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La politica estera dell’Italia isola il nostro Paese nel mondo

Una narrazione politica usuale indica nella politica estera del governo Meloni uno degli aspetti più innovativi ed efficaci rispetto al passato. Ma, se andiamo oltre la coltre di propaganda col quale questo governo qualifica la sua attività, ci accorgiamo che la realtà è ben diversa. Specie negli ultimi tempi. 

Il recente voto in Europa contro il Mes è stata una scelta consapevole di Meloni, decisa per salvaguardare l’unità della sua maggioranza, dopo lo strappo di Salvini e per evitare di ridursi a votare assieme al Pd. Ciò che è stato più grave è stata la motivazione con la quale la premier ha telefonato agli alleati di governo: “In Europa ognuno fa i suoi interessi”, che suona come una bestemmia nei confronti del progetto di Unione Europea che con tanta fatica si sta costruendo. Da ciò deriva che la vera responsabile della scelta è stata la Presidente del Consiglio, per cui, se ci sono da chiedere dimissioni, è a lei a cui ci si dovrebbe rivolgere, non al ministro Giorgetti, che ha almeno detto da che parte sta il buon senso. 

Questa è l’ultima sconfitta, che Meloni cerca di ribaltare in orgoglio, di una politica estera che finora, attivismo a parte, non ha raccolto risultati positivi. Dopo le intese più o meno andate a vuoto sui migranti e il tanto sbandierato Piano Mattei, risultato una scatola vuota perché privo di idee e di risorse, è rimasta soltanto l’adesione ideologica all’alleanza atlantica che le ha fatto compiere un altro grave errore: l’uscita dalla Via della Seta con la Cina. 

Oggi, la possibilità di uscita dal disordine mondiale in cui siamo intrappolati, con il lascito di guerre e violenze, rimane essenzialmente legata alla possibilità di dialogo e di compromesso negoziale tra Usa e Cina. Una possibilità che è certamente favorita dalla crescita di occasioni di dialogo e di convivenza pacifica nella costruzione di parziali obiettivi comuni. La Via della Sata, come piano commerciale rivolto verso l’Asia centrale, nacque nel 2013, per iniziativa di Xi Jinping, senza particolari attenzioni internazionali, ma dal 2019 in poi venne trasformato in un progetto più ambizioso per connettere economicamente Asia, Medio Oriente ed Europa con l’ipotesi di investire almeno mille miliardi di dollari per la realizzazione di grandi infrastrutture ferroviarie, stradali, porti e interporti. L’Italia, sull’onda dell’esperienza del rapporto storico costituito dai viaggi di Marco Polo e dell’azione successiva di diversi missionari cristiani, citati anche dal premier cinese, firmò nel 2019, con il premier Conte un Memorandum di adesione con l’intento di rinverdire l’antico rapporto di dialogo e di collaborazione. Ora il governo Meloni, sulla base di una ideologica e subalterna partecipazione all’alleanza atlantica, e senza offrire una spiegazione politicamente motivata, ha ritirato unilateralmente l’adesione, perdendo una irripetibile occasione di svolgere un’importante funzione di cooperazione internazionale e di pace, in piena coerenza con gli interessi nazionali e occidentali. 

Il rapporto con la Cina rappresenta, in ogni caso, la via obbligata per partecipare attivamente alla costruzione del nuovo ordine globale, dopo il passato della guerra fredda.  Questo grande leader mondiale, dopo la fase rivoluzionaria di Mao Tse Tung e la successiva, eccezionale crescita economica, sta sperimentando una fase di rallentamento nella quale il suo modello di “economia socialista di mercato” è chiamato a superare alcune contraddizioni tra crescita economica, libertà e tutela dei diritti umani. Mentre è chiaro che la vecchia linea maoista risulta definitivamente superata, la sua classe dirigente è in una fase di ricerca di nuovi rapporti economici e politici, avendo a riferimento la propria civiltà millenaria, che enfaticamente chiama “edificazione della civiltà spirituale socialista”. 

La collaborazione internazionale con la Cina, oltre il rapporto con gli Usa che rimane competitivo e conflittuale, diventa sempre più essenziale per la costruzione di un nuovo ordine mondiale. L’Italia, rifiutando un prezioso precedente della sua storia, che ha dimostrato il carattere amichevole e pacifico della sua azione, ha irresponsabilmente rifiutato una grande opportunità di protagonismo innovativo sul fronte globale, riducendo così la sua politica estera a iniziative strumentali di pura sopravvivenza di un’Italietta che crede basti la semplice propaganda per poter costruirsi una politica estera che non esiste. Con ben altra sensibilità politica nel 1982, in piena rivoluzione culturale, il senatore democristiano Vittorino Colombo, in qualità di presidente dell’Istituto Italo-Cinese celebrò il quarto centenario del viaggio in Cina del missionario umanista Matteo Ricci, la cui tomba restaurata si trova nel centro di Pechino. Considerato dal Quotidiano del Popolo: “Pioniere dei contatti tra la cultura cinese e quella occidentale”, Matteo Ricci è considerato amico della Cina. Questo episodio rappresenta uno dei fili con cui l’Italia del tempo, specie per merito dei cattolici, ha intessuto un rapporto di dialogo, e anche questo, sulla base dei fatti, questo attuale governo di destra continua a far male all’Italia.

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