Le elezioni politiche in Birmania hanno rappresentato un cambiamento epocale nella storia politica del paese. Guardando alla complessa e tormentata storia della Birmania, con queste storiche elezioni, la quasi totalità dei votanti ha scelto convintamente la strada della piena democrazia.
Un obiettivo complesso e ancora oggi di difficile realizzazione, soprattutto per le profonde ferite che la lunga e violenta dittatura ha prodotto nel corso degli ultimi cinquanta anni. Ferite che non basterà il voto a sanare, ma che potranno guarire lentamente grazie ad un coraggioso e complesso percorso di ricostruzione della fiducia tra le diverse parti e ad un piano articolato di azioni sia politiche che economiche, che dovranno necessariamente coinvolgere tutte le parti interessate.
Certamente il voto massiccio a favore dell’NLD il partito della leader Aung San Suu Kyi, segna un punto di non ritorno a cui si stanno faticosamente adeguando anche i militari. Ma, come ha recentemente affermato Bertil Lintner, noto giornalista che segue da decenni le vicende birmane: “ora, tutto è diverso, ma nulla è cambiato. C’è maggiore libertà di stampa rispetto a prima, i partiti politici si possono muovere, ma la struttura fondamentale del potere nella società non è cambiata” Infatti la Costituzione, imposta dalla dittatura nel 2008, prevede non solo che i militari occupino il 25 % dei seggi del parlamento nazionale e dei parlamenti dei sette Stati e delle sette Regioni in cui è articolato il paese, ma garantisce che il capo delle forze armate nomini i ministri della difesa, degli interni, degli affari di confine. Tutti ministeri che controllano e controlleranno il dispiegamento delle truppe nelle aree etniche, la polizia e la sicurezza del paese.
Sempre la costituzione affida all’esercito la guida del Consiglio per la sicurezza nazionale, struttura sovraordinata rispetto a governo e parlamento, che ha il potere di dichiarare lo stato di emergenza. Non va altresì sottaciuto anche il negativo ruolo di alcuni potenti monaci legati da sempre ai militari. Un legame che ha portato alla creazione dell’organizzazione buddhista Ma Ba Tha, capeggiata dal famoso monaco nazionalista, razzista U Wiratu. Un monaco condannato a molti anni di carcere e liberato, nel 2010, grazie ad una provvidenziale amnistia, che ha liberato soprattutto detenuti comuni. La sua campagna di odio contro i mussulmani ha prodotto negli ultimi anni, non solo un clima di tensione ed insicurezza tra i mussulmani, che da sempre risiedono nel paese, ma anche un vero e proprio conflitto etnico religioso nello Stato Rakhine, con sanguinosi attacchi ai mussulmani Rohingya, che hanno prodotto oltre cento vittime e lo spostamento forzato di oltre 100.000 Rohingya in campi di confino, con una forte limitazione delle loro libertà, zero risorse e moltissime proibizioni.
Un conflitto costruito ad arte, per destabilizzare il paese, creare un nemico interno e rafforzare il ruolo dei militari prima delle elezioni. La Ma Ba Tha in questo quadro aveva raccolto cinque milioni di firme facendo approvare quattro leggi sulla tutela della razza e della religione. Molti temevano che la violenta campagna di questi monaci a sostegno dell’USDP e contro l’NLD in vista delle elezioni, potesse provocare un impatto negativo sull’esito del voto, soprattutto nelle campagne. Ma il paese ha saputo rispondere bene, anche nelle zone remote. Molti altri eminenti monaci al contrario stanno lavorando insieme ai rappresentanti delle altre religioni per promuovere un dialogo interreligioso, fondamentale per la pace e la convivenza civile in un paese come la Birmania con oltre 135 etnie diverse, con una fortissima identità culturale e diverse religioni e credenze.
La questione etnica ancora oggi è un nodo fondamentale. I militari sino ad oggi hanno avuto il coltello dalla parte del manico, perchè possono provocare ulteriori conflitti armati e tensioni, soprattutto in quelle aree dove sussistono anche intrecciati interessi economici contesi tra i militari e gli etnici (gas, settore minerario etc). Se si riuscirà a far progredire i negoziati di pace si faciliterà anche il negoziato per il cambiamento della costituzione e probabilmente, per la riduzione di ruolo dei militari.
La Birmania ha bisogno di costruire uno stato di diritto e una governance democratica diffusa, che modifichi anche la cultura e il comportamento delle istituzioni locali, ancora oggi impregnate da logiche di strapotere, ricatti e di corruzione che hanno fatto regredire il paese, prima della seconda guerra mondiale tra i più ricchi dell’Asia nella lista di quelli più poveri. Ecco la povertà, endemica in molti stati etnici, potrà sicuramente essere sradicata, se si realizzeranno condizioni di pace e sviluppo.
