Senza dilungarsi in troppe perifrasi, si può affermare che lo sviluppo sostenibile per l’uomo, la natura e in generale per l’ambiente, sarà raggiunto solo quando ci saranno modi sostenibili di produrre e consumare energia, quando cioè saranno rispettati gli equilibri ecosistemici e sistemici nei modi e nei rapporti di produzione e di consumo.
Ogni epoca si descrive per il suo modo di produrre e consumare energia; quella dello sviluppo sostenibile sarà descritta dall’energia prodotta da fonti rinnovabili.
Produrre energia, da quella alimentare a quelle per illuminazione, riscaldamento, mobilità etc, in modo sostenibile è un tema che riguarda non solo le fonti (tema già ciclopico per le lobby che governano le produzioni consolidate), ma anche il rapporto tra luoghi di produzione e di consumo. Quindi il tema energetico riguarda, oltre le fonti usate, anche i modi di produzione e il loro rapporto con i luoghi e le forme di consumo.
Le società industriali degli ultimi secoli, espresse da un’energia prodotta da fonti fossili, si sono dotate di reti infinite rendendo indifferente il rapporto geografico tra aree di produzione/trasformazione e luoghi di consumo. Se vogliamo avviarci verso la costruzione dello sviluppo sostenibile con energie prodotte da fonti rinnovabili e rimanere coerenti con i valori dello sviluppo coerente dei luoghi,dobbiamo superare il concetto e le pratiche della dispersione e delle reti infinite.
Dobbiamo legare i luoghi di produzione, captazione, trasformazione e utilizzazione delle energie prodotte da fonti rinnovabili, con i luoghi di consumo.
Tutti sappiamo che le dimensioni dell’apparato produttivo e quelle del consumatore devono avere un rapporto capace di garantire le necessarie continuità produttive e sociali. A questa garanzia si può concorrere oltre che con la dimensione congrua tra area produttiva e luoghi di consumo, anche con lasolidarietà tecnologica costruita anch’essa sul dimensionamento opportuno dei luoghi, ma anche tra i luoghi.
Le fonti rinnovabili si manifestano nel luogo (sole, vento, geotermia, ecc.) e permettono di costruire nei luoghi i fabbisogni energetici per quei medesimi luoghi e, a schema territoriale maturo, per la solidarietà tecnologica tra i luoghi.
Per rimanere in tema, dobbiamo creare le comunità energetiche come luoghi misurati e dimensionati sulle disponibilità e diversità delle fonti idonee a produrre le energie necessarie a chi vive e lavora in quel luogo.
Del resto se le fonti rinnovabili sono presenti in molte forme e in ogni dove, è facile dimensionare nei luoghi delle comunità energetiche, e con le migliori fonti locali, le produzioni necessarie e legarle ai consumi necessari a quella comunità.
Ciò che serve è uno spirito imprenditoriale, sociale e individuale forte e determinato che, intuendo o vedendo le convenienze che lo sviluppo sostenibile comporta, decida di progettare il futuro su un’altra economia investendo cultura, scienza e azioni economiche e realizzative.
Oggi chiunque abbia investito anche solo negli impianti di autoconsumo, può certificarne le convenienze. Se queste convenienze sono riportate nelle economie di scala che le Comunità energetiche possono produrre … siamo a cavallo.
Se esaminiamo le diverse fasi dello sviluppo figlio della modernità e delle sue forme di urbanizzazione e industrializzazione, vediamo che l’indifferenza delle distanze geografiche tra i luoghi delle fonti, quelli della trasformazione/produzione e quelli d’uso, ha creato le forme di insediamento energivore che conosciamo.
Città, trasporti, agricoltura, industria, pesca, forestazione: non c’è nulla che non consumi più energia di quella necessaria, prodotta con fonti e processi inquinanti.
