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La siderurgia italiana: memorie ma anche potenzialità future

Per anni mi sono occupato della siderurgia, prima nelle acciaierie di Piombino e San Giovanni Valdarno, poi, allo scioglimento della Finsider, nella nascita dell’Ilva. Erano tempi di grandi cambiamenti: Falck, Arvedi, Marcegaglia, Feralpi, Beltrame e Acciaierie Venete avviavano anch’esse una profonda trasformazione tecnologica e di mercato. 

La peculiarità di quel processo risiedeva nel compattamento dei siti produttivi, con riduzione degli impianti e un vasto numero di esuberi, che minacciavano l’occupazione in modo grave.
Nel 1988 la Finsider contava oltre 120.000 occupati in vari stabilimenti; alla fine della riorganizzazione con l’Ilva, erano scesi a 44.000, nel tentativo di mitigare i traumi si predispose un grande piano di reindustrializzazione , di prepensionamenti , di incentivi all’ esodo e di ammortizzazione sociale , in prevalenza cassa integrazione . 

Taranto, il più grande impianto d’Europa – con una superficie doppia rispetto alla città – subì una riorganizzazione massiccia. Parimenti, ancor più aspro, il destino di Bagnoli, accompagnato alla chiusura definitiva con grandi interventi di ammortizzazione sociale. 

Vale la pena ricordare l’assemblea finale dei lavoratori di quello stabilimento. La tensione era altissima. Uno dei leader di fabbrica tiene una breve introduzione e annuncia la presenza dei Nazionali, cioè me per la FIM, e i Segretari di FIOM e UILM. Parte una nuova raffica di urla con una sceneggiata tipicamente napoletana. Fatta sfogare, dice, prima di passare la parola: amici e compagni, ci sono due notizie, una cattiva e una buona. Altre urla e poi un lavoratore alle sue spalle gli chiede: dicci quella cattiva.  Lui serissimo dice: si mangia “meeeerda”. L’assemblea esplode, dopo un po’ gli chiedono: quella buona? Risposta: non ce n’è per tutti. L’assemblea si sgonfia, qualcuno inizia a ridere e ci danno la parola. L’80% dei lavoratori approva la chiusura. A fare capovolgere l’orientamento dei lavoratori contribuirono quel leader che sintetizzò con abilità il dramma che si stava concludendo, un po’ l’autorevolezza dei dirigenti e le loro argomentazioni, un po’ la rassegnazione (in quel caso una Cassa Integrazione lunghissima e per molti l’accompagnamento al pensionamento).

Arrivò l’Ilva e privatizzazioni e ristrutturazioni successive hanno modificato gli assetti nazionali, introducendo anche riduzioni dell’impatto ambientale, innovazione tecnologica e nuovi impianti. Eppure, oltre le fantasie di chi vorrebbe trasformare Taranto in un “sito per allevamento di cozze”, il nodo della salubrità e della salute resta irrisolto. Servono capitali ingenti e una linea governativa coerente, lontana dalle attuali ed evidenti incapacità.
Oggi Taranto potrebbe produrre 10 milioni di tonnellate annue, ma langue tra fermi produttivi e cassa integrazione, con ripercussioni su Genova Cornigliano e gli impianti di trasformazione. Piombino, capace di acciai speciali di alta qualità, attende da decenni un rinnovamento strutturale e tecnologico, martoriata da crisi analoghe. 

L’Italia, importatore netto, ha prodotto oltre 20 milioni di tonnellate nel 2024, seconda in UE dopo la Germania, con eccellenza nella sostenibilità: leader nel riciclo (90-100% da forno elettrico al Nord, alternativo alla produzione da Altoforno, con minori emissioni grazie al rottame ferroso). Settori come edilizia, meccanica, automotive ed elettrodomestici dipendono da Taranto.  
Le sfide persistono: costi energetici elevati, domanda in calo, volatilità prezzi, crisi del ciclo integrale (altoforno), dipendenza da materie prime estere. Prospettive: si deve puntare su decarbonizzazione, investimenti tecnologici, sfruttando il vantaggio dell’alta sostenibilità acquisita per un posizionamento globale competitivo. 

Non possiamo rinunciarvi. Intanto non si capisce per quale criterio, pur essendo importatori netti, teniamo gli impianti fermi o sotto utilizzati. Nasce il sospetto che l’inerzia governativa sia per favorire il più volte paventato, anche in Federacciai, di uno shopping che smembri gli impianti. Il Governo, smentendo i ping pong di Urso, deve acquisire “tutta” l’Ilva, la deve rendere “Pubblica” e in prospettiva metterla  sul mercato, favorendo una alleanza con i privati, in specie gli utilizzatori. Soltanto la mano pubblica può farsi garante dell’avvio dei processi relativi alla decarbonizzazione per salubrità e sicurezza, difesa del valore aziendale contro acquisizioni speculative. Chi si è fatto avanti in questi anni mirava ai mercati, non agli impianti. 

Soltanto la mano pubblica può assicurare un piano di sostegno sociale, di ricollocazione, riqualificazione, di formazione e rivalutazione del lavoro manuale. Va superata l’idea che la siderurgia sia un retaggio del passato, visto che tutte le grandi economie in questi anni hanno acquistato impianti nel mondo e si sono dotati di sistemi propri . 

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NEWSLETTER NUOVI LAVORI – DIRETTORE RESPONSABILE: PierLuigi Mele – COMITATO DI REDAZIONE: Maurizio BENETTI, Cecilia BRIGHI, Giuseppantonio CELA, Mario CONCLAVE, Luigi DELLE CAVE, Andrea GANDINI, Erika HANKO, Marino LIZZA, Vittorio MARTONE, Pier Luigi MELE, Raffaele MORESE, Gabriele OLINI, Antonio TURSILLI – Lucia VALENTE – Manlio VENDITTELLI – EDITORE: Associazione Nuovi Lavori – PERIODICO QUINDICINALE, registrazione del Tribunale di Roma n.228 del 16.06.2008

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