La popolazione, soprattutto le decine di milioni di giovani che si affacciano al mercato del lavoro vogliono poter realizzare le loro speranze e un futuro fatto di democrazia, partecipazione, lavoro dignitoso. I militari hanno dichiarato la disponibilità a fare un passo indietro, quindi ad accettare la riduzione del loro ruolo, solo se si arriverà alla pacificazione del paese. Il completamento dei negoziati per il cessate il fuoco, che con il nuovo governo, includerà tutte le rappresentanze delle organizzazioni etniche armate e dei partiti, sarà propedeutico per la promozione di un dialogo politico inclusivo, che dia veramente una spinta alla pace e alla costruzione di un paese pacificato, di una nuova struttura istituzionale basata sul federalismo e su una diversa distribuzione delle risorse.
Non sarà certo una operazione semplice, perché l’altra grande e parallela sfida riguarderà il cambiamento delle principali parti della costituzione del 2008.
Anche i grandi investitori stranieri attendevano con ansia i risultati di queste elezioni. Il paese infatti ha enormi potenzialità di sviluppo. Stanno nascendo come funghi zone industriali per l’esportazione. La stabilità politica, una nuova governante e la lotta alla corruzione saranno la migliore garanzia per gli investimenti esteri, che fino ad oggi attendevano segnali chiari di cambiamento soprattutto su questi terreni. Oggi il voto apre una nuova pagina anche su questo capitolo.
L’NLD nel suo robusto programma economico punta a promuovere investimenti responsabili che contribuiscano alla crescita inclusiva del paese, alla lotta alla povertà e all’occupazione. Ma il paese delle pagode, salito alla ribalta delle cronache per la famosa “rivoluzione zafferano” del 2007, ha anche una straordinaria importanza strategica nello scacchiere asiatico e quindi internazionale. Questo non solo per le straordinarie risorse naturali di cui è ricco (petrolio, gas, minerali rari, pietre preziose, risorse idriche etc) ma anche perché rappresenta il crocevia di interessi geopolitici ed economici straordinari. Indubbiamente, la Birmania, per la sua collocazione geografica, tra due grandi potenze regionali: Cina e India e bagnata dal Mar delle Andamane, costituisce un anello chiave nei giochi di potere in quell’area del mondo.
Durante la dittatura e a causa delle sanzioni, Pechino ha fatto il bello e il cattivo tempo in Birmania. Con l’obiettivo di garantire la sicurezza delle importazioni di gas e petrolio dall’Africa, le imprese cinesi hanno potuto sviluppare senza alcun ostacolo, grandi investimenti per la costruzione di un mega gasdotto e oleodotto, che attraversa la Birmania convogliando il gas cinese dal Mar delle Andamane allo Yunnan. Ha investito nella costruzione di mega porti profondi sul Mar delle Andamane e di grandi dighe per la produzione di energia elettrica convogliata tutta in Cina per scopi industriali.
Per ridurre lo storico attivismo cinese, poco gradito anche dalle popolazioni birmane, Washinton, già nella fase di transizione dalla dittatura al governo semi civile, ha iniziato a rafforzare il sostegno al nuovo governo semi civile. La preoccupazione americana si lega al crescente peso navale, che la Cina ha nel mondo (2° posto) e al suo ruolo nel Mare del Sud. Oggi tra l’altro, la Cina punta a promuovere “una via della seta marittima” per la quale ha impegnato 40 miliardi di $, che si vanno ad aggiungere ad altri 50 miliardi di $ dell’Asia Inftrastructure Investment Bank, costituita tra Cina e altri 20 paesi “per superare i colli di bottiglia dei collegamenti in Asia”. Gli USA attraverso l’impegno in Birmania intendono anche intensificare i rapporti con i paesi che si affacciano sull’Oceano Indiano, ritornato ad essere il centro delle politiche di potere in Asia.
Molte e complicate sono le sfide che Aung San Suu Kyi dovrà affrontare. Dovrà cominciare a dare prime risposte alla sete di libertà e di fiducia che il paese chiede. Tutti sembrano voler fare la loro parte. Sarà un percorso importante anche per i paesi vicini. Quasi tutti scarsamente democratici. Mentre ieri centinaia di migliaia di persone fuggivano dalla dittatura in Tailandia, oggi, ironia della sorte, a Rangoon si vedono sempre di più dissidenti tailandesi che preferiscono la Birmania all’ oppressivo governo militare che si è instaurato a Bangkok.
La Birmania futura potrà pertanto rappresentare pertanto un interessante laboratorio di democrazia.
(*) Direttore di Associazione Italia-Birmania Insieme