Mettiamo insieme due titoli di giornali dei giorni scorsi. “Boeri, Ci sono pensioni molto alte non giustificate dai contributi” e “Fondo speciale ferrovieri, il 96% delle pensioni è superiore ai contributi” e poniamoci la domanda qual è la vera notizia giornalistica?
La vera notizia, almeno per chi conosce il sistema pensionistico, è che vi sia una parte delle pensioni calcolate con il retributivo che trova corrispondenza nei contributi versati. Ci si può, infatti, domandare come sia potuta accadere una simile anomalia in un sistema in cui il calcolo della pensione prescindeva dall’aliquota contributiva (vedi dipendenti e autonomi), si basava sugli ultimi anni di retribuzione (ultimo anno nel pubblico impiego) e non considerava l’età di pensionamento.
Trovare una corrispondenza tra ammontare della pensione e contributi versati in un sistema simile ha del miracoloso ed è certamente meritevole di analisi come tutti i fenomeni simili.
Veniamo all’aggettivo che usa Boeri, (non) giustificate. Se è usato in un’accezione tecnica è, come detto, lapalissiano, se è usato in termini “morali” non ha alcun senso. Chi è andato in pensione con il retributivo vi è andato con regole fissate dal Parlamento e che il Parlamento ha difeso per decenni a fronte di vari tentativi di riforma tutti falliti fino al 1992.
Le scelte di pensionamento (quando il pensionamento non è stato imposto) sono state fatte in base a quelle norme sia in relazione all’età sia in relazione all’ammontare della pensione; norme diverse avrebbero probabilmente portato a scelte diverse, qual è il senso, e l’equità, di metterle in discussione oggi? Riammettiamo al lavoro coloro che lo richiedono perché giudicano troppo bassa la pensione ricalcolata?
Vi sono stati certamente episodi di leggi che potremmo definire ad personam e che hanno determinato situazioni di privilegio abnorme e limitato ad alcune persone. La possibilità di passaggio per i dirigenti dell’Ente telefonico di stato dal Fondo per dirigenti (con tetto pensionistico) al Fondo telefonico (senza tetto) o la possibilità data per un certo periodo ai componenti delle Authority di unire gli anni di incarico presso le Authority stesse ai precedenti periodi lavorativi ad esempio. Sono fatti che gridano vendetta, ma che riguardano poche decine di persone (ma quando il Parlamento e/o i governi hanno approvato queste norme tutti gli altri dove erano?).
Il resto dei lavoratori privati, pubblici e autonomi è andato in pensione con le regole generali. Sbagliate? Certo possiamo dire che le differenze di calcolo tra dipendenti pubblici e privati non erano giustificate, ma quando nel 1978 il ministro Scotti presentò una proposta per eliminare le disparità e le situazioni di privilegio scaturenti dalla pluralità dei regimi pensionistici esistenti il Parlamento non l’approvò. Così come possiamo dire che fu sbagliata nel 1990 la riforma previdenziale dei lavoratori autonomi che equiparò di fatto la modalità di calcolo della pensione degli autonomi a quella dei lavoratori dipendenti anche se i versamenti dei primi erano fortemente inferiori a quelli dei secondi (ma la riforma fu approvata da tutti i partiti).
L’esistenza di regole diverse, e in alcuni casi privilegiate, attribuisce semmai una colpa a chi ha fatto passare decenni prima di intervenire non a chi è andato in pensione in base alle normative “generali” vigenti.
Credo, quindi, che il ricalcolo proposto dal Presidente dell’Inps delle pensioni retributive sia sbagliato e non equo. Se sia poi possibile dal punto di vista giuridico sfugge alle mie conoscenze (immagino pareri opposti da illustri costituzionalisti), mentre dubito, per usare un eufemismo, che sia possibile dal punto di vista tecnico.
Essendomi occupato da molto tempo di pensioni ed avendo lavorato per sei anni in Inpdap ho sempre pensato che la proposta di Boeri, anticipata da S. Patriarca, sia tecnicamente molto difficile da attuare. L’operazione trasparenza fatta da Boeri con la pubblicazione delle analisi delle pensioni del fondo dei dirigenti e del fondo ferrovie conferma in pieno questa convinzione.