I danni sono sotto gli occhi di tutti e ci portano a un memento fondamentale: dobbiamo intraprendere la via virtuosa e le buone pratiche capaci di rispettare, nel modo di produrre e di consumare energia, gli equilibri sistemici ed ecosistemici, umani e naturali. Questo memento deve riguardare la produzione di tutte le energie, ma proprio tutte, da quelle alimentari a quelle per il benessere urbano, da quelle necessarie alla mobilità a quelle per la produzione manifatturiera, per i servizi, per la gestione dei processi di governo del territorio e dell’amministrazione.
È anche su questo memento che le teorie sullo sviluppo sostenibile sono andate avanti, definendo come importanti punti di arrivo il concetto, la filosofia e la pratica delle comunità energetiche.
Nelle comunità energetiche il valore del termine comunità si riferisce al luogo nel quale convivono persone e attività, in cui si dispone di fonti rinnovabili per la produzione di energia e soprattutto dovesi decide di consumare coralmente l’energia prodotta nei luoghi della comunità.
Un secondo memento è fondamentale: le fonti per la produzione di energia non sono solamente quelle dirette Acqua, Aria, Terra e Fuoco ma anche quelle derivate dall’economia circolare e dalle azioni che valorizzano i coefficienti energetici.
In sintesi: le comunità energetiche, per realizzarsi come tali, devono abbandonare le progettazioni legate agli assetti energivori fino ad oggi imperanti e devono costruirsi sulla progettazione sistemicafinalizzata a costruire e ricostruire gli equilibri sistemici ed ecosistemici.
Il binomio progettazione sistemica si riferisce alla progettazione delle trasformazioni del territorio misurate con i parametri dell’ecologia e del bilancio energetico, idonee a garantire la salubrità dell’insieme e del micro-luogo, una salubrità capace di essere tale nel bilancio energetico positivo dell’ecosistema ospitante.
È in questa interpretazione ed esercizio che le comunità energetiche saranno luogo e misura della riqualificazione del territorio sussumendo il valore progettuale dell’equilibrio, e con questo il valore algebrico dello ‘0 ‘ come equilibrio tra – e + .
Le difficoltà? Innumerevoli. Il successo? Una necessità.
Sono cosciente che negli ultimi 250 anni di storia siamo stati sempre più attratti dalle fonti fossili e dai processi ad alta intensità di lavoro; si tratta di due elementi non semplici da superare per la cultura sociale e produttiva sulle quali si sono costruiti e anche per le quantità d’interessi prodotti dal modo di produrre e distribuire la ricchezza. In questo le reti (mobilità, elettricità, approvvigionamento e smaltimento) sono diventate le vere imperatrici del modo di usare e consumare il territorio.
La crescita demografica e la ripartizione ineguale della ricchezza hanno edificato città e megalopoli come luoghi energivori per eccellenza e che oggi tentano di congiungersi usando le reti dell’energia e della mobilità.
Per invertire questi processi, dobbiamo far assurgere a regola della riqualificazione dei territori i paradigmi della sostenibilità ecologica, economica e sociale, ritrovando i valori del luogo, delle comunità locali, dello sviluppo locale.
Attenzione però: Pensare Globale rimane fondamentale, perché lo sviluppo locale non regge se riferito a una comunità chiusa; diventa invece principio di ricchezza culturale ed economica se inserisce l’ecosistema nell’equilibrio sistemico generale.
Se le comunità energetiche vogliono diventare luogo e misura per il riequilibrio del territorio verso lo sviluppo sostenibile, il termine Comunità va utilizzato nei suoi significati geografici, ecosistemici e strutturali più che nel suo significato sociologico. Se vogliamo realizzare una comunità energetica usando i valori dell’equilibrio sistemico e i paradigmi della progettazione ecosistemica, dobbiamo partire dal bilancio energetico di quel luogo e capire contemporaneamente le necessità di tutte le energie necessarie e dove risiedono gli attuali plus e minus.
In sintesi: la comunità energetica deve essere il luogo nel quale si svolgono le attività necessarie a garantire e governare le regole dello sviluppo sostenibile, socialmente concordate e attuate, convenienti per tutti.