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“Le aziende si diano obiettivi verdi”. Intervista ad Andrea Illy

”Sono ottimista. Riusciremo a bloccare il riscaldamento del pianeta. E le imprese faranno quanto necessario per mettere in sicurezza le nuove generazioni”, dice convinto all’altro capo del filo Andrea Illy, 55 anni, presidente di Illycaffè, appena rientrato da Madrid dove è intervenuto alla Cop25. 

Siamo sicuri? Alla fine il singolo — impresa o consumatore — pensa sempre che tocchi agli altri modificare i comportamenti…  

Il mio ottimismo non è velleitario ma basato su dati di fatto. 

Che Cop25 sia stata mezzo fallimento è fatto. 

Il cambiamento virtuoso, sui temi ambientali è spinto da tre fattori. Le regole, quelle degli accordi tra Stati. E qui siamo in una situazione di stallo. Con la Cop25 in particolare abbiamo perso una piccola battaglia. Ma la guerra può essere vinta. Ci sono due fattori di segno positivo: la finanza e i consumatori». 

Intende la finanza etica? Siamo sicuri che abbia risvolti concreti? 

Concretissimi. Larry Fink, l’amministratore legato del più grande fondo d’investimento al mondo, BlackRock, nella sua ultima lettera annuale alle imprese ha invitato i dirigenti a svolgere un ruolo più attivo nell’affrontare le questioni sociali e ambientali. Quest’estate 181 corporation americane hanno dichiarato che l’impresa deve avere un scopo che va oltre il profitto. Questa impostazione sta prendendo piede anche in Italia». 

Blackrock da sola gestisce seimila miliardi di dollari… 

Le imprese hanno sempre più chiaro che essere “etiche” ha dei vantaggi. Il merito di credito è direttamente proporzionale alla sostenibilità sociale e ambientale di un’azienda. E anche i consumatori premiano i comportamenti virtuosi. Movimenti come quello di Greta Thunberg — ma in Italia penso anche alle cosiddette “sardine” — non faranno che accentuare la tendenza.

Va bene, stiamo inserendo la retromarcia. Ma il rischio è che il processo sia troppo lento e i cambiamenti climatici diventino irreversibili. 

In base agli obiettivi di Parigi, nel 2020 dovremmo raggiungere il picco delle emissioni per poi cominciare a scendere a arrivare a dimezzarle entro il 2030 E infine ad annullarle nel 2050. Non è impossibile. Dal 2050, però, bisognerà cominciare a “sequestrare” il carbonio rimasto nell’atmosfera. Un processo di cui si parla ancora poco. Questo, sì, mi preoccupa. 

Perché le aziende dovrebbero cambiare i loro processi produttivi? 

Perché si tratta di una grandissima opportunità di business. 

Prendiamo plastic tax. Le aziende hanno fatto di tutto per convincere il governo a fare retromarcia. 

Quella misura aveva solo obiettivi di tipo fiscale. Non basta il bastone, serve anche carota. Per accompagnare una reale riconversione del sistema produttivo bisognerebbe destinare gli investimenti per chi punta sui materiali riciclabili. Annunciando già che, per chi non fa nulla, aumenteranno le tasse. 

Cosa pensa del cosiddetto greenwashing? La riconversione verde delle imprese rischia di essere di facciata? 

Non credo. Le pressioni a fare sul serio sono fortissime. Dalla finanza. Ma anche dalla concorrenza. Le faccio un esempio. Noi come Illycaffè ci siamo dati come obiettivo di diventare carbon free entro il 2033, anno in cui l’azienda compirà cento anni. Dal 2016 in Italia sono state introdotte le “società benefit” sulla scia delle benefit corporation Usa. Parliamo di aziende profit che vogliono massimizzare l’impatto positivo per la comunità. Bene, queste hanno appena annunciato che diventeranno carbon free entro il 2030. Per noi è una pressione a fare ancora meglio. 

Le aziende più sensibili ai temi ambientali sono quelle che vendono ai consumatori finali. Perché le altre dovrebbero cambiare? 

Perché per misurare la mia “impronta” sull’ambiente devo tenere conto di come lavorano i miei fornitori. Il cambiamento è partito, nessuno può chiamarsi fuori. 

 

*Il Corriere della Sera, 16 – 12 – 2019

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