Un ricalcolo della pensione retributiva con il sistema contributivo richiede la conoscenza dell’intera vita retributiva dei soggetti interessati o, come si legge negli studi dell’Inps sui due fondi, “comporta la disponibilità delle informazioni relative a tutta la storia contributiva del lavoratore che nel caso di pensioni con decorrenza lontana nel tempo risulta assai difficoltosa”.
Come ha fatto, di fronte a questa difficoltà, l’Inps ad affermare che nel fondo ferrovie il 94% delle pensioni non corrisponde ai contributi versati? Leggiamo la nota metodologica contenuta nello studio. Intanto ha scelto fior da fiore prendendo in considerazione 50.000 pensioni che rappresentano 1/3 di tutte le pensioni erogate. Non sono state considerate le pensioni “di cui al momento è impossibile ricostruire la storia contributiva”. Per le pensioni considerate “sono stati colmati i vuoti delle informazioni retributive attribuendo a ciascun periodo da integrare, la retribuzione più vicina disponibile parametrata all’anzianità contributiva presente in ogni anno solare…”.
Tradotto si fa un’affermazione, “il 94% delle pensioni non corrisponde ai contributi versati”, riferita all’intera gestione sulla base di un campione non rappresentativo dell’universo e con una ricostruzione teorica e non reale della storia retributiva/contributiva dei soggetti interessati.
L’analisi sul fondo ferrovieri anticipa quello che avverrà certamente su tutti i fondi del pubblico impiego. L’analisi sarà limitata ad una parte ristretta delle pensioni di ogni gestione e le singole carriere retributive dovranno essere ricostruite con dati medi (del resto è quello che ha fatto Patriarca nel suo lavoro). La ragione della mancanza dei dati sulla storia contributiva dei pensionati, soprattutto nel settore pubblico, è indicata nella nota metodologica ricordata: “le posizioni assicurative dei contribuenti sono state acquisite tralasciando le informazioni retributive più lontane nel tempo non strettamente necessarie al calcolo della prestazione collegato alla media retributiva degli ultimi anni”.
Dal punto di vista di uno studio accademico la ricostruzione delle singole carriere con procedimenti statistici e con valori medi può avere un senso, ma se si vuole ricalcolare ogni singola pensione e applicare una ritenuta sulla differenza tra pensione retributiva e pensione contributiva il calcolo va fatto su dati reali e non su stime altrimenti si nega l’unico, discutibile, fondamento dell’operazione: commisurare la pensione ai contributi effettivamente versati.
E’ possibile ricostruire le carriere retributive di tutti i pensionati? Se penso ai faldoni cartacei dei professori presenti nel provveditorato agli studi di Roma non posso che fare gli auguri a chi vuol fare un’operazione del genere.
L’Inps pensa ad accordi con le diverse amministrazioni. Il punto è che molti dati sono su carta e che molti lavoratori sono passati da una amministrazione ad un’altra. Un programma, quindi, necessariamente lungo, complesso e dagli esiti incerti.
Se le difficoltà nel settore pubblico sono certe, qual è la situazione nelle altre gestioni Inps di dipendenti e autonomi? E’ così scontato che ci siano i dati necessari? A giudicare dall’ex-Inpdai si direbbe di no, anche in questo caso secondo la nota metodologica dello studio si è proceduto alla ricostruzione statistica di una parte della storia contributiva.
Si può fare una operazione di ricalcolo a fini di stabilire una contribuzione individuale sulla base di una ricostruzione teorica? Si può fare un’operazione di ricalcolo limitata solo alle pensioni di cui è possibile ricostruire la storia contributiva?
L’idea del ricalcolo nasce (vedi articoli di Patriarca e Boeri) come strumento per ottenere risorse per effettuare altri interventi. Si dice che calcolare un contributo sulla differenza tra pensione percepita e pensione calcolata con il contributivo abbia un elemento di equità. Si colpisce un di più non “giustificato” dai contributi. Come detto quell’aggettivo è usato impropriamente. Le pensioni in essere sono tutte giustificate rispetto alle norme di volta in volta esistenti.
