano essere lo zoccolo duro che plasma i comportamenti degli elettori. Basta guardare la cartina dell’Italia diffusa dai quotidiani e la distribuzione dei partiti più votati, provincia per provincia. Una macchia azzurra dilagante al Nord, una rossa meno estesa in Centro, una gialla che copre tutto il Sud.

Il Nord produttivo e modernizzato afferma una capacità di tenuta identitaria che viene da lontano, che cambia contenuti e sentimenti – fino a dare spazio alla xenofobia – e che prescinde dall’essere stato beneficiato dall’azione dei Governi della passata legislatura. Emblematica l’Assemblea di Confindustria alla vigilia delle elezioni politiche. Un vertice che chiedeva continuità lungo il corso tracciato negli anni dai Governi che si sono succeduti e una base decisamente schierata per le appartenenze tradizionali. E’ un mondo che non aveva molte rivendicazioni da avanzare, visto l’andamento della congiuntura finalmente positiva. Al massimo, un grazie per le agevolazioni dei super ammortamenti e per il costo del lavoro. Al più, ha dato una sbirciatina alla flat tax, con molto senso del realismo. Tanto, a giustificare l’ancoraggio consolidato è bastato alzare la bandiera della paura del “diverso”, l’addebito al Governo delle gestioni truffaldine delle banche locali, la denuncia dell’irrisolta inefficienza della burocrazia e della giustizia.

Anche il Centro conferma, ma in modo più contenuto, la prevalenza identitaria che affonda nelle appartenenze storiche. Ma gli smottamenti registrati raccontano di bisogni individuali e sociali crescenti e spesso insoddisfatti dalla politica e dalle istituzioni. Quando a Pesaro si arriva ad eleggere un signore sconfessato da chi lo aveva proposto e contrapposto al Ministro degli Interni uscente, osannato in casa e fuori casa per aver realizzato un serio contenimento degli arrivi degli immigrati, vuol dire che la protesta prescinde dai simboli e dagli uomini candidati per dare voce a bisogni di ogni sorta, ad esigenze le più variegate, ad aspettative inevase e che ha colto l’unica occasione – il voto – per darle cittadinanza. Verso chi? L’insediamento delle macchie gialle e azzurre non segna una tendenza univoca ma piuttosto  provvisorietà di voto, almeno per ora.

Quanto al Sud, si sa: storicamente è stato invaso e quindi subalterno anche se non supino; monarchico fino al referendum post bellico; diffusamente e lungamente democristiano; per piegarsi nella seconda repubblica – con duttilità ora di qua, ora di là a seconda delle fasi politiche. Nella scelta di questa volta – in assenza di un riferimento radicato e di politiche meridionaliste purtroppo soltanto impostate ma non ancora implementate al punto da dare concretezza al bisogno di lavoro che assilla tante famiglie – è bastato sventolare la bandiera dell’assistenzialismo – il reddito di cittadinanza per chi non ha lavoro – perché giovani e meno giovani abbiano urlato, con il voto, la loro rabbia e frustrazione. Hanno travolto ogni obiezione di ragionevolezza, ogni logica di gradualità, sfidando tutti, a partire dai proponenti il reddito di cittadinanza, a fare qualcosa di significativo per far uscire dall’abbandono il Mezzogiorno.

Come la si giri e la si rivolti, la complessità della condizione sociale, economica e culturale del Paese è a fondamento della inedita rappresentanza politica emersa dalle urne. Chiaramente inadeguate sono apparse le visioni delle forze in campo e ciò vale sia per i vincitori  e soprattutto per i perdenti. E’ andata meglio per chi ha puntato sull’individualismo. Peggio per chi si è esposto sul solidarismo. Ha avuto più udienza chi ha proposto di allentare i vincoli al possesso individuale delle armi, chi ha proposto di mettere i soldi in tasca alle singole persone. E’ andata peggio per chi ha disegnato una società più integrata e accogliente, un’Europa più coesa. Ha prevalso l’io rispetto al noi e questo non lo si può addebitare ai cittadini. Le chiusure egoistiche si affermano se le aperture sociali restano parole al vento, se le periferie delle città e i borghi non hanno servizi adeguati e ascolto istituzionale, se le tante solitudini spirituali e materiali non trovano reti di collegamento con chi sta meglio.

In questo intricato mosaico, la radicalità ha preso il sopravvento. Nelle proposte, nei linguaggi e talora nelle azioni. Una radicalità, al limite della violenza, che ha raso spietatamente il cammino al riformismo. Quest’ultimo è apparso estraneo alle orecchie di tanti, anche per le cacofonie provenienti dai tanti soggetti che ad esso fanno riferimento. La radicalità che va al potere, ha i suoi prezzi. Lo stanno drammaticamente verificando gli americani con Trump. Se anche da noi dovesse avere la stessa valenza, si profileranno tempi duri. Ma non per questo i fautori delle soluzioni riformiste devono ritirarsi sull’Aventino. Devono sfidare la radicalità con l’arma della innovazione delle scelte e delle modalità di partecipazione. Ci vogliono idee nuove per il mondo nuovo che sta avanzando. Ma ci vuole un coinvolgimento vero e non solo digitale per far camminare quelle idee con un diffuso consenso. E soprattutto occorre che non solo i partiti ma anche la società civile e suoi corpi intermedi organizzati facciano la loro parte, con coraggio.

 

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