Ma di quante risorse parliamo? Ovviamente dipende dalla percentuale del contributo e dal livello delle pensioni a cui il ricalcolo, se possibile, fosse applicato. Quando Boeri dichiara che ci sono pensioni molto alte non giustificate dai contributi fa una dichiarazione priva di alcun senso, e solo demagogica, ai fini del reperimento di risorse. Se si riferisse alle poche decine di persone che hanno goduto delle norme ad personam ricordate, anche un contributo espropriativo darebbe poche decine di milioni. Per passare alle centinaia di milioni bisognerebbe scendere sotto i 5.000 euro lordi, per arrivare ai miliardi di euro, bisogna scendere fino ai 2.000 euro di pensione lorda.
Patriarca e Boeri nel loro articolo sulla Voce hanno stimato un gettito di 4,2 miliardi di euro se il prelievo è esteso alle pensioni fino a 2.000 euro lordi. Gli autori si dimenticano che questo gettito sarebbe solo teorico in quanto ad esso va sottratta la perdita di entrate fiscali stimabili in più di 1,7 mld. Le risorse nette disponibili sarebbero quindi pari a 2,5 mld. Il 54% di queste risorse, secondo i loro calcoli, deriverebbe dal contributo richiesto alle pensioni tra i 2.000 e i 3.000 euro lordi, ossia a pensioni tra i 1.500 e i 2.200 euro netti. Dalle pensioni sopra i 5.000 euro arriverebbero meno di 500 milioni netti. Se si vogliono risorse dell’ammontare di miliardi bisogna lasciar stare la storiella della pensioni alte o d’oro, vanno coinvolte le pensioni medie e basse. Sarebbe corretto dirlo.
Vi è certamente il problema di flessibilizzare l’uscita dal mercato del lavoro così come è necessario affrontare il problema della copertura reddituale dei ultracinquantacinquenni che perdono il lavoro ma secondo quale logica le risorse, o parte di esse, dovrebbero arrivare da un contributo sulle pensioni in essere? O è un intervento di tipo assicurativo e allora va coperto con contributi o un intervento di tipo assistenziale e allora va coperto con la fiscalità generale.
Il Presidente dell’Inps ha iniziato l’operazione trasparenza con un documento sul FondoSpeciale per il Trasporto Aereo denunciando il fatto che l’attuale finanziamento al Fondo è oggi costituito per la quasi la totalità dai proventi dell’imposizione fiscale sui passeggeri degli aerei. Ora propone un’imposizione fiscale mascherata sulle pensioni per alimentare un fondo per chi perde il lavoro, potremmo allora proporre un contributo sulle retribuzioni dei docenti universitari per finanziare borse di studio. A quanto pare anche Boeri non sa proporre altro che un ennesimo balzello, ingiustificato e di dubbia attuazione.
Le pensioni quindi debbono uscire indenni dall’attuale situazione economica? Ricordiamo in primo luogo che le pensioni sono state tosate abbondantemente dal blocco della perequazione operato da Monti-Fornero e che l’attuale forma di indicizzazione produce una perdita continua di valore reale per tutte le pensioni superiori a tre volte il minimo, perdita crescente con l’aumentare dell’importo della pensione. Se vi è la necessità di una “partecipazione” delle pensioni “più elevate” alle manovre di bilancio la strada corretta è quella fiscale coinvolgendo tutti i redditi non solo quelli da pensione.
C’è solo un caso in cui, a mio avviso, trova giustificazione un contributo specifico sulle pensioni. Non è in discussione la legittimità delle pensioni retributive, ma non vi è dubbio che il passaggio al contributivo segna una rottura intergenerazionale. La mia generazione ha pagato con i propri contributi la pensione ai suoi genitori percependo poi una pensione calcolata con le stesse regole. I nostri figli pagano la nostra pensione con i loro contributi ma andranno in pensione con regole diverse e sensibilmente peggiori. Allora l’unica destinazione di un eventuale contributo sulle pensioni non può essere usato per interventi a favore delle stesse generazioni dei pensionati o a generazioni vicine ma deve essere rivolto a favore delle pensioni contributive per aumentare il loro importo.